Tutti gli uomini di Giorgia Meloni
Giorgia Meloni è celebrata come il segno di un’egemonia dell’estrema destra e di una ventata femminile, di gioventù e di novità. Ma la realtà è ben diversa.
Marco Morosini
Il partito Fratelli d’Italia ha vinto le elezioni italiane del 25 settembre 2022 e dominerà il prossimo governo. La sua giovane leader Giorgia Meloni è celebrata come il segno di un’egemonia dell’estrema destra e di una ventata femminile, di gioventù e di novità. In realtà è vero il contrario. In Italia le destre sono in minoranza, il risultato elettorale mortifica la presenza e i diritti femminili, il potere maschile e senile in parlamento è cresciuto e al governo torna una coalizione vecchia di trent’anni, già tre volte fallita. In questo articolo propongo un’analisi dei presupposti, dei risultati e delle prospettive di quella che possiamo considerare la “Operazione Meloni”.
Egemonia delle destre? La coalizione delle tre destre è in minoranza nel paese, con il 44% dei voti contro il 49% dei suoi avversari di sinistra e di centro. Le destre avranno però il 59 % dei parlamentari (352 su 600) grazie a una legge elettorale stravagante. I 12 milioni di voti per le destre non sono aumentati rispetto al 2018, ma la loro percentuale è salita dal 37% al 44% a causa della cresciuta astensione (dal 27 % al 36 %). La novità è il travaso di voti all’interno della coalizione delle tre destre da Lega e Forza Italia (9% e 8%) a Fratelli d’Italia (26%). Questo è avvenuto in buona parte perché Fratelli d’Italia è stato l’unico partito coerentemente all’opposizione di sei governi in undici anni e non per una accresciuta simpatia per il neofascismo. Non è vero quindi che “L’Italia va a destra”. E’ vero che “Il parlamento e il governo vanno a destra”.
I voti espressi sono stati 28 milioni ossia il 64% degli aventi diritto e tra questi ci sono state 1,3 milioni di schede bianche o nulle (4,5%). Su 51,3 milioni di aventi diritto al voto quindi solo 12,6 milioni (25 %) hanno votato per la coalizione delle tre destre e solo 7,3 milioni (il 14,6 %) hanno votato Fratelli d’Italia. E probabilmente gran parte di costoro non hanno simpatie neofasciste. Di conseguenza, mentre i filofascisti sono meno di una persona su dieci, la mentalità neofascista che dominerà la maggioranza parlamentare, il governo e la televisione statale RAI contribuirà a ispirare le leggi, il linguaggio, i comportamenti e la cultura del Paese.
Una ventata femminile? Giorgia Meloni è l’unica donna tra i maggiori dirigenti di Fratelli d’Italia, un partito impregnato di mentalità patriarcale (“Dio, Patria, famiglia”), nel cui esecutivo siedono solo cinque donne su ventiquattro membri. Si tratta del partito italiano più maschile e maschilista, con le più basse percentuali di donne tra i dirigenti, gli aderenti, gli elettori e i parlamentari (in Senato solo 4 su 21). I suoi programmi politici sono ostili alla discriminazione positiva di genere, al diritto all’aborto senza ostacoli, alla “lobby LGBT”, alla “ideologia di genere” e vedono il dovere principale della donna nel partorire molti figli per contrastare la “crisi demografica”. Inoltre, la percentuale di donne in parlamento è diminuita rispetto al 2018 dal 35% al 32%.
Una ventata giovanile? Rispetto al 2018, l’età media dei deputati eletti è aumentata da 44 a 50 anni e la tradizionale gerontocrazia italiana si è aggravata: 86 anni, 81 anni e 75 anni sono infatti le età di Berlusconi, Bossi e La Russa (il nuovo presidente del Senato), i patriarchi delle destre vincenti. I tre potrebbero essere i nonni di Giorgia Meloni. Ora tornano da protagonisti in parlamento, dove siedono da più di trent’anni. In regia c’è di nuovo Berlusconi, l’uomo che con le sue televisioni e i suoi giornali ha lanciato in politica decine di giovani donne e molte ministre. Il suo partito Forza Italia ha pochi voti (8%), ma l’impero mediatico di Berlusconi ha molto contribuito al successo di Meloni e delle destre. Egli sa che l’unica chance di diventare Presidente della Repubblica è quella di “portare al governo i fascisti”, come fece negli anni ’90. E’ per questo che Berlusconi ha messo in campo a favore di Meloni il suo potere di propaganda: le tre principali emittenti televisive private e decine di giornali e riviste.
