Girotondi e Circo Massimo vent’anni dopo: confronto tra Flores d’Arcais e Cofferati

Il direttore di MicroMega e l’ex segretario della Cgil ricordano le due straordinarie manifestazioni del 23 marzo e del 14 settembre 2002.

Paolo Flores d’Arcais / Sergio Cofferati

Paolo Flores d’Arcais: Vent’anni fa, il 2002, è stato un anno veramente straordinario dal punto di vista della mobilitazione democratica nelle piazze. Il 23 marzo di quell’anno c’è stata la più grande manifestazione mai fatta dalla Cgil, al Circo Massimo, che in realtà è stata la più grande manifestazione di tutta la storia d’Italia. Il 14 settembre c’è stata un’altra gigantesca manifestazione, quella dei Girotondi a piazza San Giovanni. Che è stata la seconda più grande manifestazione con partecipazione di massa dell’intera storia d’Italia, dopo appunto quella di pochi mesi prima. Un anno straordinario insomma. Partiamo dalla manifestazione della Cgil: ricostruiamo per chi allora non c’era o non può ricordarsi perché troppo giovane, come nasce e come si sviluppa e che effetto ha.

Sergio Cofferati: L’origine è molto semplice, come tutto sommato poi è stato semplice anche lo sviluppo, con le relative conseguenze. Il governo in carica all’epoca, il presidente era Silvio Berlusconi, aveva deciso di modificare il sistema delle tutele dei diritti dei lavoratori e fra i cambiamenti che aveva ipotizzato ce n’era uno particolarmente delicato, quello che riguardava il rapporto di lavoro diventato poi con semplificazione successiva di particolare effetto “l’articolo 18”. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori era quello che impediva alle aziende di licenziare le persone senza un motivo, che doveva essere dimostrato e avere consistenza. Con quell’articolo non c’era più la possibilità per le aziende di rimuovere, allontanandole dal lavoro, le persone che erano iscritte al sindacato o che avevano un’idea politica non in linea o che pretendevano di essere adeguatamente protette sul posto di lavoro – lo dico oggi, in una stagione nella quale purtroppo gli incidenti sul lavoro sono diventati prassi quotidiana gravissima, secondo me non contrastata con efficacia, cosa che invece accadeva prima.

Dunque il governo aveva intenzione di modificare lo Statuto dei diritti dei lavoratori a cominciare dall’articolo 18, ipotesi che noi rifiutammo. Non c’era la stessa opinione tra le tre organizzazioni sindacali. Le altre due, Cisl e Uil, con le quali avevamo peraltro un buon rapporto, avevano dato una disponibilità a discutere nel merito. Il governo, forse illudendosi sull’effetto che poteva avere la condivisione della sua proposta di metodo da parte di CISL e UIL, decise di proseguire, e noi mettemmo in campo una serie di iniziative di mobilitazione e di lotta per impedire che quelle intenzioni divenissero concrete, con tutte le conseguenze che questo avrebbe comportato. Innanzitutto facemmo una grande campagna di informazione e poi organizzammo questa manifestazione, che progressivamente assunse un carattere politicamente rilevante perché era chiaro che l’obiettivo che il governo si prefiggeva era non solo quello di cancellare dei diritti, ma anche quello di allargare la sfera di iniziativa autonoma e come tale non modificabile né censurabile delle imprese. Insomma, era una scelta di campo che sarebbe ricaduta pesantemente su chi lavorava e poteva avere anche degli ulteriori sviluppi di carattere negativo. Durante questa campagna d’informazione noi raccogliemmo le firme attorno a un disegno di legge per l’estensione dei diritti dello Statuto, perché nel frattempo erano sorti nuovi lavori che non erano previsti nel 1970, quando era stato varato lo Statuto, e le persone che svolgevano questi nuovi lavori avevano diritto ad analoga protezione. Il testo di quella proposta venne scritto dai giuslavoristi italiani di più lunga esperienza e di nota fama. Lo presentammo in Parlamento, ma purtroppo non se ne fece nulla. Penso che quel tema sia ancora d’attualità e che riprendere quella proposta sarebbe cosa molto utile non soltanto per i destinatari, cioè le persone che hanno lavori non protetti dallo Statuto, ma anche per gli equilibri e la qualità del rapporto all’interno dei luoghi di lavoro che ci sono oggi in Italia.

