La guerra in Ucraina, la sicurezza internazionale e la sinistra

L’espansione della Nato ha avuto un impatto sullo scoppio di questa guerra? Sì. Ma ci sono modi molto diversi per parlarne. Poiché tale questione è spesso un ostacolo nelle discussioni a sinistra sulla guerra, esaminiamola più in dettaglio.

Taras Bilous

«L’invasione russa dell’Ucraina non ha giustificazioni, ma la Nato…». È difficile descrivere le emozioni che io e altri socialisti ucraini proviamo per questo «ma» contenuto nelle dichiarazioni e negli articoli di molti esponenti della sinistra occidentale. Sfortunatamente, è spesso seguito da tentativi di presentare l’invasione russa come una reazione difensiva all’«espansione aggressiva della Nato» e quindi di spostare gran parte della responsabilità dell’invasione sull’Occidente.

Un esempio di ciò è l’editoriale di Susan Watkins su New Left Review. In esso, l’autrice definisce l’invasione russa di un Paese che non è oggi, ed è improbabile che diventi mai, membro della Nato una «guerra della Russia contro la Nato», negando di fatto la soggettività dell’Ucraina. Inoltre, Watkins sostiene che Biden «senza dubbio avrebbe potuto impedire l’invasione se fosse stato disposto a negoziare un accordo serio sulle frontiere militari».

Tale posizione è stata accolta criticamente da autori di sinistra dell’Europa orientale, in particolare da Jan Smolenski e Jan Dutkiewicz, i quali hanno sottolineato che gli Stati dell’Europa orientale hanno aderito volontariamente alla Nato, con il sostegno della maggioranza delle rispettive popolazioni, e lo hanno fatto date le proprie preoccupazioni, solitamente ignorate dai critici dell’allargamento della Nato.

Poiché questi problemi sono spesso un ostacolo nelle discussioni a sinistra sulla guerra in Ucraina, esaminiamoli più in dettaglio, soprattutto perché, a mio avviso, sono importanti anche per plasmare la strategia di sinistra sulle questioni di sicurezza internazionale.

Finlandizzazione

Questa guerra avrebbe potuto essere evitata accettando che l’Ucraina non aderisse alla Nato? Qualsiasi risposta seria a questa domanda deve tener conto del fatto che nel periodo antecedente la guerra, il Cremlino ha chiesto molto di più. In particolare, il progetto di trattato tra la Russia e gli Stati Uniti, pubblicato dal ministero degli Esteri russo il 17 dicembre, includeva una clausola in cui si affermava che gli Stati Uniti non avrebbero sviluppato una cooperazione militare bilaterale con Stati che facevano precedentemente parte dell’Unione Sovietica e non membri Nato (articolo 4) – cioè Ucraina, Georgia e Moldova.

Alcuni lettori possono presumere che questa clausola sia apparsa nella bozza dei trattati in modo tale che in seguito ci sarebbe stato qualcosa da concedere durante i negoziati, ma ci sono buone ragioni per dubitarne. Poco prima della pubblicazione della bozza dei trattati, Dmitri Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center, e Alexander Baunov, un collega dello stesso centro, hanno scritto che per le élite di Mosca una stretta cooperazione militare tra l’Ucraina e gli Stati Uniti era diventata inaccettabile quanto l’adesione dell’Ucraina alla Nato.

Pertanto, sebbene i media abbiano spesso ridotto le richieste della Russia alla neutralità dell’Ucraina, in realtà esse erano più serie. Lo status dei Paesi europei neutrali, in particolare Svizzera, Austria, Svezia e Finlandia[1], non impedisce loro lo sviluppo della cooperazione con gli Stati Uniti nel campo degli armamenti. Tutti questi Stati partecipano anche al programma Partnership for Peace (Pfp) della Nato. La cooperazione militare tra Ucraina e Stati Uniti è iniziata quando l’Ucraina ha dichiarato il suo non-bloc status. L’Ucraina e gli Stati Uniti hanno firmato un trattato sulla cooperazione militare nel 1993, organizzano l’esercitazione militare internazionale Sea Breeze dal 1997, cui la Russia ha preso parte nel 1998.