Una novità? La coalizione delle destre torna al potere per la quarta volta, dopo avere già governato per due, cinque e tre anni. Il nuovo governo sarà quindi la restaurazione dell’ancien régime di Silvio Berlusconi insieme ai “fascisti” (come li chiama) e a Matteo Salvini (Lega), ma questa volta sarà dominato da Fratelli d’Italia.
Ignazio Benito La Russa e Guido Crosetto
I due registi dell’“Operazione Meloni” sono il il nuovo presidente del Senato Senatore Ignazio Benito La Russa e Guido Crosetto, che potrebbero essere il nonno e il padre di Giorgia Meloni. I due hanno fatto gli studi universitari e hanno l’esperienza che mancano a Meloni. Nel 2012 fondano Fratelli d’Italia, il partito che raccoglie l’eredità di sessant’anni di neofascismo italiano. Il loro profilo personale e la loro proposta politica sanno di vecchio. Allora hanno l’accortezza di far partecipare alla fondazione anche la 35enne Meloni. A buon conto, per due anni tengono per loro la carica di presidente. Quando capiscono che la figura più debole del trio potrebbe diventare la carta vincente si ritirano dietro le quinte, offrono la presidenza a Meloni, e mandano lei alla ribalta.
Una fotografia simbolizza lo stato delle cose. In essa si vede una gracile Meloni trentenne in preda al riso, sdraiata e sollevata come una bambina nelle braccia di Guido Crosetto, un simpatico King Kong piemontese che pesa il triplo di lei. La differenza di peso tra i due non è solo corporea. Crosetto, infatti, ha studiato economia, dagli anni ’80 dirige l’azienda di famiglia, è stato sindaco di una città e presidente di un aeroporto. È in politica da trentacinque anni ed è stato parlamentare per quattordici anni. Soprattutto, Crosetto è stato sottosegretario alla difesa (2008-2011) sotto il ministro della difesa, il suo collega Ignazio Benito La Russa. Non sorprende, quindi, che Crosetto sia stato attivo nel business delle armi da guerra dirigendo l’azienda statale Orizzonte Sistemi Navali e la Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza AIAD. In politica Crosetto fu democristiano negli anni ’80 e poi membro del partito di Berlusconi. Gioviale e apprezzato dai media e anche dagli avversari, di lui non risultano idee fasciste.
Il maggiore ispiratore del partito, però, è il Senatore Ignazio Benito La Russa, di 75 anni, patriarca del neofascismo italiano, in politica ormai da mezzo secolo. Il Senatore è titolare di uno studio di avvocati e capo di una sorta di “clan La Russa”, siciliano che da decenni intreccia poteri economici e politici. Del clan fece parte il padre Senatore Antonino La Russa, ex dirigente del Partito Nazionale Fascista e del Movimento Sociale Italiano MSI, e fa parte suo fratello Romano La Russa, già membro del MSI ed ex europarlamentare neofascista. Alcuni lo chiamano Lucifero per l’aspetto e la voce roca così platealmente “diabolici” che sono oggetto di parodie. La Russa stesso gioca su questo cliché luciferino che in qualche modo lo rende simpatico. Si vedano per esempio le sue sembianze da Rasputin in un comizio nel film Sbatti il mostro in prima pagina (1972). ”Ignazio restava nell’ombra, le cose le faceva fare agli altri” disse il collega Tomaso Staiti di Cuddia riferendosi al “giovedì nero” del 13 aprile 1973, la “manifestazione anticomunista” voluta dal MSI e da La Russa malgrado il divieto delle autorità. Durante violenti scontri con le forze dell’ordine i neofascisti devastarono un liceo e la Casa dello studente. Alcuni di loro lanciarono una bomba a mano che uccise l’agente di polizia Antonio Marino e ferì dodici poliziotti. Per il suo attivismo nelle manifestazioni “turbolente” degli anni ’70 (gli “anni di piombo”) qualcuno chiamava La Russa “la Rissa” (zuffa, bagarre). Negli anni ’70 alcuni militanti o simpatizzanti del MSI davano la caccia agli avversari armati di chiavi inglesi, coltelli o anche di armi da fuoco (omicidio di Walter Rossi, 1977). Mentre Meloni si presenta come un fiore appena sbocciato, La Russa rappresenta le radici profonde di Fratelli d’Italia. La sua militanza cominciò nel 1971 nel Movimento Sociale Italiano MSI, il partito fondato nel 1946 da Giorgio Almirante, ex dirigente fascista e collaboratore dei nazisti, ex caporedattore del giornale “La difesa della razza” (“Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti”). La Russa sostenne tutti i governi di Silvio Berlusconi e in uno di questi (2008-2011) fu Ministro della difesa, ossia responsabile delle forze armate, dei servizi segreti e dei carabinieri.
