Genova, la vittoria della destra e il velleitarismo della sinistra

L’incapacità dello schieramento progressista di costituire un’alternativa purchessia ha favorito la riconferma in scioltezza del sindaco uscente Marco Bucci.

Pierfranco Pellizzetti

Come volevasi dimostrare. Bucci ha vinto in scioltezza le elezioni amministrative genovesi 2022: già al primo turno con il 54% dei voti, a fronte del 39% dell’avversario di Centro-Sinistra Ariel dello Strologo.

Va detto che solo il Marco Bucci sindaco uscente nutriva dubbi sul successo del Marco Bucci candidato, causa l’evidente attacco di candidite da cui è stato colpito: un disturbo psichico che affligge i neofiti della politica, pronti a vedere dietro ogni angolo oscure minacce che si frapporrebbero tra loro e l’esito agognato. Per questo il conclamato “uomo del fare” aveva attivato una sorprendente campagna acquisti grazie alle notevoli disponibilità finanziarie che questa destra è andata accumulando nel forziere della Fondazione Change, gestita con tutta la sua spregiudicatezza affaristica dal Governatore ligure Giovanni Toti, il “compare di nozze col potere” del sindaco di Genova. Difatti è balzata agli occhi la tempistica spudorata – tanto in chi ingaggiava quanto in chi si faceva ingaggiare – della presidenza di Ente Bacini attribuita dalla Port Authority genovese, controllata dal duo Bucci-Toti, al capogruppo uscente del PD (la cosiddetta “frusta dell’opposizione” nel modello Westminster) Alessandro Terrile; un avvocato privo di qualsivoglia competenza in materia. A fronte del modico emolumento di 73mila euro. Cui si aggiungeva l’aver portato all’incasso i finanziamenti regionali al vertice di Legambiente per ottenerne l’espulsione del circolo “Nuova Ecologia”, troppo battagliero e contestativo nei confronti del sindaco, con la singolare motivazione – almeno per un’organizzazione che si proclama “libertaria”, non una caserma prussiana – di “indisciplina”.

A questo punto le congetture per un paradigma indiziario esplicativo di quanto accaduto, possono dipanare la matassa tirando due fili. Il primo è discorsivo: l’efficacia della narrazione centrata sulla fata morgana del fare. Ossia quel “modello Genova” che pretenderebbe di risolvere qualsivoglia problema sgravando l’operatività da ogni controllo o inciampo amministrativo; e che – alla fin fine – si è limitato alla rapidizzazione del rifacimento di un ponte dopo il crollo del Morandi: bruttarello, sghimbescio e – a detta dei tecnici – di presunta durata inferiore perfino ai cinquant’anni canonici. L’altro bandolo parte dalla constatazione che la destra di un comunicatore affarista di matrice berlusconiana (Toti) e un fanatico religioso che sente le voci e scorge nel cielo scritte “vai e fai” (Bucci) vince anche nei quartieri popolari. Sicché la Liguria diventerebbe la vetrina nazionale di un fenomeno involutivo ormai tipico di tutta la politica occidentale; come ha recentemente sostenuto la deputata tedesca Sahra Wagenknecht, già vicepresidente di Die Linke, nel saggio editato da Fazi “Contro la sinistra neoliberale”: «la maggioranza degli elettori di destra la voterebbe non per convinzione ma per protesta. Contro questo personale di sinistra sempre più autoreferenziale e in carriera, che manifesta ormai apertamente la propria estraneità indifferente nei confronti di ampi strati di cittadinanza insoddisfatta della propria situazione economica e impauriti dal futuro». Con un corollario tutto locale, confermato anche dal voto di La Spezia: la voragine in cui precipitano i candidati del presunto schieramento progressista – Dello Strologo, la spezzina Piera Sommovigo e l’altr’anno Sansa – reca le impronte digitali di chi ha tutto l’interesse a impedire che emerga chi potrebbe insidiarne la leadership d’area. Un nome a caso: Andrea Orlando.

Ma anche in questo caso è uno scherzare col fuoco, come ci testimonia esplicitamente il 56% di astenuti a queste votazioni (contro il 52% delle precedenti), la cui recuperabilità al gioco elettorale rimane altamente improbabile. Di certo non con le stanche ricette rosso-antico.

A seguire vale la pena di osservare che se in questa tornata amministrativa delle 19 liste presenti 9 sostenevano Bucci e 5 dello Strologo, le restanti 5 – in larga misura di sinistra dura e pura – si sono divise la miseria di neppure il 7% del voto. Dunque sono risultate una proposta priva di qualsivoglia capacità attrattiva. La riprova di un alto tasso di protagonismo narcisistico a fronte dell’incapacità di costituire un’alternativa purchessia. Peggio ancora: il velleitarismo inconcludente di fungere da inconsapevoli liste civetta per intercettare un voto altrimenti destinato a dello Strologo; a vantaggio di Bucci. Come nel caso dei politici in carriera a sinistra, anche con questi reduci di mille naufragi ideologici non si potrà mai costruire nulla di concreto.

 

(credit foto ANSA/LUCA ZENNARO)



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