Dopo il 2014, la cooperazione militare con gli Stati Uniti e la Nato è stata un fattore importante nella modernizzazione dell’esercito ucraino. Senza di essa, la resistenza ucraina all’invasione russa sarebbe stata significativamente meno efficace. Se questa cooperazione fosse cessata su richiesta della Russia, l’Ucraina sarebbe stata meno sicura e quindi il governo ucraino avrebbe potuto essere costretto a soddisfare altre richieste russe. A questo proposito, il termine “finlandizzazione”, usato da molti autori, descrive meglio l’essenza delle richieste russe. Durante la Guerra Fredda, la Finlandia non solo non ha aderito alla Nato, ma ha anche tenuto conto di numerosi “desideri” della leadership sovietica, in particolare ha respinto il Piano Marshall ed estradato tutti i fuggitivi sovietici. (Inoltre, il Trattato finno-sovietico del 1948 prevedeva la cooperazione militare tra Finlandia e Urss in caso di attacco all’Urss attraverso la Finlandia.)

La Finlandia ha perseguito questa politica dopo la sua sconfitta nella guerra, in cui era alleata con la Germania nazista. Rendendosi conto che la leadership sovietica avrebbe potuto trasformare la Finlandia in un altro satellite qualora lo avesse desiderato, accettare alcune restrizioni in cambio del mantenimento del suo sistema politico e della sua sovranità apparve una soluzione razionale ai finlandesi. Allo stesso tempo, l’Ucraina non era in una tale difficile situazione prima della guerra in corso e la maggior parte non era d’accordo con le richieste russe.

Qui è ovvia la differenza tra l’originale “finlandizzazione” e la situazione alla vigilia dell’invasione russa dell’Ucraina. La politica finlandese di neutralità e considerazione degli interessi sovietici si basava sugli accordi tra Finlandia e Urss, mentre in Ucraina il Cremlino voleva negoziare con gli Stati Uniti e la Nato. All’epoca, il Cremlino aveva apparentemente perso la speranza che sarebbe stato possibile costringere le autorità ucraine a soddisfare le richieste russe, o che le forze filo-russe sarebbero salite al potere in Ucraina. Pertanto, il Cremlino ha deciso, contro la volontà del popolo ucraino, di negoziare il futuro del Paese con coloro che considerava i “padroni” di quel potere.

Va notato che il Cremlino potrebbe aver avuto bisogno della bozza dei trattati non come ultimo tentativo di negoziazione, ma per legittimare la sua invasione. Non sappiamo esattamente quando Putin abbia preso la decisione di invadere, e lo potremo dire con certezza solo una volta aperti gli archivi del Cremlino. Ma possiamo valutare le informazioni a nostra disposizione. L’essenza delle proposte russe era praticamente una spartizione dell’Europa in sfere di influenza tra Russia e Stati Uniti. Non so se Susan Watkins lo capisca, ma questo è ciò che ha effettivamente sostenuto nel suo saggio sulla New Left Review, scrivendo: «Chiedendo un accordo stabile sui confini militari, il Cremlino ha un buon argomento».

La crisi dei missili cubani

Immaginate: una rivoluzione nazionalista ha luogo in un Paese vicino a uno Stato imperialista che considera quel territorio come sua sfera di influenza. Lo Stato imperialista tenta di prevenire la perdita definitiva di influenza sulla politica del primo Paese usando la forza bruta e in combutta con gli oppositori della rivoluzione. Un governo post-rivoluzionario considera l’alleanza con una superpotenza rivale come una garanzia di sicurezza. Sorge la minaccia di una guerra nucleare. Questa è una storia non solo sull’Ucraina, ma anche su un altro Paese cui molti autori, tra cui il già citato Dmitri Trenin, hanno paragonato l’Ucraina: Cuba.

Naturalmente, ci sono molte differenze tra questi due casi. La classe e la natura ideologica delle rivoluzioni e delle superpotenze sono molto diverse. Ma per quanto riguarda la sicurezza internazionale, queste differenze non sono decisive. La crisi dei missili cubani è davvero una buona analogia per l’aggressione russa contro l’Ucraina, quindi diamo un’occhiata un po’ più da vicino.

La crisi dei missili cubani nacque dal dispiegamento di missili nucleari sovietici a Cuba e si concluse con il loro smantellamento in cambio delle garanzie statunitensi di non aggressione contro Cuba e del ritiro dei missili americani dalla Turchia. La cooperazione militare tra Cuba e Urss cessò in seguito? No. Le truppe sovietiche (che il governo cubano considerava una garanzia per la propria sicurezza) furono ritirate da Cuba? No.

In Ucraina non ci sono missili Usa con testate nucleari. Anche la partecipazione alla Nato non implica necessariamente il dispiegamento di missili – a questo proposito, l’esempio della Norvegia, unico Paese Nato con un confine con l’Urss durante la Guerra Fredda e quindi diffidente nel piazzare missili sul proprio territorio, è abbastanza eloquente.