Giorgia Meloni
Giorgia Meloni è nata a Roma nel 1977, ha terminato gli studi a diciotto anni con un diploma di maturità in lingue. La abbiamo sentita parlare in pubblico in buon Spagnolo, Inglese e Francese, il che è una novità per un personaggio politico italiano. Aspira a guidare il governo anche se non ha mai diretto un’azienda, un assessorato, un comune, una provincia, una regione o un ministero importante. Durante i comizi urla “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana!”. La frase è ormai leggenda, martellata a tempo di rap nel clip “Io sono Giorgia – Remix”, visualizzato tredici milioni di volte. “Giorgia” è diventato un vero brand. “Noi siamo Giorgia” è scritto su enormi cartelli ai suoi comizi. “Io sono Giorgia” è il titolo della sua autobiografia, con il suo ritratto in copertina. Anche sulla copertina del programma del partito c’è un suo ritratto seducente, come su una rivista di moda. Ecco, Meloni è essenzialmente “di moda”. Il programma del partito è lei. Nelle interviste su di lei le persone rispondono solitamente “Mi piace” anziché “Sono d’accordo”.
Il successo di Meloni si fonda più sul numero delle sue fotografie che non su quello delle sue parole. Ogni giorno i media diffondono centinaia di fotografie fornite dal suo ufficio stampa che la ritraggono in pose accattivanti, molto spesso con un gran sorriso e uno sfondo di folla mentre si fa un selfi. Spesso si contano in un solo giorno una decina di fotografie di Meloni nella versione in rete del principale giornale italiano. Questa esasperata personalizzazione dà l’impressione che l’Italia sia una Repubblica presidenziale, come la Francia o gli USA. Ma non è così, perché in Italia il popolo elegge parlamentari, non presidenti.
L’Italia futura di Meloni
Nei dibattiti Meloni è pugnace e convincente. Perché non darle una chance? Per rispondere occorre conoscere qualcosa del suo avvenire e del suo passato. Nell’avvenire di Meloni per l’Italia ci sono parole come “Nazione”, “patrioti”, “difesa della Patria e dei confini nazionali” dai “migranti irregolari” o “clandestini”, “tradizione giudaico-cristiana”, “orgoglio italiano”. Poi c’è l’obiettivo di rendere l’Italia una repubblica presidenziale. Tra le promesse elettorali ci colpiscono: un’aggressiva politica della natalità che scoraggi l’aborto e premi chi fa più figli (il modello è la politica natalista di Viktor Orban; in progetto c’è anche un Ministero per la natalità), l’abolizione del reato di tortura perché “impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro” (negli anni ’80 il MSI voleva la pena di morte), “castrazione chimica” per i responsabili di certe violenze, contrasto della “lobby LGBT”, ottenimento più facile del porto d’armi, principio che “la difesa è sempre legittima”, “blocco navale“ davanti alla Libia” contro i “clandestini”, repressione delle ONG che salvano i naufraghi, sequestro e affondamento delle loro navi, abolizione del reddito di cittadinanza (una legge del Movimento 5 Stelle che dà un piccolo sostentamento a quattro milioni di poveri, molti dei quali, secondo Meloni “restano seduti sul divano a fumare le canne”), riduzione delle imposte ai più ricchi, “pace fiscale”, ossia condono delle piccole evasioni fiscali. Infine, sui manifesti della sua coalizione è scritto: “Flat tax al 15%”. In realtà l’aliquota del 15% dell’imposta sul reddito varrebbe solo per la parte di reddito superiore a quello degli ultimi anni.
