Giorno del ricordo e uso politico della memoria. E ripartono gli attacchi a Tomaso Montanari

L’attacco del “Foglio” per il convegno organizzato dal “Rettore delle foibe”. Quello del “Corriere della Sera”, secondo cui “all’analisi storica si preferisce un’esibizione provocatoria”. Tomaso Montanari su MicroMega risponde alle critiche. A seguire, la trascrizione del suo intervento introduttivo e il video integrale del convegno.

Daniele Nalbone

“Il Rettore delle foibe”, lo definisce Il Foglio, in prima pagina. “Per il professore” le foibe sono “un’ossessione e la sua più che storiografia è mitomania” scrive sul Corriere della Sera Aldo Grasso, che evidentemente ha un conto aperto, tutto personale, con Tomaso Montanari [qui l’ultimo attacco per un tweet di Montanari sul discorso di fine anno di Mattarella].

Evidentemente Grasso non ha seguito il convegno – e parlando di aula semideserta, dimentica (?) la pandemia in corso, il fatto che il limite di capienza dell’aula fosse di 50 persone e non considera le oltre 1.200 persone che hanno seguito il seminario in streaming – visto che tra il palco e i collegamenti video si sono succeduti gli interventi di docenti delle università di Siena (Mauro Moretti), Firenze (Alberto Cavaglion), Lubiana (Marta Verginella), Pavia (Luca Casarotti), Padova (Filippo Focardi) e scrittori (e storici) come Carlo Greppi ed Eric Gobetti.

Tomaso Montanari affida a MicroMega la sua risposta: “L’università fa il suo mestiere di ricerca ed espressione del pensiero critico senza schierarsi politicamente. Sono molti giornali che purtroppo non stanno facendo il loro, di dovere, cioè raccontare fatti documentandosi ed esprimere opinioni non strumentali. Stanno invece facendo campagna politica seguendo gli interessi dell’estrema destra che si annuncia ormai maggioranza tra i votanti. Attenzione”, precisa Montanari, “maggioranza tra i votanti e non nel Paese”.

Quanto agli attacchi subiti, Montanari – pur consapevole del fatto che Aldo Grasso abbia evidentemente “qualcosa di personale contro di me” – risponde suonando l’allarme: “Attaccare l’università, luogo di libertà, è un fenomeno tipico dei Paesi totalitari. L’idea che la politica debba controllare l’università è inoltre accolta, evidentemente, dai giornali. Ieri fuori dall’aula del seminario abbiamo assistito al picchetto di protesta di CasaPound, oggi assistiamo agli articoli dei giornali contro un seminario storico e addirittura abbiamo dovuto subire l’onta di un’interrogazione parlamentare che, a poche ore dall’inizio del convegno, ha chiesto alla ministra dell’Università se è possibile che un rettore possa criticare liberamente una legge dello Stato. Evidentemente dimenticando la semplice esistenza della facoltà di Giurisprudenza, che questo fanno ogni giorno. Chiedere all’autorità politica di esprimersi su una simile domanda è, di fatto, un annuncio di regime in costruzione. La cosa che dispiace è che il Corriere della Sera sulla questione stia dalla parte sbagliata”.

A seguire la trascrizione integrale dell’intervento introduttivo di Tomaso Montanari, rettore dell’Università per gli Stranieri di Siena.

IL VIDEO INTEGRALE DEL CONVEGNO “LA GENESI DEL GIORNO DEL RICORDO”

Uso politico della memoria e revanscismo fascista: la genesi del Giorno del Ricordo

di Tomaso Montanari

Una nota di metodo preliminare che temo ormai non sia ovvia o superflua come dovrebbe essere: l’università non si schiera politicamente. Ma l’antifascismo non è una posizione politica, bensì una premessa costituzionale e istituzionale non negoziabile e indispensabile.

La nostra università, come tutte le altre università, come tutte le università di una Repubblica fondata sull’antifascismo, è una istituzione, è una comunità dichiaratamente antifascista. Non potrebbe essere altrimenti. Se tutti siamo ben consapevoli che l’uso politico della memoria ha una storia non meno lunga della storia di una civiltà, siamo anche ben consapevoli che oggi in Italia il revanscismo fascista goda di appoggi, mezzi, organizzazioni e di un consenso fino a qualche anno fa impensabile. Siamo anche consapevoli che queste forze strumentalizzano con crescente successo sia le drammatiche vicende del confine orientale, con la loro scia di sangue, sia le celebrazioni pubbliche del Giorno del Ricordo.

