Gli zapatisti in Italia per insorgere “insieme” contro il capitalismo

MicroMega ha seguito due degli incontri tra la delegazione dell’Ezln arrivata a Roma e gli attivisti della Capitale. Questo il nostro racconto. “Dal basso a sinistra”.

Daniele Nalbone

La Montaña. Questo il nome del veliero che ha portato in Europa una delle delegazioni dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), dopo un viaggio attraverso l’Atlantico durato cinquanta giorni e terminato in Spagna lo scorso 22 giugno nel porto di Vigo. Da quel momento è iniziata la Gira attraverso l’Europa. La delegazione è stata poi completata a metà settembre dall’arrivo, a Vienna, della seconda delegazione guidata dal Subcomandante Moisés e stavolta composta da 177 persone.

Un gruppo di zapatisti e i portavoce del Congresso nazionale indigeno (CNI) sono arrivati a Roma, mentre altre delegazioni sono in giro per l’Italia, per incontrare i movimenti dal basso a sinistra. Abbiamo seguito due incontri: il primo, nella giornata di domenica 31 ottobre, che si è tenuto al Lago Bullicante, specchio d’acqua naturale emerso ormai quasi trent’anni fa dai lavori di scavo di un centro commerciale e da allora oggetto di una strenua lotta degli abitanti per dichiararlo “monumento naturale” (qui la storia del lago); il secondo, nella serata di martedì 2 novembre, al centro sociale Ex Snia.

Il motivo di questo viaggio per la vita è sia simbolico, in quanto contrario rispetto a quello fatto da Colombo e Cortes e ricade nel cinquecentenario della caduta di Tenochtitlan per mano di Hernán Cortés, il 13 agosto 1521, sia prettamente politico: gli zapatisti sono qui per ascoltare le lotte europee, le lotte in basso a sinistra, e dimostrarci, come abbiamo fatto noi italiani ed europei con loro negli anni in Chiapas, che nessuno è solo nella battaglia contro il sistema. Un sistema che non può essere cambiato, ma solo rovesciato, distrutto. Gli zapatisti si riferiscono continuamente al sistema capitalistico che distrugge territori, usurpa risorse, non pensa all’essere umano ma solo al suo interesse. Un mostro che non finirà mai la sua opera, che continuerà a impossessarsi delle nostre vite e che per questo non proverà mai rimorso, non si pentirà mai. E allora, così come forte è il capitalismo, così dovrà essere forte la nostra resistenza, la nostra risposta.

Dall’altra parte, questi incontri possono servire a noi europei per capire il loro esperimento di autonomia, un esperimento che va avanti dal 1994 (anno dell’insurrezione zapatista, ndr), pur tra mille difficoltà interne ed esterne. Interne perché, come hanno spiegato durante l’incontro all’Ex Snia, non avevano un manuale dell’autonomia, ma hanno iniziato a capirla praticandola. Esterne perché sono da un quarto di secolo sotto attacco del malgoverno messicano, dei paramilitari, del sistema capitalistico che vuole le loro terre, le loro foreste, i loro fiumi per quelli che chiamano progetti di morte. La strada per non morire è una sola: resistere e combattere, insieme.

Ed è stata proprio questa parola, insieme, al centro dell’incontro del 31 ottobre con la portavoce del Congresso Nazionale Indigeno, Maria de Jesus Patricio Martinez, conosciuta come Marichuy, già candidata alle elezioni presidenziali del 2018.
Marichuy ha raccontato l’esperienza del CNI, nato nell’ottobre 1996 a seguito di due forum convocati dall’EZLN con l’obiettivo di creare uno spazio in cui tutti i popoli indigeni, le comunità, le tribù, potessero “incontrarsi, guardarsi, ascoltarsi”. Da allora “il CNI è diventato la grande casa di tutti gli uomini e le donne indigene del Messico”.

Tre le finalità e sette i principi, gli stessi dell’Ezln, che guidano il Congresso Nazionale Indigeno, composto da consiglieri, una donna e un uomo provenienti da ogni lingua delle diverse regioni ed eletti secondo usi e costumi delle loro assemblee. “Che i nostri popoli siano riconosciuti nella loro esistenza e nei loro diritti all’interno della nazione; che esercitino pienamente la loro autonomia; che si ricostituiscano in modo integrale contro il processo permanente di conquista che li ha distrutti, frammentati e sterminati”, le finalità. “Servire e non servirsi; costruire e non distruggere; rappresentare e non prevaricare; convincere e non vincere; obbedire e non comandare; scendere e non salire; proporre e non imporre”, i principi che guidano le “decisioni collettive e mai maggioritarie del CNI”, così come dell’Ezln.