Nelle parole di Meloni ci sono enfasi nazionalista, ostilità verso soggetti deboli o diversi (migranti, nomadi, omosessuali, tossicodipendenti), scherno e denigrazione per gli avversari e le categorie sgradite, tolleranza verso le violenze della polizia e dei cittadini armati che si difendono da soli, lotta alle “devianze” (tra le quali include l’obesità), assenza di riferimenti alla crisi ecologica. Il suo virulento discorso del 14 giugno 2022 a Marbella a un convegno della estrema destra spagnola Vox è un esempio di alcuni di questi atteggiamenti. Queste propensioni non piovono dal cielo ma hanno radici nella mentalità neofascista che ha forgiato Meloni. Per questo è necessario conoscere il suo passato politico.
Neofascista a quindici anni
Meloni è cresciuta nella periferia di Roma della Garbatella. La sua grinta popolana e il suo forte accento romano la fanno percepire come una genuina novità, diversa dai “politici attaccati al potere” contro i quali inveisce, ma di cui ha fatto parte durante i governi Berlusconi. Fratelli d’Italia è l’ultimo di una serie di nomi che prese in Italia il partito neofascista MSI fondato nel 1946 da ex gerarchi e da ex militari del fascismo. Una Meloni diciannovenne dice in un reportage del 1996 della televisione France 3: “Credo che Mussolini sia stato un buon politico, vale a dire che tutto quello che ha fatto lo ha fatto per l’Italia”. Faceva eco al suo capo Gianfranco Fini, il quale aveva detto che “Mussolini è stato il più grande statista del secolo” (1992) e che occorreva creare “il fascismo del 2000” (1988).
Da più di settant’anni una parte del personale del neofascismo italiano onora il fascismo e Benito Mussolini, seppure con intensità decrescente. Tre parenti stretti di Mussolini sono stati candidati al parlamento da Fratelli d’Italia o dai partiti che l’hanno preceduto: Alessandra e Rachele Mussolini (nipoti di Benito) e Caio Giulio Cesare Mussolini (pronipote). Alessandra Mussolini è stata per 24 anni parlamentare neofascista, dichiarandosi “fiera del nome che porto”. Riuscite a immaginare tre discendenti di Hitler eletti nel Bundestag di Berlino dirsi fieri del nome che portano?
È questo l’ambiente che formò Meloni dai suoi quindici anni, quando nel 1992 aderì al MSI. La presidente di Fratelli d’Italia conferma oggi la continuità con la tradizione del MSI e l’orgoglio per il suo simbolo: la “fiamma tricolore”. Questa fu disegnata nel 1946 dal fondatore del MSI Giorgio Almirante ed è tuttora nel logo di Fratelli d’Italia. “Occorre la consapevolezza storica – ha detto Meloni – di ereditare una tradizione, una cultura, un’identità e un’appartenenza”. Alla senatrice ebrea Liliana Segre, vittima delle atrocità fasciste, che le chiese di togliere la fiamma, Meloni risponde: «Non c’è motivo per togliere la fiamma. Rappresenta la continuità con la storia di una destra repubblicana e democratica”. Nella storia del MSI, però, ci furono anche criminali di guerra, collaboratori dei nazisti, responsabili di pestaggi, attentati, torture, uccisioni, omicidi e di un tentativo di colpo di stato (“golpe Borghese”).
