Gli scheletri nell’armadio del fascismo eterno italiano

Il libro “Dalla stessa parte mi troverai”, di Valentina Mira, finalista del Premio Strega, mette in difficolta coloro che non si riescono a dichiarare antifascisti, facendo emergere quelle storie che il fascismo eterno del governo Meloni vorrebbe nascondere, malgrado l’irresistibile afflato nostalgico.

Germano Monti

La prima considerazione che viene in mente dopo aver assistito alle esternazioni di esponenti del governo di destra e di giornalisti a loro vicini sul libro di Valentina Mira Dalla stessa parte mi troverai, finalista al Premio Strega, è in realtà una domanda: da quando in qua una schiera di governanti, fiancheggiata da giornalisti allineati (da Mollicone, passando per Foti, Storace fino a Italo Bocchino),  si può permettere di attaccare con virulenza inusitata non solo un libro e la sua autrice, ma l’intero impianto di un premio letterario gestito da un’associazione indipendente? Come ha ammesso, ridacchiando, Mario Sechi nel rispondere a una domanda di Lilli Gruber nel corso della trasmissione Otto e mezzo del 12 aprile scorso, il Premio Strega è uno di quei fortilizi dell’“establishment letterario di sinistra”  che ha bisogno di essere “riequilibrato”, cioè spostato a destra, come sta avvenendo con i vertici della Rai, dei teatri e di altre istituzioni culturali.
Nulla di nuovo: si tratta, in fondo, del tentativo di mettere in pratica le teorizzazioni di Pino Rauti, il fondatore di Ordine Nuovo poi rientrato ai vertici del Msi di Almirante, che già alcuni decenni or sono predicava la necessità di operare in termini “gramsciani”, strappando alla sinistra l’egemonia culturale, individuando in questo passaggio la chiave per conquistare i cuori e le menti e, di conseguenza, l’ascesa a un potere duraturo. Questa operazione viene ora portata avanti con brutalità e arroganza, entrando a gamba tesa nelle istituzioni pubbliche e perfino nelle iniziative private, come il Premio Strega.
Agli occhi di chi non può proprio definirsi antifascista, il libro di Valentina Mira fa l’effetto di un pugno bene assestato, perché svela in un solo colpo molte cose che da quelle parti si vogliono annebbiare. A esempio è  imbarazzante ricordare che nel non lontanissimo 2008 l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni, a braccetto con Giuliano Castellino (all’epoca dirigente di Forza Nuova) e in un tripudio di saluti romani, si recava a omaggiare i giovani fascisti uccisi il 7 gennaio 1978 davanti la sede del Msi di Via Acca Larenzia da un commando mai individuato, episodio seguito dalla morte di un altro giovane di destra, Stefano Recchioni, colpito da un carabiniere negli scontri avvenuti dopo l’attentato.
Pochi mesi dopo il tributo reso ai camerati caduti, Giorgia Meloni divenne ministra per le Politiche Giovanili nel IV governo Berlusconi, sostenuto anche da La Destra di Francesco Storace, Daniela Santanchè e Teodoro Buontempo. Nel 2024, non sarebbe credibile una destra di governo che restaurasse gli aspetti esteriori e i riti del fascismo storico, dalla camicia nera al dannunziano “eia, eia, alalà”. Tuttavia, per i pronipoti di Salò il richiamo a quello che Umberto Eco definiva “fascismo eterno” o “Ur-fascismo” appare un’esigenza irresistibile.