Nel frattempo, come dicevo, organizzammo la manifestazione. Un’organizzazione imponente, con grande sacrificio da parte di chi poi partecipò: arrivarono persone da tutte le città e le regioni del Paese, anche le più lontane. Il che voleva dire per molti partire la sera prima e viaggiare tutta la notte per arrivare a Roma al mattino in tempo per la manifestazione. Qualche giorno prima della manifestazione accadde una cosa terribile: venne assassinato dalle Brigate Rosse il giuslavorista Marco Biagi. Un atto tremendo che seguiva altri atti simili consumati qualche mese precedente e che divenne argomento di polemica contro la manifestazione che invece, come ovvio e naturale, intendeva difendere insieme ai diritti dei lavoratori, anche la democrazia. La manifestazione si fece ed ebbe una dimensione impressionante: 3 milioni di persone. Dalle isole arrivavano con le navi, mentre dal nord molti furono costretti a prenotare il pullman all’estero, in Jugoslavia o Svizzera, perché i pullman italiani erano già stati in precedenza prenotati da chi si era mosso prima. Insomma, una grande manifestazione che consentì di rilanciare il tema dei diritti e che riuscì allora a fermare l’azione del governo, che non ebbe più le condizioni politiche per poter modificare lo Statuto.

Flores d’Arcais: A quella manifestazione oltre a una massa straordinaria di lavoratori iscritti o comunque legati al sindacato, ci fu anche una partecipazione di popolo e di cittadini che facevano i più diversi lavori, di studenti ecc. Quell’anno si era aperto con un intervento straordinario dell’allora procuratore di Milano Borrelli, che inaugurò l’anno giudiziario con un esplicito attacco alla volontà del governo di ridurre i diritti e di comprimere l’indipendenza della magistratura. Quell’intervento si concluse con le parole che poi diventarono lo slogan delle manifestazioni di tutto l’anno: “Resistere, resistere, resistere”. MicroMega quell’anno aveva fatto un numero speciale per i dieci anni di Mani Pulite. La presentazione di quel numero, che si doveva svolgere in una sala da 500 persone, divenne poi una vera e propria manifestazione che si svolse in febbraio al Palavobis, che teneva 15.000 persone dentro, mentre fuori ne rimasero altre 30.000. Fu una cosa impressionante che non si era mai vista. Poi vi fu l’episodio di Nanni Moretti che passava a piazza Navona mentre era in corso una manifestazione di quello che allora si chiamava Ds. I dirigenti del partito lo invitarono sul palco convinti che Nanni avrebbe portato il suo saluto e il suo sostegno mentre lui disse la famosa frase: “Con questi dirigenti non vinceremo mai!”. E indicò come dirigente di una sinistra vera Pancho Pardi, che era stato il protagonista qualche settimana prima di un’altra iniziativa spontanea, la Marcia dei professori a Firenze. Questo per dire che c’era già un clima di fermento e di partecipazione che trovò nella manifestazione della Cgil il suo clou e che poi proseguì. C’erano manifestazioni quasi tutti i gironi, visto che il governo non solo voleva cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma faceva le varie leggi ad personam per salvare Berlusconi. Ricordo che in occasione della discussione in Senato di una di queste leggi, grazie a un tam tam spontaneo si organizzò una manifestazione che noi pensavamo di qualche decina o centinaia di persone e che invece occupò l’intero quartiere attorno al Senato, bloccò Corso Vittorio, invase piazza Navona. Vista quella incredibile partecipazione, ricordo che con Pancho Pardi e Nanni Moretti ci consultammo e decidemmo di lanciare una grande manifestazione per settembre. Salimmo su una seggiola rovesciata, non c’era un palco, non c’era nulla, e col megafono proponemmo una manifestazione per settembre a piazza Navona. Iniziarono ad arrivare le adesioni, ricordo che la Cgil ci diede un grande aiuto ma ci fu soprattutto una grande autoorganizzazione. Facemmo tutto in meno di un mese, dal giorno dopo Ferragosto fino al 14 settembre, a casa mia con Nanni e con Olivia Sleiter dei Girotondi, che fu l’organizzatrice vera e propria. Tu prima hai citato il fatto che alcuni dovettero prenotare pullman all’estero per venire a marzo al Circo Massimo. Per la manifestazione dei Girotondi in ogni piccolo paese la gente si auto-organizzò, nei modi più creativi. C’era per esempio chi affittava un pullman e poi lo faceva sapere in giro, sperando di riempirlo. E si riempivano subito. A Torino ci fu addirittura una persona che affittò un intero treno e naturalmente dovette pagare in anticipo una cifra molto consistente. Tre giorni dopo il treno era pieno. Il 14 settembre fu una manifestazione straordinaria, gigantesca. Vent’anni dopo non possiamo non chiederci come è possibile che quell’anno di manifestazioni gigantesche – che ebbero una scia per alcuni anni – non abbia dato luogo a qualcosa che sia rimasto e che oggi ci troviamo invece in una situazione totalmente rovesciata? Nessuno oggi riuscirebbe a portare in piazza più di qualche decina di persone per i valori che invece in quell’anno portarono milioni di persone in piazza. Di quei valori non c’è più segno visibile, l’articolo 18 alla fine è stato cancellato. Insomma come spieghi questo rovesciamento radicale?