Chiariamo un equivoco. Il problema oggi è il neofascismo, non il fascismo. A Meloni non si chiede conto di ciò che fece il fascismo cento anni fa. Si deve chiedere conto di ciò che il neofascismo fa oggi e di ciò che ha fatto nel dopoguerra. E’ del 2022, per esempio, il saluto fascista di Romano La Russa, assessore regionale e fratello di Ignazio Benito Larussa, durante una cerimonia pubblica. È stato inquietante vedere quest’anno Donald Trump (istigatore dell’assalto armato al parlamento statunitense) e Georgia Meloni parlare al congresso delle estreme destre CPAC del 28 febbraio 2022, specialmente se si ricorda il tentativo di colpo di stato del 1970 dell’ex presidente del MSI Junio Valerio Borghese (“golpe Borghese”), criminale di guerra, responsabile di stragi e torture di Italiani perpetrate dalla unità militare Decima Mas da lui creata, condannato a dodici anni di reclusione ma liberato per amnistia.
Nel 2012 un mausoleo per un ex presidente del Movimento Sociale Italiano
Dopo il 1945 i criminali di guerra italiani non furono puniti, come invece avvenne a quelli tedeschi e giapponesi. È questa omertà che permette a Fratelli d’Italia di onorare ancora oggi con un monumento pubblico un criminale di guerra italiano. L’11 agosto 2012, infatti, il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Francesco Lollobrigida ha inaugurato ad Affile (Roma) il mausoleo “Patria e onore” in memoria del Generale Rodolfo Graziani, già Viceré d’Etiopia e già presidente del MSI (1953-1954), ossia uno dei predecessori di Meloni. Il mausoleo è stato voluto da Lollobrigida, che ha ottenuto dalla regione Lazio 127mila euro per costruirlo. Perché questo monumento, praticamente ignorato in Italia, ha suscitato indignazione nel mondo, da Addis Abeba alla BBC al New York Times? Secondo lo storico Angelo Del Boca, massimo studioso di quel periodo, Graziani fu “il più sanguinario assassino del colonialismo italiano” durante la Guerra fascista all’Etiopia del 1935-36 che uccise 250mila africani. Decine di migliaia di civili furono avvelenati con i gas di guerra iprite e fosgene, o assassinati in massa, o fatti morire in marce nel deserto o in campi di concentramento, di fatto di sterminio. Dal 21 al 29 maggio 1937 nel monastero etiope di Debra Libanos le truppe di Graziani trucidarono più di mille cristiani sospettati di appoggiare la resistenza etiope: monaci, diaconi, pellegrini ortodossi. Si veda il film su Graziani Il Leone del deserto (1980) con Antony Quinn, Rod Steiger e Irene Papas. Graziani fu iscritto sulla lista dell’ONU dei criminali di guerra ma la richiesta di estradizione dell’Etiopia fu negata dall’Italia nel 1949. Nel 1950 fu condannato a 19 anni di carcere per collaborazionismo con i nazisti, ma fu scarcerato in pochi mesi. Due anni dopo era presidente del MSI. Questo approfondimento non sembri fuori luogo. Esso serve solo a sollevare una questione bruciante. Se il neofascismo italiano si è impunemente permesso di costruire un sacrario in onore di un criminale di guerra quando era all’opposizione, cosa si permetterà quando sarà al governo?
Le manifestazioni di nostalgia neofascista sono ancora di attualità. In molte città i politici neofascisti hanno intitolato strade e piazze a personaggi del fascismo, spesso macchiati di delitti impuniti. È del 2016 la grande mostra “Nostalgia dell’avvenire” per commemorare i 70 anni del MSI, intitolata con il motto del suo fondatore Giorgio Almirante. Non è raro vedere neofascisti esibire saluti romani, simboli del fascismo, commemorare la marcia su Roma o onorare la tomba di Benito Mussolini. Proprio il fondatore di Fratelli d’Italia Ignazio Benito La Russa, per esempio, ostentò e difese in parlamento il saluto fascista il 13 settembre 2017. Infine, ricordiamo che nel 2008 l’elezione del neofascista Gianni Alemanno a sindaco di Roma fu festeggiata sulla scalinata del Campidoglio con saluti fascisti, qualche camicia nera e sventolio di bandiere.
