Donne, corpi, libertà: torniamo a interrogarci

Il corpo delle donne, con la loro capacità di generare, è tornato al centro del dibattito politico. Con una destra che gioca a mischiare le carte per difendere la famiglia tradizionale e una sinistra incapace di affrontare alla radice alcune questioni.

Cinzia Sciuto

Mischiare le carte, alzare un gran polverone, gettare tutto in un gran calderone: questa è evidentemente la strategia scelta dalle forze politiche di maggioranza per affrontare questioni che invece avrebbero bisogno di essere distinte, analizzate una per una, con spirito laico e buon senso. Partendo da un principio che dovrebbe essere condiviso da tutti, persino da chi azzarda paragoni rocamboleschi fra maternità surrogata e pedofilia: le (eventuali) colpe dei genitori non possono ricadere sui figli.

Un conto sono dunque le politiche su maternità surrogata (che sarebbe meglio chiamare però gestazione per altri, giacché la maternità non si riduce certo ai nove mesi di gravidanza), procreazione medicalmente assistita ecc., un altro sono le norme sulla condizione giuridica dei bambini e sulle loro relazioni parentali. Come ha spiegato con la consueta chiarezza Chiara Saraceno in questa intervista, l’idea che i diritti dei bambini siano legati al comportamento più o meno “virtuoso” dei genitori è quella che c’era dietro il trattamento dei figli illegittimi, che pagavano per colpe non loro. Riconoscere a quei figli pieni diritti e pari trattamento con tutti gli altri non significa di per sé approvare il comportamento di chi li ha messi al mondo: persino chi continua a condannare i rapporti sessuali fuori dal matrimonio non negherebbe oggi ai bambini nati da relazioni extraconiugali pieni diritti.

Se provassimo ad applicare questo principio anche di fronte ai nati con gestazione per altri e pma in qualunque contesto familiare avremmo fatto un grande passo avanti di civiltà. Ma è del tutto evidente che la destra non ha nessun interesse a un dibattito serio, e che il suo unico vero obiettivo non è neanche la gestazione per altri – una pratica che pone interrogativi etico-politici di grandissimo rilievo – ma la difesa a oltranza della famiglia “naturale”, che poi significa la famiglia tradizionale, ossia quella fatta da mamma, papà (possibilmente sposati in Chiesa, ma su questo sono disposti a derogare), figli.

Anche a “sinistra” però non è che le cose vadano poi molto meglio quanto a qualità del dibattito. Qui il fronte è diviso fra chi, per ragioni opposte a quelle della destra, si ritrova però a condividere con quest’ultima posizioni di totale rigetto della gpa, considerata sempre e in qualunque circostanza una mercificazione del corpo della donna, e chi invece si rifiuta di vedere le questioni profonde che una pratica come la gpa (e sotto alcuni profili anche la pma eterologa) pone anche al di là dell’ovvia condanna da parte di tutti della compravendita di bambini. Posta in questi termini la discussione – come altre che lacerano il movimento femminista, dalla prostituzione al velo – non è destinata a produrre frutti ma solo a far volare stracci, con violente accuse reciproche.

In tutti questi ambiti c’è un corto circuito che dovremmo disinnescare, e cioè la riduzione della libertà a mera scelta fra opzioni equivalenti e l’incapacità di distinguere il piano delle singole esperienze individuali e delle singole soggettività, da un discorso politico che le trascenda. Prendiamo la questione del velo: pensare, come io penso, che il velo sia uno dei (tanti) strumenti che il sistema patriarcale ha utilizzato (e continua a utilizzare) per tenere sotto controllo (fisicamente e simbolicamente) il corpo e con esso la libertà delle donne non significa necessariamente pensare che tutte le donne che portano il velo siano sottomesse. Ho avuto più di una occasione di discutere di questo tema con donne che indossano il velo e mai ho pensato che fossero donne meno libere di me.

Tornando alla gpa, è innegabile che essa ponga problemi che vanno molto al di là della questione della compravendita. Anche quella cosiddetta altruistica infatti ha implicazioni etiche, politiche e giuridiche di grandissimo rilievo e ignorarle non aiuta né le donne né i bambini. Ma discutere di queste implicazioni non può significare automaticamente criminalizzare indistintamente né chi vi ricorre né chi, per mille ragioni che possiamo e dobbiamo ovviamente discutere e criticare, mette a disposizione il proprio corpo. Il modo in cui la sinistra, e in particolare il femminismo, discute di questi temi è ciò che dovrebbe distinguerlo dalla destra, che sa solo agitare manette per qualunque comportamento esca fuori dal proprio orizzonte ideologico.

Le femministe, in particolare, forti della loro storia dovrebbero ricominciare a interrogarsi con spirito critico su cosa significa libertà e autodeterminazione, guardarsi dentro e riconoscere i forti condizionamenti che tutte noi abbiamo interiorizzato, che siano quelli delle ideologie religiose o quelli del mercato. Senza anatemi e accuse reciproche, con sincera apertura all’ascolto e alla comprensione, ma anche con il fermo proposito di scardinarli alla radice.

 

Foto Canva | @aleks-renko



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