Cofferati: La Cgil era una grande organizzazione, ed è ancora una grande organizzazione. In quell’occasione, come giustamente ricordavi tu, ha trovato una disponibilità fuori dal comune da parte di persone che non erano soltanto i lavoratori, ma era quella che allora veniva chiamata la società civile, persone che avevano visto e non condiviso le azioni del governo proprio perché andavano a colpire i diritti, i sistemi di protezione che, se non colpivano direttamente loro, colpivano altri con i quali vivevano quotidianamente. Nel caso poi dei Girotondi la cosa era ancor più marcata perché non esisteva un’organizzazione territoriale. C’era una spontaneità nelle persone impressionante, bellissima. Quello che si realizzò progressivamente a Milano, davanti al Palazzo di Giustizia, dove comincia sostanzialmente quella stagione, fino a Roma con la manifestazione della quale hai parlato, ha mostrato che in quei mesi c’è stato un crescendo costante di partecipazione. La cosa che mi ha sempre colpito positivamente è che ci fu una presenza attiva, straordinaria, anche del mondo della cultura e dello spettacolo. Ecco quel mondo che era un mondo spesso un po’ distratto, anche perché abbandonato a sé stesso dalla politica, si era risvegliato, si mise insieme alle persone che scendevano in piazza. Persone come Pancho Pardi e Nanni Moretti, che avevano un’identità di valori evidente, ma delle storie completamente diverse tra di loro e che facevano mestieri diversi, si sono sentite, spinte, mobilitate, vorrei dire, quasi obbligate nei confronti degli altri a dare visibilità a questi valori che riguardavano come si applica la giustizia, quali sono le regole e i comportamenti da tenere, fino ad arrivare alla connessione che tutto questo ha col sistema dei diritti individuali e collettivi che sono alla base dell’iniziativa e del lavoro sindacale. Ecco quel mondo, quella connessione tra cultura e economia, tra lavoro e gestione del tempo libero, non si è riproposta più in quella forma e in quella dimensione negli anni successivi, ma anzi si è progressivamente affievolita. Perché? Secondo me la ragione è molto semplice: la politica non è stata in grado di cogliere questa disponibilità e di trasformarla in una partecipazione e una condivisione dei ruoli e delle funzioni che sono propri della politica. E oggi ci troviamo in una situazione che personalmente molto mi preoccupa, nella quale i soggetti della rappresentanza politica e in parte le istituzioni nelle quali la politica opera e ancor di più i partiti (o i movimenti, come vengono chiamati in qualche caso oggi) non sono più identificati come luoghi di presenza, come luoghi dove si definisce la propria identità e dove si lavora perché la democrazia, le condizioni che riguardano il bene delle persone, si rafforzino. Questa distrazione, questa non partecipazione – che si può tradurre in una drammaticamente scarsa partecipazione al voto che ci sarà tra pochissimi giorni – è un elemento sul quale varrebbe la pena di riflettere molto, in primo luogo da parte dei partiti e non soltanto di quelli della sinistra. Io credo che i partiti (anche quelli conservatori), dovrebbero porsi questo problema e dovrebbero fare qualche ragionamento pubblico attorno a questo tema, che credo sia uno dei temi più importanti che dovranno essere affrontati. Anche noi per quel che possiamo, anche banalmente ricordando quel che è stato come stiamo facendo in questo momento, dobbiamo provare a fare qualcosa per ricreare una condizione nella quale le persone si sentano spinte a partecipare. Sono passati vent’anni dalla manifestazione dei Girotondi e poco più da quella del Circo Massimo. Quel clima va ricostruito con pazienza. Ce n’è bisogno, anche perché le condizioni delle persone che erano lì rappresentate non sono migliorate affatto, anzi in qualche circostanza sono visibilmente peggiorate e questa è una cosa inaccettabile.