La manipolazione delle parole
Le estreme destre e la destra italiane sono riuscite a insediare nel linguaggio nazionale una serie di manipolazioni delle parole a loro vantaggio. La più efficace è l’espressione “centro-destra” che designa l’attuale coalizione di due partiti di estrema destra. Essa fu escogitata nel 1994 da Silvio Berlusconi per la sua coalizione di Forza Italia con gli indipendentisti della Lega e con “i fascisti” – come Berlusconi li chiama. La parola “centro-destra” è ancora usata universalmente per definire la coalizione estreme-destre-destra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia). I politici e i media delle destre si autodefiniscono “centro-destra”, ma chiamano con disprezzo il centro-sinistra “la sinistra”. I media e i politici di centro-sinistra, invece, chiamano pavidamente “centro-destra” la coalizione estreme-destre-destra, adottando così il suo inganno verbale.
Un’ulteriore manipolazione è quella del nome del partito: “Fratelli d’Italia”, infatti, è il nome ufficioso dell’inno nazionale italiano, un bene pubblico di cui i neofascisti si sono appropriati. Il risultato è che ormai quando si canta l’inno nazionale inevitabilmente si evoca il nome di un partito. Questa operazione è simile a quella di Berlusconi quando nel 1994 chiamò “Forza Italia” il suo partito, appropriandosi dell’incitamento con il quale le folle incoraggiavano negli stadi gli atleti italiani. Questi ultimi erano chiamati “gli azzurri”, fino a quando Berlusconi si appropriò anche del colore azzurro. I parlamentari del partito Forza Italia divennero da allora “gli azzurri”, la sezione femminile divenne “Azzurro donna”, la piattaforma dei simpatizzanti divenne “Spazio azzurro”.
La manipolazione dei numeri
Prima delle elezioni del 25 settembre quasi tutti i media hanno scritto che il “centro-destra” aveva venti punti di vantaggio sul centro-sinistra, suscitando così una percezione nazionale che il trionfo delle destre fosse ormai certo. In realtà, la destra e la sinistra si attestavano entrambe intorno al 45%, come avviene da decenni. L’invenzione del “20% di differenza” risulta dall’aver considerato “centro-sinistra” solo la coalizione del Partito Democratico con alcuni piccoli partiti (26% dei voti) e dall’aver trascurando l’esistenza degli altri partiti di sinistra e di centro: il Movimento 5 Stelle (16% dei voti) e altri partiti antifascisti (8%).
Alle elezioni del 25 settembre il partito Fratelli d’Italia è stato il più votato. Tuttavia non ci sono state scene di festa né saluti romani nelle strade. La sua presidente Giorgia Meloni è quasi scomparsa dai media. Dopo avere svolto il suo ruolo sulla ribalta, ora lascia lavorare gli artefici dell’”Operazione Meloni”. Occorre tutta la perizia degli anziani leader delle destre per spartire i ministeri e per rassicurare i media, i governi e gli operatori economici internazionali. Lasciar lavorare chi ha più esperienza è un segno di saggezza di Meloni che potrebbe preludere a sorprese. L’estrema destra che governerà l’Italia ostenta tricolori e parole come Patria, Nazione, orgoglio italiano. Non ha però ancora chiarito come mai onora traditori dell’Italia che collaborarono con l’invasore nazista e perseguitarono la popolazione civile, uccidendo e torturando i patrioti che difendevano gli italiani. Due ventenni di egemonia delle destre – il ventennio fascista e il ventennio berlusconiano – hanno reso l’Italia peggiore e ne hanno compromesso la reputazione nel mondo. Se Giorgia Meloni davvero ama l’Italia, tocca a lei di dimostrare di sapere fare il contrario.
CREDIT FOTO: ANSA / INSTAGRAM GIORGIA MELONI
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