“Tra noi che lottiamo nel CNI ci definiamo anticapitalisti”, ha spiegato Marichuy, “perché non vogliamo vivere una vita di sfruttamento, disprezzo, espropriazione e repressioni, ma piuttosto vogliamo vivere una vita degna, come facciamo quando difendiamo e ci prendiamo cura dei nostri territori, quando non permettiamo ai governi capitalisti di dirci come dovremmo vivere le nostre vite. E lo facciamo non perché vogliamo governare, ma perché crediamo in un mondo fatto di molti mondi”.

“A chi è in alto non interessa la sofferenza di chi è in basso”, ha ‘urlato’ Marichuy spiegando come “la nostra urgenza è farci forti per combattere i megaprogetti che stanno distruggendo i nostri territori”. Due i più gravi e pericolosi per la sopravvivenza stessa dei popoli indigeni messicani: il Tren Maya e il Proyecto Integral Morelos.

Il Tren Maya: devastazione mascherata da sviluppo
Con Obrador alla presidenza del Messico “non è cambiato nulla: le comunità indigene erano e restano sotto attacco”. Il governo “continua a simulare consulte con gli indigeni” dietro la “falsa narrazione che progetti turistici, infrastrutturali o industriali porteranno benefici agli abitanti di quelle terre” denuncia Marichuy. Questo è il caso del progetto del Tren Maya, un treno ad alta velocità che attraverserà quelle che sono le zone con maggior afflusso di turisti del Messico: Yucatán, Quitana Roo, Chiapas, Tabasco e Campeche. Un’opera imponente, tra i 6 e i 7 miliardi di dollari di spesa per costruire oltre 1.500 chilometri di ferrovia che “distruggerà gran parte dei territori delle popolazioni indigene di quegli Stati”, sottolinea Marichuy, mentre arricchirà i portafogli di grandi holding, come il Gruppo Carso del magnate Carlos Slim. Il rischio, denunciano gli attivisti, è che l’intera penisola dello Yucatán diventi “una nuova Cancún” con “zone hotelere al posto dei villaggi”. E a poco sono valse le rassicurazioni del governo, secondo le cui stime il 70% dei viaggi di quel treno sarà occupato da vagoni merci “per valorizzare le produzioni dei popoli dell’entroterra”. Perché quanto accaduto a Tulum, Playa del Carmen, Cancún, città fondata appena nel 1970 e oggi abitata da quasi un milione di persone a caccia di un impiego – nonostante i salari bassissimi – nella zona dei resort, è sotto gli occhi di tutti. Turisti. Turisti ovunque. E gli unici a beneficiarne sono “il capitalismo” e “la criminalità organizzata”.

Il Proyecto Integral Morelos e i difensori dell’ambiente sotto attacco
“Samir” è il nome di riferimento dei “popoli in lotta” del Messico quando si parla dello Stato di Morelos. Samir Flores Soberanes è stato il fondatore di Radio Amiltzinko, radio comunitaria, e portavoce del movimento di Huexca che si batte contro la costruzione di un gasdotto e due centrali termoelettriche cento chilometri a sud di Città del Messico. I motivi di questa lotta sono due: da un lato i rischi di far passare le condutture del gas attraverso la zona vulcanica del Popocatépetl, dall’altro le ripercussioni sull’ambiente e sulle coltivazioni. Samir Flores Soberanes è stato ucciso fuori dalla sua abitazione da tre sicari il 20 febbraio 2019, poche ore dopo aver partecipato a un’assemblea sull’opera, alla presenza di autorità dei governi statale e federale, durante la quale criticò fortemente il megaprogetto. Da allora la figura di Samir è diventata un’icona in tutto il Paese, soprattutto dopo che l’EZLN ha deciso di chiamare con il suo nome uno dei sette caracoles nati dopo l’ultimo levantamento zapatista di agosto 2019.
“Questa è la sorte che aspetta chi si oppone al capitalismo” denuncia Marichuy: “Morire, sparire o finire in galera”. Ma “siamo pronti. Perché oggi c’è in gioco la vita di tutti noi”.

 

(credit foto EPA/Carlos Ramirez)



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