Inoltre, gli Stati Uniti, pur respingendo l’opposizione della Russia all’allargamento della Nato, hanno allo stesso tempo proposto nuovi accordi per il controllo degli armamenti. Secondo Alexei Arbatov, membro dell’Accademia delle scienze russa e tra i massimi esperti russi in materia di sicurezza e disarmo, fino a poco tempo fa queste proposte erano avanzate anche dalla Russia ed erano di serio interesse in termini di allentamento delle tensioni e rafforzamento della sicurezza europea. Tuttavia, questa volta, la leadership russa le ha liquidate come “secondarie”.

Il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy diede garanzie di non aggressione contro Cuba e accettò di rimuovere i missili americani dalla Turchia. In questo modo, dimostrò che la sua preoccupazione principale era la sicurezza. Il presidente russo Vladimir Putin, invece, ha rifiutato l’offerta degli Stati Uniti ed è entrato in guerra. In tal modo, ha mostrato che la sua preoccupazione principale non era la sicurezza, ma il suo desiderio di riportare l’Ucraina sotto il controllo russo, o almeno la conquista di nuovi territori ucraini. In effetti, la cautela che gli Stati occidentali hanno mostrato nei confronti della Russia anche dopo l’inizio dell’invasione su vasta scala mostra la vacuità delle preoccupazioni per la sicurezza russa. La Russia ha la migliore garanzia di sicurezza: le armi nucleari. Lo stesso Cremlino non si stanca mai di ricordarcelo.

Per quanto riguarda l’Ucraina: e se gli Stati Uniti avessero fatto grandi concessioni alla Russia? Quali sarebbero state? Nel periodo precedente l’invasione, ci sono state numerose dichiarazioni secondo cui l’adesione dell’Ucraina alla Nato non era all’ordine del giorno. Il più schietto è stato l’ex segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer: «Tutti, incluso Putin, sanno che l’Ucraina non diventerà un membro della Nato nel prossimo e imprevedibile futuro. È già un Paese cuscinetto. Non lo sentirai mai dire al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg; la sua posizione non lo permette. Ma io ora posso dirlo». Tuttavia, il Cremlino ha chiesto una garanzia. Il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov ha prima risposto all’idea di una moratoria temporanea sull’espansione della Nato dicendo che era inaccettabile per la Russia, e lo stesso Putin ne ha parlato in modo critico pochi giorni prima dell’invasione.

Molto probabilmente, il Cremlino sarebbe stato soddisfatto solo in caso di completo adempimento delle sue richieste. Ma cosa avrebbe significato per l’Ucraina? Alla vigilia dell’invasione, le cose non andavano bene per Volodymyr Zelens’kyj, ora una superstar politica. I suoi indici di popolarità stavano scendendo, mentre quelli del suo principale rivale, l’ex presidente Petro Poroshenko, stavano salendo. L’accordo degli Stati Uniti sulle richieste della Russia avrebbe esacerbato la situazione. E se il governo ucraino, avendo perso il sostegno degli Stati Uniti, avesse soddisfatto una qualsiasi delle richieste del Cremlino, ciò avrebbe sicuramento condotto a una crisi politica e a un’escalation di violenza. È del tutto possibile che in questo modo si sarebbero create condizioni migliori per l’invasione delle truppe russe come “peacekeepers”. In questo caso, la realtà ucraina sarebbe stata molto peggiore di quella attuale.

Non sto affermando che negli ultimi mesi prima dell’invasione, l’Occidente e/o l’Ucraina non avrebbero potuto impedire la guerra. Ma un serio esame di questa possibilità richiede un’analisi più approfondita e l’accesso agli archivi del Cremlino. Penso che sarà una questione interessante per gli storici del futuro. Nel frattempo, quegli occidentali di sinistra, così ansiosi di criticare gli Stati Uniti per ciò che ha fatto la Russia, dovrebbero astenersi dal sostenere che Washington avrebbe dovuto semplicemente ottemperare alle richieste russe. Dopotutto, avrebbe facilmente potuto essere la decisione di un uomo – Vladimir Putin – a impedire la guerra. Tutto quello che doveva fare era non dare l’ordine di iniziare l’invasione.

