Gianni Rodari, il maestro ribelle: giornalista militante (e scrittore per caso)

Un estratto del libro "Vita, utopie e militanza di un maestro ribelle" di Lorenzo Iervolino (editore Red Star Press).

Lorenzo Iervolino

Gianni Rodari, il direttore

La grande villa al civico 11 di via Maria Virginia Staurenghi, a Varese, era stata sequestrata ai fascisti locali all’indomani della Liberazione, dopo che questi se ne erano impossessati a loro volta per stabilirvi la sede di un’organizzazione della Repubblica Sociale. Al primo piano della palazzina è stata insediata la redazione del settimanale comunista «L’Ordine Nuovo»: un’ampia stanza ben illuminata e dal soffitto alto, arredata con tre scrivanie e begli armadi in stile Chippendale. Il giornale inizia le pubblicazioni il 5 maggio del 1945, presentando ai propri lettori un’edizione ricca di entusiasmo ma con poca organizzazione e diverse mancanze di tipo contenutistico. Ecco perché Angelo Leris, segretario della Federazione varesina del partito chiama un nuovo e giovane direttore a guidarne il rinnovamento.

Gianni Rodari entra in redazione al termine di quella prima estate di pace, cercando da subito di infondere alla nuova testata quel rigore e quella precisione che i dirigenti del partito gli riconoscono. Rodari arriva con idee chiare e un’impronta organizzativa ben definita: intanto il settimanale deve comporsi di articoli brevi, scritti con estrema cura ma corredati da molte immagini e disegni, così da attirare anche quell’ampia fascia di lavoratori del settore agricolo che, più o meno vicini al partito comunista, non leggono «l’Unità», o non leggono affatto, perché non scolarizzati.

Gli articoli devono inoltre avere titoli chiari, di grandi dimensioni, anch’essi brevi ma non brevissimi, in cui ci sia contenuto informativo, ma al tempo stesso qualcosa di misterioso e affascinante in grado di suscitare la curiosità. Nel giornale, poi, ci devono essere tante corrispondenze locali: i lettori devono sentirsi tutti rappresentati e «L’Ordine Nuovo», secondo Rodari, deve trasformarsi in un vero e proprio «strumento popolare capace di penetrare la complessa composizione sociale varesina». Infine, le rubriche settoriali devono restituire una fotografia accurata del territorio, della sua conformazione sociale e culturale, riuscendo a parlare una lingua esatta e appropriata al singolo argomento, non forzatamente artefatta o ideologizzata. Insomma, una lingua adatta a tutti.

Ed è proprio nelle rubriche che l’intervento linguistico e creativo del direttore Rodari ci rende più chiara l’immagine del giovane giornalista con grandi attitudini narrative e una capacità di inventiva probabilmente non arginabile entro il perimetro della professione dell’informazione. La rubrica legata ai temi dell’agricoltura, La domenica del contadino, rende palese sia l’intento pedagogico-formativo del progetto di Rodari, sia gli strumenti espressivi che il neodirettore è in grado di mettere in campo.

La rubrica è costruita sull’impronta dei dialoghi socratici, e ha due protagonisti fissi: Peder e Paul, due contadini con diversa coscienza di classe, che discorrono di temi fondamentali come canoni d’affitto dei terreni, prezzi dei prodotti, costo dei concimi ma lo fanno in termini semplici e diretti, con frequenti incursioni di dialetto bosino.
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