L’Ucraina, le contraddizioni dell’Occidente e il nuovo ordine mondiale

Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali, analizza le recenti decisioni della Nato e le prospettive della guerra in Ucraina.

Cinzia Sciuto

Al recente vertice della Nato di Madrid è stato messo nero su bianco che “la Federazione Russa è la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli alleati e alla pace e stabilità nell’area euro-atlantica”. Che giudizio di queste prese di posizione?
Mi pare si possa dire che è la presa d’atto che il 24 febbraio la Russia ha scatenato una guerra calda, portando il mondo in una nuova guerra fredda. Un’alleanza come la Nato, sopravvissuta oltre vent’anni fa all’estinzione del suo nemico istituzionale, ha rischiato di essere travolta dall’erede di quel nemico, la Russia di Putin. Questo è il rischio che è stato corso, e che è stato sventato. La definizione della Russia come principale minaccia, e direi minaccia esistenziale, alla sicurezza delle democrazie occidentali è semplicemente la registrazione di come la Russia si comporta ormai da anni, in maniera diretta dal 2014, ma in maniera indiretta dal 2006.

Se la durezza delle parole usate nei confronti della Russia era prevedibile, molti osservatori sono rimasti sopresi dai toni usati nei confronti della Cina, espressamente indicata come una delle forze che “sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori e cercano di minare l’ordine internazionale basato sulle regole”. La Nato è un’alleanza militare e in questo momento non si può dire che la Cina rappresenti una minaccia sul piano militare per i Paesi alleati. Questi toni non rischiano di esasperare le tensioni geopolitiche?
Penso sia stato importante avere preso una posizione molto netta anche nei confronti della Cina, qualificandola come uno sfidante. E questo sia per l’atteggiamento che la Cina ha avuto recentemente sulla questione della guerra in Ucraina sia più in generale per un atteggiamento che persegue da diversi anni. Mi spiego. Sul primo punto, nonostante le ambiguità e nonostante Putin non abbia avuto da Xi Jinping tutto il sostegno che chiedeva, è innegabile che se non ci fosse stato una sorta di disco verde da parte del leader cinese a Putin le cose in questi mesi sarebbero andate molto diversamente. Per cui la Cina ha una responsabilità diretta nell’attuale situazione.
Più in generale poi la Cina, con Xi in particolar modo e soprattutto negli anni più recenti, è passata da un atteggiamento di richiesta di revisione delle relazioni internazionali in termini maggiormente multilaterali anzi, meglio, di una sorta di bipolarismo sino-americano, a una politica di aperto attacco alla centralità occidentale. Ora, con tutte le enormi contraddizioni che l’Occidente si porta appresso, francamente le alternative proposte fino a questo momento sono chiaramente peggiori. Nelle agende alternative proposte dai Paesi autoritari non c’è nessuno spazio per la democrazia, l’eguaglianza di genere, la lotta effettiva alle diseguaglianze, la protezione e l’avanzamento dei diritti.

Ma la Nato non è un’alleanza politica bensì militare e al suo interno ci sono anche Paesi non democratici, penso per esempio alla Turchia.
In realtà la Turchia è l’unico Paese Nato a non essere una democrazia, e all’epoca era stato ammesso proprio per evitare che finisse nella sfera di influenza della Russia. Era il 1952 e sulla Turchia si esercitavano pressioni molto forti. Detto questo, penso che il punto debole sia della Nato sia dell’Unione Europea sia proprio quello dei criteri per la membership dei Paesi, molto criticabili dal punto di vista della democrazia.

Rimanendo alla Turchia, come legge la decisione di togliere il veto alla richiesta di ingresso di Svezia e Finlandia?
Erdoğan ha cercato di massimizzare un potere di veto che sapeva benissimo essere del tutto temporaneo, destinato a non essere esercitato in maniera permanente. Ha portato a casa alcune forniture militari che chiedeva da tempo e la promessa che Svezia e Finlandia non saranno più quella terra d’asilo che sono state finora per i militanti curdi.

Che quindi sono stati trattati come merce di scambio in questa vicenda…
A livello politico certamente sì, come purtroppo è accaduto svariate volte in questi anni. Ma ricordiamo che Svezia e Finlandia sono degli Stati di diritto, le decisioni politiche contano fino a un certo punto, ci sono poi dei giudici che devono decidere sulle eventuali estradizioni. E io non sono così sicuro che ne vedremo molte. A Erdoğan interessava avere un messaggio politico da dare in pasto alla sua opinione pubblica.