Espansione della Nato

Fortunatamente, sulla questione dell’espansione della Nato gli storici hanno già fornito una risposta convincente. Una delle migliori analisi pubblicate finora è il libro di Mary Elise Sarotte Not One Inch: America, Russia, and the Making of Post-Cold War Stalemate. Sarotte fa un buon lavoro nel dimostrare che la politica della porta aperta della Nato ha effettivamente minato la cooperazione Usa-Russia sul controllo degli armamenti e la formazione di un più ampio sistema di sicurezza internazionale. L’espansione della Nato ha fornito carte vincenti ai revanscisti e ai falchi russi e ha seppellito le prospettive politiche dei liberali che sostenevano una più stretta cooperazione con l’Occidente, come l’ex ministro degli Esteri Andrei Kozyrev.

In questo senso, la crescita della Nato ha creato condizioni favorevoli allo scoppio della guerra. Ma anche come e perché ciò è successo è importante. Tony Wood, in un articolo nella stessa New Left Review, scrive che «l’emergere di un nazionalismo russo sempre più assertivo e militarizzato è inestricabile da quel processo [l’espansione della Nato], perché è stato da quello in gran parte determinato e rafforzato». Ma ciò che Wood non si chiede è perché l’espansione della Nato abbia causato una tale reazione. La risposta, a mio avviso, la si trova facilmente nel libro di Sarotte, a cui Wood fa più volte riferimento.

Si è trattato di una reazione al fatto che le legittime preoccupazioni per la sicurezza russa sono state trascurate, come hanno affermato molti autori? Non credo. Seriamente, come potrebbe l’adesione alla Nato della Repubblica Ceca e dell’Ungheria creare una situazione minacciosa per la Russia? Basta guardare una carta geografica per fornire l’ovvia risposta: niente da fare. Allora perché la loro adesione alla Nato è stata percepita negativamente dal Cremlino? Perché fino a tempi recenti appartenevano alla zona di influenza sovietica. E anche perché la loro adesione faceva parte della creazione di un nuovo ordine internazionale in cui la Russia non aveva più lo status di superpotenza al pari degli Stati Uniti.

È stato il dolore dell’impero perduto a provocare sentimenti revanscisti. Nel libro di Sarotte ciò è ripetutamente messo in luce, ad esempio quando Eltsin chiese uno status speciale per la Russia nell’ambito del programma Partnership for Peace, sulla base del fatto che la Russia era un «grande Paese con un grande esercito e armi nucleari» (p. 190). E gli europei dell’Est, dopotutto, potevano osservare queste emozioni dei russi con i propri occhi. Pertanto, invece di parlare dell’emergere del nazionalismo russo, come fa Tony Wood, a mio avviso è più appropriato parlare della trasformazione dello sciovinismo della grande potenza russa come reazione alla crescita della Nato. Quando divenne chiaro che la Russia non avrebbe occupato una posizione privilegiata nel nuovo ordine internazionale come avrebbero voluto le élite russe, ci fu un crescente desiderio tra loro di riconsiderare quest’ordine.

Il libro di Sarotte mostra anche che, fino a un certo punto, gli Stati Uniti hanno cercato di assecondare i sentimenti russi per non ostacolare la creazione di un ordine internazionale più sicuro. In particolare, ciò si è manifestato nel programma Partnership for Peace, concepito per garantire che le adesioni alla Nato non avvenissero troppo rapidamente, ma si trasformassero in qualcosa di più. E peculiarmente, nelle parole del presidente Bill Clinton, «l’Ucraina è il fulcro dell’intera idea [PfP]» (p. 188). Negli anni Novanta era ovvio per tutti che l’Ucraina non poteva aderire alla Nato. L’adesione dell’Ucraina alla Nato è stata una linea rossa per Mosca principalmente a causa dello stesso sciovinismo da grande potenza, a causa del ruolo speciale che l’Ucraina gioca nella mitologia nazionale russa.

Secondo Sarotte, è stato attraverso l’Ucraina che i governi dell’Europa orientale che volevano che i loro Paesi entrassero a far parte della Nato accettarono di partecipare al PfP come compromesso. Ma gli eventi in Russia, come il colpo di Stato antiparlamentare di Eltsin nel 1993 e la guerra in Cecenia, spinsero sempre più gli Stati dell’Europa orientale a fare pressione sugli Stati Uniti affinché consentissero loro di aderire alla Nato. Riuscirono a ottenere l’estensione dell’articolo 5 per proteggersi da una possibile aggressione armata dalla Russia. Ma il risultato fu una nuova linea di demarcazione in Europa che separava l’Ucraina dai suoi vicini occidentali. I Paesi meno minacciati dall’aggressione russa diventarono più protetti, mentre l’Ucraina, per la quale la minaccia era maggiore, si trovò in una “zona grigia”. Ecco perché nel dicembre 1994, dopo la pubblicazione del comunicato sulla politica della porta aperta della Nato, Kyiv si innervosì, mentre Mosca era furiosa (p. 201).

