Genova, gli ultimi fuochi delle lotte del lavoro. Il caso Ansaldo Energia

Rileggere Piero Gobetti è utile per comprendere la battaglia dei lavoratori di Ansaldo Energia, scesi in piazza per difendere i loro diritti.

Pierfranco Pellizzetti

Piero Gobetti, spesso citato, assai meno letto quale giovanissimo maestro di liberalismo critico e di sinistra, tra le altre attività era un editore (ad esempio di Eugenio Montale). In tale veste pubblicò nel 1924 il saggio “Le lotte del lavoro” di Luigi Einaudi, anch’egli liberale critico, seppure con tonalità meno radicali. Vale la pena di rileggerne qualche brano del capitolo “La bellezza della lotta” per ricollocare nella giusta dimensione le scorse giornate genovesi, in cui i lavoratori di Ansaldo Energia sono scesi in piazza per difendere i loro diritti. Un revival dell’antica combattività operaia del tutto travisata da Toti e Bucci, con le loro categorie mentali irrorate dai liquami della contro-rivoluzione reazionaria NeoLib; i cui chiodi fissi sono che lo sciopero è soltanto disturbo della quiete pubblica e i lavoratori puro ingombro sociale, anacronistici sopravvissuti al post-industriale. Nel caso dei Bibì e Bibò in Comune e Regione, avendo come target il consenso dell’elettore tipo legge&ordine (più ordine che legge) ossessionato dall’idea che qualcuno gli possa toccare la roba.

Scrive Einaudi: “il socialismo, sentimento che ha fatto alzare la testa agli operai del Biellese o del porto di Genova e li ha persuasi a stringere la mano ai fratelli del lavoro, fu una cosa grande. […] Tanti che si dissero socialisti o furono a capo di movimenti operai contro gli industriali erano invece di fatto puri liberali”. E fu la grande epopea della conquista di una democrazia compiuta tra la fine dell’Ottocento e il Novecento. Una storia che parla anche genovese.

Ormai un mondo giunto alla fine. Eppure quei lavoratori sono gli unici a impegnarsi nel tenere in vita Ansaldo Energia. Non certo un vertice aziendale di nomina romana su cui si addensano responsabilità enormi. Male occultate dalle frottole di una crisi congiunturale per la sospensione di tre commesse Enel mai esistite (a differenza di quanto scritto dalla stampa locale, a cui la Voce del Circolo Pertini aveva prestato credito, i contratti relativi ai progetti non sono mai stai siglati). Quando un esame più serio della situazione aziendale evidenzia incompetenze e incapacità gestionali. Per cui si presenta a marzo il bilancio 2021 in utile e nella semestrale di giugno si scopre una perdita aziendale da stato fallimentare; ribadita dalle patologie di un corpo malato: le banche che chiudono le linee di credito, i fornitori che attendono da mesi di essere pagati e le cui mancate consegne bloccano i cantieri; i giovani quadri tecnici in fuga. Nel frattempo si annuncia il nuovo piano industriale: un’accelerazione sul nucleare (ma la tecnologia Ansaldo non è più referenziata) e un impegno sulle rinnovabili, nonostante l’assenza di prodotti con cui entrare in questo mercato (l’Ansaldo Green Tech a oggi è in fase di costruzione). Sicché le possibili vie d’uscita sono solo due: quella assistenziale, in cui l’azionista Cassa Depositi e Prestiti rifinanzia l’azienda ogni sei mesi; oppure – stando a rumors – la cessione a un colosso come Siemens, che eliminerebbe un competitor e potrebbe utilizzare il sito di Genova come officina di servizio dei clienti mediterranei. Con il salvataggio di 300 posti di lavoro su 2.500.

Eppure nel patrimonio dell’azienda ci sono conoscenze per scrivere un vero Piano Industriale e competenze flessibili per renderlo competitivo: le maestranze scese in piazza a gridare la loro volontà di non farsi cancellare. Quegli ultimi moicani che disturbano i benpensanti con le loro vertenze. Quanto resta di un passato industriale che ancora salva Genova dall’isolamento; dall’insignificanza di soggetto economico ormai privo di specializzazioni competitive.

Questo testo uscirà a fine mese su La Voce del Circolo Pertini

(credit foto ANSA/LUCA ZENNARO)



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