In ogni caso quei valori “occidentali” di cui parlava prima non ci fanno una gran bella figura…
Non c’è alcun dubbio, e sono esattamente quelle contraddizioni e ambiguità di cui parlavo. Vede, quando parliamo di Occidente parliamo in realtà di due cose diverse. Da un lato ci riferiamo al ruolo di “trascinamento” che l’Occidente ha avuto nel mondo negli ultimi 5-600 anni, cioè grossomodo da quella che chiamiamo l’età delle scoperte, che ha dato all’Occidente un enorme potere mettendo le basi per la nascita e il consolidamento della forma Stato. Poi c’è un secondo Occidente, inteso come l’insieme dei regimi democratici che sono in pace perpetua tra loro a partire dal secondo dopoguerra. Tra questi due sensi di Occidente ci sono certamente continuità, eredità eccetera ma ci sono anche tensioni e discontinuità. Se chi sta fuori dall’Occidente, comprensibilmente, ha in mente sostanzialmente il primo, guai se noi che stiamo dentro avessimo in mente esclusivamente il secondo perché le contraddizioni ci sono e noi dobbiamo lavorare per superarle: la tensione tra democrazia e mercato, la spinta dei politici a trasformarsi in oligarchie, le diseguaglianze eccetera. Ma senza democrazia non c’è neanche l’agenda politica per affrontare questi problemi.

Sono le questioni di cui parla nel suo ultimo lavoro, Titanic. Naufragio o cambio di rotta per l’ordine liberale (il Mulino, 2022).
Sì, due terzi del libro sono dedicati a una puntuale autocritica della trasformazione dell’Occidente a seguito della cosiddetta globalizzazione neoliberale, neoconservatrice, ordoliberale, e alla necessità di rimettere in equilibrio l’agenda progressista con la crescita economica. Un terzo del libro è dedicato alle minacce esterne. Ecco, quest’anno una di queste minacce esterne si è palesata in maniera eclatante.

Guardiamola allora più da vicino questa minaccia. Negli ultimi giorni, con il ritiro della Russia dall’Isola dei serpenti, che sembra preludere a una rinuncia alla conquista di Odessa, pare ci troviamo di fronte all’ennesimo cambio di strategia di Putin, è d’accordo con questa lettura?
Nessuno di noi ha accesso ai piani militari russi e quindi ci facciamo un’idea da quello che la Russia fa. Ecco, la sensazione è che stia continuando a ridefinire obiettivi politici e quindi anche militari. Prima pensava di risolvere la questione con gli ucraini semplicemente minacciando l’uso della forza, poi applicando appena un po’ di forza pensando che nessuno la contrastasse, poi sembrava volersi concentrare sul Donbass, poi invece anche chiudere il Mar d’Azov e poi il Mar Nero… In questo momento la strategia sembrerebbe: impediamo agli ucraini di usare il Mar Nero. Da tutti questi cambi di strategia mi pare si possa dire con chiarezza che la Russia non sia in grado di sostenere un conflitto di logoramento che duri mesi. Non c’è dubbio che gli ucraini hanno molte meno risorse umane…

Problema che non si risolverebbe inviando ancora più armi…
Beh, dipende dalle armi. Perché più sono sofisticate meno risorse umane servono per usarle. È proprio per questo che gli ucraini chiedono armi moderne ed efficienti. In ogni caso gli ucraini, pur essendo in numero nettamente inferiore, hanno una capacità di combattimento che invece i russi non hanno. Quando un ucraino muore la famiglia sa perché è morto. Ma i soldati russi per cosa muoiono? A oggi sono già 35mila i soldati russi morti in Ucraina: una cifra spaventosa per una guerra di pochi mesi. Pensiamo che gli americani in vent’anni hanno perso 3.500 soldati. Chi glielo spiega alle famiglie russe per cosa sono morti i loro figli? Aggiungiamo a questo la pessima organizzazione dell’esercito russo e avremo come risultato che la Russia non sarà in grado di condurre ancora a lungo questa guerra.

Ma non possiamo neanche dire che l’Ucraina è in grado di vincerla…
Dipende cosa intendiamo per “vittoria”. Vincere è una questione politica. I talebani in Afghanistan hanno vinto, ci hanno messo vent’anni ma il fatto di non aver ceduto ha consentito loro, vent’anni dopo, di dire che hanno vinto, a prescindere dal numero di morti e dalla devastazione del Paese. A meno che l’Ucraina e l’Occidente che la sostiene non lo vogliano, la Russia non è nelle condizioni di vincere politicamente questa guerra. Posto che sono gli ucraini a decidere a quali condizioni accedere a una tregua, penso che il respingimento della Russia sostanzialmente alle frontiere del 24 febbraio – anche se con delle eccezioni perché non penso che sarà possibile, per esempio, riconquistare Mariupol – sia una ragionevole condizione per potersi sedere e negoziare.

In questo quadro che significato ha la decisione del Consiglio europeo di accettare la candidatura dell’Ucraina a Paese membro dell’Unione Europea?
Innanzitutto, dà una risposta chiara alla richiesta ucraina che già dai tempi di Euromajdan, ma anche da prima, aveva indicato chiaramente la sua volontà di orientarsi verso l’Ue. Questa decisione significa dunque che si riprende quel percorso e si garantisce agli ucraini che quel percorso non gli può essere nuovamente scippato, come fu dopo Euromajdan. È dunque un segnale forte, che significa anche riconoscere che gli ucraini stanno combattendo anche per noi.

Credit foto: Soldati ucraini vicino Brovary, 8 marzo 2022. ANSA EPA/ROMAN PILIPEY



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