Un’altra conseguenza negativa dell’allargamento della Nato è stata che il processo di trasformazione in un’organizzazione internazionale della Csce/Osce[2], una conferenza per il dialogo Est-Ovest creata negli anni Settanta, non è mai stato effettivamente completato. La decisione degli Stati Uniti di fare della Nato il fondamento della sicurezza in Europa ha reso irrilevante il rafforzamento dell’Osce. Se la politica della porta aperta della Nato fosse iniziata almeno qualche anno dopo avrebbe offerto l’opportunità di trasformare l’Osce in un’organizzazione più efficace.

Dopo l’inizio dell’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina, l’Osce è diventata un’organizzazione completamente irrilevante e molto probabilmente morta. Ma questo non dovrebbe impedirci di vedere alternative allo sviluppo del sistema di sicurezza internazionale. La Missione speciale di monitoraggio dell’Osce ha svolto un ruolo importante nella risoluzione della guerra nel Donbas. Ma la sua influenza avrebbe potuto essere molto maggiore se il suo mandato fosse stato ampliato. L’Ucraina lo ha costantemente richiesto, ma grazie al processo decisionale consensuale in seno all’Osce, la Russia ha costantemente bloccato questa decisione. Così, il Cremlino ha sabotato l’attuazione del punto 4 del Protocollo di Minsk, che prevedeva il monitoraggio da parte della missione Osce dell’intera sezione del confine ucraino-russo nella zona di combattimento (e non solo dei due posti di blocco che la Russia ha consentito fino all’autunno 2021).

Nato e Csto

Prima di passare ai risultati, esaminiamo ancora un po’ gli atteggiamenti nei confronti delle alleanze militari. Potrebbe essere utile confrontare la Nato con la sua controparte russa, la Csto (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, istituita nel 1992).

In primo luogo, è possibile sostenere che la Nato sia un fenomeno contraddittorio, che da un lato funge da copertura per l’imperialismo statunitense, e dall’altro è uno strumento di protezione per molti Paesi più piccoli. Allo stesso modo, il Csto è una copertura per l’imperialismo russo ed è stato recentemente utilizzato per reprimere una rivolta popolare in Kazakistan, ma funge da protezione per un’Armenia relativamente democratica. Riconoscere questo fatto non ci rende dei fan dell’imperialismo americano o russo.

In secondo luogo, Susan Watkins scrive che la Nato si è rivelata «superflua» per invadere l’Iraq, ma non dice che è stato così a causa delle resistenze francese e tedesca. È anche significativo che il Kazakistan abbia rifiutato di inviare le sue truppe in Ucraina, anche se l’invasione è iniziata un mese e mezzo dopo che il Cremlino aveva contribuito a reprimere una rivolta all’interno dei suoi confini. Ma proprio come quello non fu un ostacolo insormontabile per gli Stati Uniti – crearono una forza multinazionale, aggirando la Nato – così il rifiuto del Kazakistan non ha impedito alla Russia di lanciare l’invasione dell’Ucraina. Non va dimenticato che il problema chiave in entrambi i casi è l’imperialismo (americano o russo), non la Nato e la Csto.

Terzo, dovremmo smettere di identificare tutte le azioni militari dei Paesi membri di alleanze militari con le azioni di queste ultime. Non è la Nato come organizzazione che sta conducendo un’operazione militare nel nord della Siria, è la Turchia. E il problema qui è l’ostilità turca verso i curdi, non la Nato. Allo stesso modo, se la Turchia attacca la Grecia, non è la Nato che attacca uno dei suoi membri. Inoltre, non è la Csto che ora è in guerra contro l’Ucraina, ma la Russia con l’aiuto della Bielorussia. Fortunatamente, il Kazakistan e l’Armenia non sono coinvolti nella guerra.

Inoltre, non si dovrebbe identificare la Nato con “l’Occidente” come ha fatto Susan Watkins nella sua dichiarazione: “La Nato ha vinto la Guerra Fredda senza sparare un solo colpo”. Non è stata la Nato a vincere la Guerra Fredda, e l’Occidente ha sparato molti colpi. La Nato è solo uno degli strumenti. Non sorprende che un gruppo di Stati, alcuni dei quali avevano una politica neocoloniale aggressiva, avesse tra i suoi molti strumenti anche un’alleanza difensiva, le cui funzioni cambiarono solo dopo che questo gruppo di Stati vinse la Guerra Fredda.