Flores d’Arcais: Io condivido pienamente l’idea che il mondo politico di sinistra non ha saputo recepire la spinta che c’era nella società civile, ma penso che anche noi abbiamo contribuito con i nostri errori. Per quanto riguarda i Girotondi, penso che abbiamo fatto il gravissimo errore di non dare una qualche forma di organizzazione stabile a quel movimento spontaneo, che era stato gigantesco. Ogni pullman che si era auto-organizzato era potenzialmente l’equivalente di una sezione di partito, naturalmente in una forma totalmente nuova. Fra Nanni, io e Pancho, che avevamo la responsabilità di fatto perché eravamo il punto di riferimento riconosciuto di quel movimento, solo Pancho era disponibile a impegnarsi in questo progetto, mentre Nanni e io abbiamo la colpa di non averlo fatto. Ciascuno di noi aveva naturalmente i suoi motivi validi, personali e di lavoro, resta il fatto che io penso che se avessimo dato un’organizzazione stabile anche se, ripeto, nuovissima come struttura e totalmente fuori dalle tradizioni partitiche, a quella rabbia, saremmo riusciti a incanalarla. Una rabbia che poi ha finito per essere incanalata da Beppe Grillo, ma ovviamente con valori ben diversi da quelli dei Girotondi. Questa è una colpa che non possiamo cancellare. E c’è una colpa, naturalmente, anche del Pd, allora ancora Ds. E su questo però io voglio chiamare in causa anche direttamente te, perché tu ricorderai che a un certo punto proprio Nanni, Pancho, Paul Ginsborg e io ti venimmo a trovare alla fondazione Di Vittorio per parlare di questo tema. Tu dicesti le cose che dici anche ora, e cioè che bisognava assolutamente fare in modo che i partiti recepissero le istanze dei movimenti. Noi dicemmo molto brutalmente che il problema era che i gruppi dirigenti del partito non ci volevano. Avevamo avuto delle polemiche con D’Alema in primo luogo, ma anche con Fassino, molto, molto dure. E quindi proponemmo che il capo della nuova sinistra non potevi che essere tu e l’occasione sarebbero state le primarie per la scelta del nuovo segretario del partito che si sarebbero svolte di lì a poco e che erano aperte anche ai non iscritti. Ti chiedemmo di candidarti, garantendoti il nostro appoggio e tu, non ricordo se esplicitamente o indirettamente, ci facesti capire che lo avresti fatto. Almeno tutti noi capimmo così. Il giorno dopo leggemmo sui giornali che invece eri il candidato sindaco a Bologna per i Ds e noi rimanemmo di sasso. Tu come ricordi questi avvenimenti e pensi di aver sbagliato qualcosa anche tu?

