Grillo perde il pelo ma non il vizio

Pierfranco Pellizzetti

Confesso di aver riflettuto a lungo prima di inviare questo testo al nostro sito e di continuare a chiedermi se mi conviene farlo. Ma tant’è…

Lo faccio perché nell’interminabile querelle di commenti scatenati dal video di Beppe Grillo sul processo per stupro a carico di suo figlio Ciro, tra ciniche strumentalizzazioni e solidarietà cortigiane, non ho potuto leggere quello che mi sembrava giusto e opportuno scrivere.

Premetto che nelle regionali del 2015 – anticamera del successivo, clamoroso, successo alle elezioni politiche del 2018 – avevo deciso di sostenere i Cinquestelle. Dopo di che iniziai a collaborare professionalmente con il gruppo degli eletti liguri. Collaborazione che venne bruscamente troncata quando pubblicai un post in questo blog, in cui definivo il loro garante e guru massimo Grillo “un omofobo, xenofobo, sessista/maschilista”. Fui richiesto di ritrattare pubblicamente tale giudizio e – mi si dice – i muri di Regione Liguria vibrano ancora dei diapason del mio colloquio con l’allora capogruppo Alice Salvatore, che pretendeva prendessi atto che in futuro sarebbero state intitolate piazze e strade in onore di Beppe Grillo; e io le rispondevo che era una fanatizzata.

Visto che non le ho più parlato, non so cosa pensi oggi quella giovane militante che ha ballato una sola stagione, per poi correre un’avventura ingloriosa nelle regionali del 2020, come secessionista del Movimento; a cavallo di una lista da zerovirgola (0,89%) e dal nome involontariamente derisorio: “il Buonsenso”.

Per quanto mi riguarda, il giudizio sul Grillo io me l’ero fatto già da lunga pezza. Da quando – ragazzo – lo sapevo guadagnare le prime paghette come “tira-comizi” elettorali degli esponenti parafascisti della destra PLI genovese (al seguito di quell’Alfredo Biondi buonanima che una volta mi disse “sono liberale dall’ombelico in su e fascista da quello in giù”). E prima ancora, durante le villeggiature estive nel paesino appenninico di Savignone, dove ci si conosceva tutti e tutti si evitava i “due Grillo” – Beppe e suo fratello, dato per limitrofo al FUAN (gli studenti neo-fascisti) – anche per un loro atteggiamento verso le ragazze che potremmo eufemisticamente definire da “sciupafemmine ostentativi”; intollerabile per il perbenismo del tempo e per i villeggianti di una buona borghesia di cui allora faceva parte anche Fabrizio De André (che in futuro sarebbe stato testimone nelle seconde nozze di Grillo). Questo per dire che – al di là dei camuffamenti scenici – il milieu di provenienza e la relativa mentalità del patriarca di Sant’Ilario, la regola del lupo che perde il pelo ma non il vizio, risultano sufficientemente rivelatori di un DNA valoriale che produce conseguenti modelli educativi. Un clima familiare perfetto per allevare tipologie da dolcevitaro sciocco; superaccessoriato con pied-à-terre in Costa Smeralda.

Saranno i giudici a stabilire se Ciro Grillo è o meno uno stupratore; non certo gli avvoltoi politici che gli volteggiano attorno: dall’inemendabile Matteo Salvini al suo avvocato rampante Giulia Buongiorno; sempre pronta a stare dalla parte del torbido, come quando strillava “innocente” all’indirizzo di un Giulio Andreotti salvato dall’infamia di collusione mafiosa solo per via della prescrizione. Che brutta gente!

Che brutto spettacolo. In cui l’unica affermazione sensata – seppure da depurare dall’enfasi – è quella del padre del ragazzo inquisito quando grida: “mettete me in carcere”. Certo, non in carcere. Semmai inchiodato alle proprie responsabilità genitoriali (e anche la madre non scherza nelle sue dichiarazioni in quanto a giustificazionismo peloso, tipico di un femminile succube del maschilismo) che ha tirato su il figlio di un certo tipo e ora derubrica a goliardia l’animalesco balletto di un branco di infoiati in mutande attorno alla preda inebetita dall’alcol. Questo sarebbe il garante morale pentastellato.

 

(foto di Niccolò Caranti, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons)



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