In quarto luogo, gli Stati Uniti e la Russia possono fare a meno della Nato e della Csto per le loro politiche imperialiste, ma non esiste ancora un’alternativa di difesa per gli Stati dell’Europa orientale e l’Armenia. E se non si può offrire un’alternativa alle persone dei Paesi che cercano protezione in tali organizzazioni, è meglio non esortarle a rinunciare a tale protezione.

Una strategia di sinistra per la sicurezza internazionale

Le decisioni prese negli anni Novanta e Duemila sono già diventate storia e il passato non può essere riavvolto. Concentrarsi ora su quegli errori sarebbe come criticare il Trattato di Versailles nel 1939, quando aveva già perso rilevanza. Ciò che serve ora sono soluzioni concrete che possano accelerare la sconfitta della Russia e rendere il mondo di oggi un luogo più sicuro. D’altra parte, come con il Trattato di Versailles, gli errori del passato possono offrire lezioni per plasmare la politica del dopoguerra.

L’espansione della Nato ha avuto un impatto sullo scoppio di questa guerra? Sì. Ma ci sono modi molto diversi per parlarne. Quando la sinistra e i “realisti” affermano che l’espansione della Nato “ha provocato” la Russia, stanno dicendo che in una certa misura l’invasione russa era almeno in parte giustificata, anche se lo negano. Watkins fa lo stesso, sostenendo che l’invasione russa «non è stata immotivata». È come dire che la rivoluzione cubana e la cooperazione del governo di Fidel Castro con l’Urss provocarono gli Stati Uniti. Certo, non è un problema per i “realisti” dirlo, ma chi a sinistra giustificherebbe in questo modo la politica aggressiva degli Usa nei confronti di Cuba?

Il fatto che la Rivoluzione cubana sia stata più progressista del Maidan ucraino non è una scusa per un simile doppio standard. Se un qualsiasi Stato imperialista vede una rivoluzione nella sua sfera di influenza come una minaccia per sé e un “cattivo esempio” per altri Paesi nella sua sfera, i socialisti non dovrebbero usare il fatto che tale rivoluzione sia sostenuta da una superpotenza rivale per condannarla. Va anche notato che ciò vale non solo per il Maidan del 2013-2014, ma anche per la Rivoluzione arancione in Ucraina del 2004. È stato dopo quest’ultimo evento, alcuni anni prima del vertice Nato di Bucarest, la cui dichiarazione ha proclamato che Georgia e Ucraina «diventeranno membri della Nato», che si è verificata una notevole frana nella politica russa, indicando che l’élite russa considerava gli eventi in Ucraina come una minaccia per sé.

Il confronto con Cuba ci dice anche che dobbiamo trattare preoccupazioni diverse in modo diverso. Il dispiegamento di missili nucleari vicino ai confini di un Paese e l’ingresso di un Paese vicino in un blocco militare o la cooperazione militare con uno Stato rivale sono di ordine diverso. Dovremmo sostenere e chiedere restrizioni reciproche al dispiegamento di armi nucleari (e per il disarmo nucleare globale in generale). Ma a volte l’unica vera alternativa alla cooperazione militare con uno Stato imperialista contro un altro è la totale sottomissione a un potere imperiale aggressivo. Gli abitanti privilegiati dei Paesi occidentali, che non devono preoccuparsi che il loro Paese possa essere conquistato dalla Russia, non hanno il diritto morale di criticare coloro che cercano protezione in collaborazione con quegli Stati occidentali. E se si critica qualsiasi cooperazione militare, allora la critica non dovrebbe trasformarsi in sostegno alla spartizione dell’Europa o del mondo in sfere di influenza.

Questo significa che la sinistra avrebbe dovuto sostenere l’espansione della Nato? No. Jan Smolenski e Jan Dutkiewicz sostengono che una critica intellettualmente onesta all’espansione della Nato porterebbe a una critica ai politici e agli elettori dell’Europa orientale che hanno abbracciato gli ideali di democrazia e autodeterminazione nazionale. Ma non è stato così. Le democrazie dell’Europa orientale avevano il diritto sovrano di fare la scelta che consideravano migliore per la loro sicurezza. Ma l’ingresso di un Paese in un’organizzazione internazionale dipende dalla decisione di entrambe le parti. E gli Stati Uniti dovevano fare una scelta che garantisse meglio la sicurezza non solo di quegli Stati che avevano aderito alla Nato, ma anche di quelli che non stavano entrando nella Nato. L’aggiunta di Paesi alla Nato potrebbe aver aumentato la loro sicurezza, danneggiando al contempo quella dell’Ucraina. Da questo punto di vista, la rapida transizione verso la politica della porta aperta della Nato era sbagliata.