È annunciato per oggi (10 febbraio 2022, ndr) a Firenze un cospicuo raduno di forze neofasciste e neonaziste e uno dei relatori di questo seminario, Eric Gobetti, avrebbe dovuto tenere nella stessa giornata una lezione in un liceo di Verona, ma gli è stato proposto che la lezione si trasformasse in un contraddittorio con un giornalista.

Chi ha letto il libro di Paolo Berizzi, “È gradita la camicia nera“, sa quale sia la situazione di Verona in questo momento. Sottolineo, a rimarcare la particolare situazione dell’Italia, che Paolo Berizzi è l’unico giornalista europeo che vive sotto scorta per le minacce di matrice fascista.

A Siena, da settimane, la sezione di un partito che si trova al governo della città, intitolata al segretario di redazione della Difesa della razza (Giorgio Almirante, ndr) raccoglie per strada firme per le mie dimissioni e oggi (9 febbraio 2022, ndr) un’interrogazione parlamentare di un partito di governo ha chiesto alla ministra dell’Università, “se sia legittimo che un rettore possa assumere liberamente iniziative di critica esplicita di una legge dello Stato”. Non so su quale pianeta siamo, probabilmente su Marte come Corrado Guzzanti suggeriva qualche tempo fa.

L’autonomia della scuola e dell’università dal potere politico è dunque pesantemente messa in discussione ed è un valore, una norma della Costituzione a proteggerla.

Di fronte a tutto questo credo fermamente che l’unica risposta possibile sia fare ancora meglio e con ancor più decisione il nostro lavoro di studiosi e di professori.

Da qui l’idea di un seminario invitando studiosi che da giuristi e storici possano illuminare il contesto, i moventi profondi, la lunga preparazione e le implicazioni dell’istituzione del Giorno del Ricordo con la legge 92 del 30 marzo 2004, perché è impossibile studiare tutto questo senza prendere in considerazione almeno la fase finale di quella che Filippo Focardi ha definito “la guerra della memoria”, memoria che – come sottolinea Alberto Cavaglion – “andrebbe decontaminata”.

In particolare è assai interessante studiare, oltre agli argomenti accolti nel dibattito parlamentare che precede l’approvazione della legge, il discorso pubblico dei primissimi anni Duemila quando perfino la retorica del presidente della Repubblica, allora Carlo Azeglio Ciampi, mosso dal sincero desiderio di attualizzare la memoria della Resistenza, si trovò di fatto a dover tenere conto di istanze che incrinavano l’egemonia culturale antifascista e che erano state da poco legittimate dall’arrivo dei postfascisti al governo del Paese, in un intreccio strettissimo tra vicende politiche e costruzione della memoria politica. Era un processo che affondava le radici almeno negli anni Ottanta e che come sempre aveva a più che fare con l’assetto degli equilibri politici del presente che non con il lavoro degli storici.

Se riprendiamo i dibattiti di quegli anni, pare di poter dire che assai più di quello del ceto politico fosse lungimirante lo sguardo di alcuni intellettuali liberi da posizioni di schieramento. Penso ad esempio ad Antonio Tabucchi capace di prevedere con estrema lucidità ciò che le prese di posizione dei vertici della Repubblica avrebbero innescato negli anni successivi. Anni che purtroppo Tabucchi non poté vedere.

E non necessario chiarire solo gli antefatti della creazione del Giorno del Ricordo, ma anche indagare ciò che è avvenuto negli anni successivi in una catena di decisioni che tendono a saldare, con un respiro sempre più corto, la politica della memoria alle necessità politiche del presente.

È chiaro, per fare un esempio, che anche la legge 115 del 2016 che punisce penalmente le affermazioni negazioniste sull’Olocausto, dei fatti di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, sia un sintomo preoccupante perché risolve con una legge ciò che si dovrebbe risolvere a scuola, come notò tra gli altri Carlo Ginzburg, fermo oppositore della legge, perché è un segno di evidente debolezza che tradisce la fine di una egemonia culturale e perché, ce ne rendiamo conto oggi, prepara gli strumenti perché una nuova egemonia farà rispettare una ortodossia di segno contrario.

Giorno del Ricordo, lo storico Eric Gobetti costretto ad annullare un incontro con gli studenti



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