Grillo e la difesa dell’indifendibile

Nello sproloquio diffuso per difendere il figlio dalle accuse di stupro Beppe Grillo difende l’indifendibile: ossia tutto il contesto di “goliardia” machista che rappresenta la cornice ideale nel quale poi avvengono le violenze.

Cinzia Sciuto

Fossi nel figlio di Grillo, colpevole o no, mi vergognerei molto di cotanto padre. E, colpevole o no, mi dissocerei dalle sue indegne parole. Parole che, se possibile, sono persino più gravi di quello che il figlio potrebbe aver fatto. Più gravi perché ponderate, più gravi perché pronunciate da un padre, più gravi perché dette da una personalità con un ruolo pubblico. Più gravi perché per difendere il figlio difende l’indifendibile: ossia tutto il contesto di “goliardia” machista che rappresenta la cornice ideale nel quale poi avvengono le violenze.

Forse Beppe Grillo non lo sa, ma è perfettamente normale che la vittima di uno stupro denunci (quando decide di denunciare) diversi giorni, persino diversi mesi dopo la violenza subita. Ed è perfettamente normale che subito dopo lo stupro cerchi di rimuovere quello che è accaduto conducendo una vita il più normale possibile, persino facendo sport. Spero dunque per Ciro Grillo che i suoi avvocati abbiano argomenti ben più fondati di questi per sostenere la sua difesa.

A Grillo padre invece consiglio la lettura di Lucky di Alice Sebold, in cui l’autrice racconta lo stupro che subì quando aveva 18 anni. Leggendo il libro scoprirà che le strategie difensive delle vittime di violenze sessuali sono le più diverse. Alice Sebold per esempio racconta non solo che lei non urlò, non si dimenò, non cercò di scappare ma addirittura che si spogliò da sola: il suo assalitore infatti non riusciva a toglierle i vestiti e lei, per paura che diventasse ancora più aggressivo, se li tolse «spontaneamente». Se avessimo assistito alla scena avremmo persino potuto pensare che fosse consenziente.

Non sappiamo se Ciro Grillo è colpevole o innocente. Anzi, la nostra Costituzione ci impone di considerarlo innocente fino a sentenza definitiva. Ma la strategia di screditare preventivamente quella che potrebbe essere la vittima di una violenza è miserevole.

Di tutto lo sproloquio grillino la frase forse più grave però è “sono dei coglioni, non degli stupratori” a proposito del comportamento del figlio e dei suoi amici che, pare, emerga dai video della serata in questione.

Quando ero una bambina avevo messo in giro delle voci infamanti su una vicina di casa. Era tutto falso, non ricordo perché lo feci, forse per il solito motivo: fare “la figa”, sentirsi accettata dal gruppo eccetera. Sta di fatto che mia madre lo venne a sapere e lo sguardo con cui mi fulminò in quell’occasione fece la differenza nella mia vita: uno sguardo di disapprovazione mista a delusione che non scorderò mai più. Sarei diventata una bulletta senza quella reazione di mia madre? Possibile, tutto è possibile. Di certo tornare a casa e trovare qualcuno che ti segnala che quello che hai fatto non è solo una ragazzata ma un comportamento inaccettabile perché lesivo della dignità di un’altra persona può fare la differenza fra rimanere solo dei coglioni e diventare dei bulli. O degli stupratori.



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