Come hanno sottolineato Mary Sarotte e lo storico ucraino Serhii Plokhy in un articolo congiunto, negli anni Novanta gli Stati Uniti avevano un’opportunità molto migliore e molto meno costosa di risolvere il problema della sicurezza per l’Ucraina. In primo luogo, avrebbero potuto privilegiare lo sviluppo del programma Partnership for Peace rispetto alla rapida espansione della Nato. In secondo luogo, avrebbero potuto fornire all’Ucraina garanzie di sicurezza efficaci nel Memorandum di Budapest del 1994. L’Ucraina lo chiese all’epoca, ma sotto la pressione generale di Stati Uniti e Russia, il governo fu poi costretto ad accettare un pezzo di carta senza valore. Non dare tali garanzie in cambio di armi nucleari è stato un terribile errore che, alla lunga, ha inferto al disarmo nucleare un colpo ancora più grande dell’espansione della Nato.

Tuttavia, ciò riguarda il passato. Quali conclusioni si possono trarre per l’approccio della sinistra alla sicurezza internazionale per il futuro? Per la sinistra dell’Europa occidentale degli ultimi decenni, se c’era un’alternativa alla Nato, questa era l’idea di un sistema di sicurezza internazionale comune che comprendesse “Ovest” e “Est” dopo la fine della Guerra Fredda. Ma se ciò aveva senso negli anni Novanta, sembrava già irrealistico dopo il 2008 e ancor più dopo il 2014. Per qualche ragione, tuttavia, questi esponenti di sinistra hanno ostinatamente ignorato il fatto che la Russia, che all’inizio degli anni Novanta sosteneva un ruolo rafforzato per l’Osce, in seguito sia diventata la principale oppositrice della sua riforma e del suo rafforzamento. Un’altra parte della sinistra europea, in particolare l’alleanza di sinistra polacca Lewica, propone un sistema di sicurezza europeo come alternativa alla Nato: un esercito comune, uno scudo di difesa missilistica, una politica energetica, eccetera. Un tale sistema aiuterebbe i membri dell’Unione Europea, ma non quelli al di fuori dell’Ue. Al contrario, questo progetto porta con sé minacce di “Fortezza Europa” (lo stesso si potrebbe dire dell’idea precedente). Pertanto, la priorità deve essere data a un sistema di sicurezza globale.

Nella recente Dichiarazione di Atene, Jeremy Corbin, Yanis Varoufakis ed Ece Temelkuran hanno affermato che «una pace duratura può essere raggiunta solo sostituendo tutti i blocchi militari con un quadro di sicurezza internazionale inclusivo». È difficile non essere d’accordo con ciò, ma non hanno proposto strade per creare un tale quadro. Allo stesso tempo, esiste già un sistema che corrisponde alla loro descrizione, sebbene svolga le sue funzioni in modo inefficiente: è l’Onu. So che molti sono scettici sull’idea delle Nazioni Unite. Ma finora non ho visto nessuno dei critici suggerire un’alternativa migliore. E invece di cercare scuse per l’inazione, dovremmo cercare possibili modi per portare avanti i cambiamenti. Cos’è più utopico: riformare l’Onu o creare da zero un sistema simile che unirebbe i Paesi del Sud del mondo e del Nord del mondo, ma più efficace?

Sfortunatamente, anche dopo la dichiarazione di Zelens’kyj alla riunione del Consiglio di sicurezza sulla necessità di una riforma delle Nazioni Unite, l’unica risposta che ho visto nei media di sinistra è una spiegazione del perché ciò sia impossibile. Ma questo articolo di Jon Schwarz è rivelatore per ciò che non menziona mai: la risoluzione “Uniting for Peace“ come alternativa all’unanimità del Consiglio di sicurezza. Questa risoluzione mostra che la riforma non è così impossibile. Se il Consiglio non può davvero essere riformato, il suo ruolo deve essere marginalizzato. Mentre scrivevo questo articolo, si è fatto un passo in questa direzione: l’Assemblea generale, su iniziativa del Liechtenstein, ha adottato una risoluzione che prevede una sessione d’urgenza dell’Assemblea quando un membro del Consiglio di sicurezza si avvale del suo diritto di veto.