Se guardiamo gli archetipi del fascismo individuati da Eco, non possiamo non notare come siano presenti nella retorica di Giorgia Meloni e degli esponenti del suo partito. Per citarne alcuni: il culto della tradizione, innanzitutto, oggi declinato in tutti gli aspetti della vita sociale, compresa l’ossessione per l’alimentazione tradizionale, con la conseguenza del rifiuto della modernità e del ripudio verso la produzione culturale (e questo si vede proprio con gli attacchi sgangherati a un premio letterario…). Il rifiuto della critica e dello spirito critico, la paura della diversità, il razzismo. Parte costituente dell’ Ur-fascismo è l’ossessione per i complotti, anche di tipo internazionale (Soros, i non meglio definiti “poteri forti”, ecc.), così come il disprezzo verso i deboli, i poveri, gli emarginati, per finire con l’uso di una sorta di “neolingua” caratterizzata da una sintassi elementare, in grado di esprimere solo ragionamenti limitati. Il partito legittimo erede di quello di Giorgio Almirante non è il solo portatore di queste – e altre – caratteristiche, che ritroviamo anche nella retorica di Matteo Salvini e dei suoi.
Valentina Mira rende esplicita la corrispondenza di amorosi sensi fra il fascismo storico e gli odierni protagonisti dell’ Ur-fascismo al governo del nostro Paese, suscitandone le reazioni violente. Mostra la camicia nera che non spunta più da un doppiopetto, ma da un tailleur.
Altro elemento che ha scatenato le ire Ur-fasciste è il racconto di una vicenda sconosciuta o dimenticata, ma che contiene inquietanti riferimenti alla realtà odierna. Ne parlo con difficoltà, perché lo sfortunato e involontario protagonista io lo conoscevo.
A quasi dieci anni di distanza dai fatti di Acca Larentia, nel maggio 1987, le “rivelazioni” di una cosiddetta pentita (che all’epoca degli omicidi aveva solo quattordici anni) portano all’arresto di Mario Scrocca, infermiere ed ex militante di Lotta Continua e della sinistra extraparlamentare. Le dichiarazioni della “pentita” sono di una vaghezza che avrebbe dovuto indurre gli inquirenti a grande prudenza, ma in quel momento erano ancora ben presenti i virus della stagione emergenziale, nonostante le organizzazioni clandestine fossero state già sostanzialmente sconfitte. La “pentita” asserisce di essere stata presente alla riunione dove era stata decisa l’azione di Acca Larentia, che avviene dopo una lunga serie di violenze commesse dai fascisti verso militanti di sinistra (l’assassinio per mano fascista di Walter Rossi era avvenuto solo tre mesi prima). In quella riunione, secondo la “pentita”, era presente un certo Mario, che lei descrive genericamente come con i capelli scuri e ricci. Tanto basta per condurre in carcere Mario Scrocca con accuse da ergastolo.
Trentasei ore dopo l’arresto, Mario Scrocca viene trovato impiccato in quella che avrebbe dovuto essere una cella “anti-impiccagione”. Le lettere che lascia fanno pensare a un suicidio e anche le iniziative condotte dai compagni, dalla moglie e dall’avvocato Giuseppe Mattina arrivano alle stesse conclusioni. Resta il fatto che un giovane lavoratore, padre di un bambino di appena due anni, da un momento all’altro viene trascinato in carcere, in isolamento, sulla base di accuse inconsistenti (tanto che crolleranno in istruttoria) e con lo spettro dell’ergastolo. Non aveva, dunque, torto chi diceva e scriveva sui muri che Mario Scrocca era stato assassinato dallo Stato e dal carcere. Allora, agli occhi della destra Ur-fascista che oggi ci governa, l’altra colpa di Valentina Mira è quella di aver parlato, attraverso la vecchia storia di Mario Scrocca, di una questione estremamente attuale: la brutalità di uno Stato nelle cui carceri si muore anche oggi, dove anche oggi si verificano “suicidi” decisamente strani (vedi il caso del giovane romano Stefano Dal Corso), dove le condizioni di detenzione e le violenze contro i detenuti restano una costante. Per una destra che vorrebbe ripulirsi l’immagine ma non può scrollarsi di dosso il suo fascismo eterno, di fronte al libro di Valentina Mira è inevitabile reagire come il toro davanti al drappo agitato davanti ai suoi occhi. Oltretutto, un drappo rosso.
CREDITI FOTO: ANSA / Z49

 

 



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