Cofferati: Per quanto riguarda l’organizzazione dei Girotondi, io credo che fosse difficile e forse anche controproducente che assumessero una configurazione da partito. Quello che avremmo dovuto fare era, lo ripeto, lavorare dentro i partiti perché si aprissero degli spazi. È questo quello che non abbiamo fatto e credo che sia stato un limite, un errore. Ma dare immediatamente una struttura organizzativa, qualunque fosse, ai Girotondi, sarebbe stato difficilissimo, stante la diversità delle persone che li componevano. E anche controproducente perché avrebbe dato vita a un insieme di soggetti organizzati che si sarebbero immediatamente trovati in contrasto, anche molto pesante, con i partiti di sinistra. Dunque non avevate altra strada in quel momento, se non quella di provare a entrare nella periferia dei partiti per cercare di condizionarli, di far comprendere che i valori che venivano presentati pubblicamente e sostenuti con così tanta partecipazione da parte dei Girotondi dovevano essere anche i loro. Non averlo fatto non è una colpa, era oggettivamente molto difficile fare un passo di questa natura ed è comprensibile il motivo per cui molti di voi abbiano preferito continuare a difendere quei valori svolgendo il lavoro che svolgevano prima. Per quanto mi riguarda, la cosa è altrettanto semplice. Avevo molti stimoli a presentarmi al congresso del partito nel quale ero iscritto e avevo molto consenso tra le persone di sinistra e anche tra gli iscritti. Non avevo lo stesso consenso presso il gruppo dirigente. Il motivo per cui non mi sono candidato e non ho risposto positivamente alle sollecitazioni – compresa la vostra che mi aveva fatto molto piacere perché riconosceva un lavoro che avevo svolto, a volte anche con grande difficoltà e con un po’ di sofferenza – è che non volevo spaccare il partito al quale ero iscritto. Sono convinto che non sarei diventato il segretario del partito e l’unico risultato sarebbe stato portarmi addosso la responsabilità di dividerlo. Certo, non esiste la controprova. Però questa era l’impressione molto forte che avevo, confortata anche da cose che pubblicamente non venivano dette anche dagli stessi dirigenti nazionali, ma che poi in privato non venivano nascoste. Bologna fu una scelta particolare. A chiedermi di fare il sindaco furono il segretario dei Ds di Bologna e quello regionale dell’Emilia Romagna, senza aver detto nulla ai loro dirigenti nazionali. Ora fare un’esperienza di amministratore in un territorio era una cosa, da un lato, affascinante e, dall’altro, anche molto utile. Farla poi a Bologna, che era stata storicamente una città amministrata dalla sinistra e nella quale poi invece la sinistra era stata clamorosamente sconfitta, mi sembrava anche politicamente di qualche utilità. E per questa ragione alla fine non accettai l’ipotesi di candidarmi per il partito nazionale, mentre invece accettai la proposta – devo dire ancora oggi non so quanto gradita ai dirigenti nazionali – di fare il sindaco a Bologna.

Flores d’Arcais: Certo non avremo mai la controprova dei nostri eventuali errori. Io rimango dell’idea che se vent’anni dopo lo scontento nel Paese continua a crescere e per dieci anni è stato egemonizzato dal Movimento di Beppe Grillo, noi portiamo una parte cospicua di responsabilità. E penso anche che la forza che c’era alla base sarebbe stata più grande del peso che pure avevano i vertici organizzati dei partiti. E questa non è una discussione che riguarda solo il passato. Fra due settimane avremo di avere un governo di destra destra che odia la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista. Questo è un dato di fatto. Come ricominciare, come fare in modo che si torni a una voglia e una capacità di lottare, è una questione che non possiamo più eludere.

(credit foto ANSA – GIGLIA – CD / ALESSANDRO BIANCHI/ANSA/TO)



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