Abbiamo davanti a noi la prospettiva di un crescente conflitto tra Stati Uniti e Cina. E in questo conflitto, la sinistra internazionale non deve ripetere gli errori che molti al suo interno hanno commesso contro la Russia. Alla Cina potrebbe non dispiacere condividere le sfere di influenza con gli Stati Uniti, ma questo non è qualcosa che la sinistra dovrebbe sostenere. Invece di preoccuparci di considerare gli interessi della Cina, così come molti esponenti di sinistra si sono preoccupati di considerare gli interessi della Russia, dovremmo pensare a come proteggere i piccoli Stati dal dominio di tutti gli Stati imperialisti. In particolare, la sinistra internazionale dovrebbe pensare a come proteggere Taiwan senza permettere la guerra, non a come costringere Taiwan alla sottomissione alla Repubblica popolare cinese. (Il fatto che Taiwan non sia membro delle Nazioni Unite è un problema da risolvere, non un motivo per non difenderla.)

Alcuni autori di sinistra hanno sottolineato che, prese assieme, le popolazioni degli Stati che si sono astenuti durante il voto dell’Assemblea generale sull’aggressione russa contro l’Ucraina rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale. Ma suggerire che ciò rappresenti la posizione di metà dell’umanità significa ignorare l’imperialismo cinese e il governo indiano di estrema destra. A mio avviso, più importante è l’osservazione di Barbara Crossette secondo cui i piccoli Stati, in particolare i vicini dell’India, hanno sostenuto prevalentemente l’Ucraina. Ovviamente, si sentivano minacciati dalle grandi potenze vicine.

Non abbiamo affatto bisogno di idealizzare l’Onu. Finora, è stata davvero uno strumento inefficace. E anche senza il problema del potere di veto dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza, ci sono altri gravi problemi con la Carta dell’Onu. Come ha giustamente sottolineato Darrel Moellendorf, il principio dell’uguaglianza sovrana degli Stati ai sensi della Carta delle Nazioni Unite significa non opporsi alle incursioni armate nel territorio di altri Stati su invito del governo ufficiale di quello Stato a reprimere la rivoluzione, ma opporsi al sostegno degli Stati per i movimenti rivoluzionari in altri Stati. Ciò contraddice le idee dell’internazionalismo socialista. E a questo proposito, quei militanti di sinistra che hanno giustificato l’invasione russa della Siria facendo riferimento alla legittimità di questa invasione hanno in realtà tradito i princìpi socialisti.

Ma, nonostante tutte le sue carenze, per ora l’Onu è l’unica vera alternativa alle alleanze militari per proteggere i Paesi più deboli dalla sottomissione ai vicini più forti e lo strumento più promettente per democratizzare l’ordine internazionale e aumentare l’influenza degli Stati più piccoli e più poveri.

Come ho scritto in un altro articolo, forse è proprio ora che la Russia sta invadendo l’Ucraina che per la prima volta in tutti gli anni di esistenza dell’Onu c’è una reale possibilità di riforma. Nei decenni passati, questo era quasi impossibile, e in pochi anni il confronto tra Cina e Stati Uniti potrebbe diventare così acuto da renderlo di nuovo impossibile. Pertanto, dobbiamo agire ora. E la responsabilità maggiore è della sinistra che risiede nei Paesi che sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza.

P.S. Osservazione metodologica. Nel suo articolo, Susan Watkins ha accusato la stampa di «contorsioni casistiche». Usando la parola in questo senso, segue la tradizione stabilita dalle Lettres provinciales di Blaise Pascal, che criticavano aspramente la casistica dei gesuiti. Ma in realtà, la casistica cattolica come metodo di ragionamento pratico non era un fenomeno così negativo. Per inciso, Verso Books quest’anno ha pubblicato un’opera di Carlo Ginzburg su Pascal, Machiavelli e casistica. In un senso più ampio, la casistica è inerente a molte tradizioni culturali. E negli ultimi decenni ha vissuto una riabilitazione e una rinascita nella filosofia morale. Quindi, per prevenire accuse di casistica, dico subito che il mio approccio in questo articolo è stato casistico, in senso buono.*

(traduzione dall’inglese di Ingrid Colanicchia)

* Il testo è apparso per la prima volta su New Politics il 24 maggio 2022 con il titolo “The War in Ukraine, International Security, and the Left“.

[1] Il testo è stato scritto alcune settimane fa pertanto non menziona eventi e dichiarazioni recenti riguardanti l’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato. Ma penso che questi non facciano altro che confermare quanto sostengo nell’articolo.

[2] Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) che è diventata l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) nel gennaio 1995.



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