Gli scenari della guerra in Ucraina

La road-map dell’Italia: dal cessate il fuoco ai contingenti di pace.

Maurizio Delli Santi

Nonostante possa apparire un percorso decisamente in salita, nel contesto di un certo immobilismo della diplomazia internazionale va data la giusta attenzione alla road-map  presentata dall’Italia per l’avvio di un negoziato per la pace. È stata formulata al Segretario Generale delle Nazioni Unite, e anticipata anche al G7 e al Quint, il  gruppo informale composto dagli Stati Uniti e dalle Big Four dell’ Europa occidentale, Francia, Germania, Italia e Regno Unito, che coordina le politiche di questi Stati  in particolare nei rapporti con la  NATO e l’OCSE .

I contenuti salienti della proposta si articolano su quattro punti: cessate il fuoco, neutralità dell’Ucraina, sovranità e autonomie per Crimea e Donbas, “nuovo patto” sulla sicurezza internazionale. La cornice dei vari punti prevede pure un sistema di “garanzie”,  e un “Gruppo Internazionale di Facilitazione” con poteri di monitoraggio, controllo del rispetto degli accordi e un ruolo attivo nella ricostruzione.

I contenuti della proposta recano in sé indicazioni già elaborate dal dibattito dei mesi precedenti, ed anzi sembrano in buona parte riproporre un modello di intesa su cui si sarebbe dovuto lavorare dopo gli accordi Minsk II del 2015. Sui punti ora proposti è dunque verosimile che potranno emergere divergenze alla luce dei mutati scenari, sia dell’evoluzione politica che nel frattempo ha assunto l’Ucraina sul piano interno prima della guerra, sia per gli effetti di quest’ultima. Altri temi più critici, che probabilmente saranno i più discussi, riguarderanno lo status dei nuovi territori ora occupati dai russi e le responsabilità dei gravi crimini internazionali commessi nella condotta della guerra.

Sul “cessate il fuoco” già si prevedono non poche difficoltà, perché la proposta lo configura come conditio di partenza per i negoziati: un auspicio certo, ma molto difficile da far accettare soprattutto alla Russia. Si ipotizza comunque di ottenerlo almeno a partire da alcune aree, come Mariupol e dai cosiddetti “corridoi del grano” per soddisfare le esigenze alimentari globali.

In ogni caso, la tesi italiana è che il cessate il fuoco possa essere perseguito perché di fatto la guerra sta assumendo contorni di logoramento dannosi per tutte le parti, per cui è quanto mai necessario sostenerlo, prevedendo subito “meccanismi di supervisione e di smilitarizzazione della linea del fronte”.

Sulla “neutralità” dell’Ucraina il tema è stato ampiamente dibattuto e l’ipotesi –  salvo ripensamenti dell’ultima ora, viste le recenti scelte di adesione di Finlandia  e Svezia –  sembra già maturata dall’Ucraina, prevedendo sul punto un negoziato multilaterale in cui Kiev sia in ogni caso tutelata da “Stati garanti”. La neutralità dovrebbe quindi confermare che l’Ucraina non scelga più di aderire alla Nato, modificando nel senso la sua Costituzione attuale che invece lo prevede, mentre potrà aderire all’UE. In ogni caso la condizione di neutralità dovrà essere sancita da una Conferenza di pace.

Più problematiche rimangono le proposte di un accordo bilaterale tra Russia e Ucraina per lo status di Crimea e Donbas, per il quale si confermerebbe la sovranità dell’Ucraina. Si prevedono però ampie autonomie dei territori, con il riconoscimento di specifiche forme di autogoverno, diritti linguistici e culturali, e gestione autonoma della sicurezza. Il tema sarà ampiamente discusso perché sarà difficile, specie sulla Crimea, ma non solo, che la Russia accetti la sovranità dell’Ucraina: la considera ormai “annessa” al suo territorio, sebbene per il diritto internazionale si tratti di una “occupazione” de facto, quindi non riconosciuta legittima. Problematiche saranno anche le soluzioni che dovranno poi individuarsi per i nuovi territori ora occupati dalla Russia, per i quali sarebbe in ogni caso pienamente legittimo per l’Ucraina rivendicarne lo status quo ante, avendo subito una guerra di aggressione.

L’aspetto più interessante della proposta appare l’ultima previsione della road-map, dove si fa riferimento a un “accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa”. Si tratta, è bene chiarirlo, di un’importante apertura alle posizioni di Putin, che proprio all’esordio della guerra, aveva anche rivolto l’invito a rivedere la “architettura di sicurezza europea”, affinché, secondo la sua prospettiva, gli stessi Paesi europei si emancipassero dalle politiche egemoniche degli Stati Uniti. Il dibattito sulla sicurezza europea è stato comunque oggetto, come è noto, di una discussione interna tutta incentrata sul nuovo concetto di “autonomia strategica” dell’UE, che però non è affatto maturata, specie dopo la guerra in Ucraina, in un completo disallineamento dagli Stati Uniti, dalla Nato e dalla comune visione degli interessi “euroatlantici”.

Più in generale va pure ricordato che il dibattito internazionale si era declinato nell’ultimo anno in una visione della “sicurezza globale” dove, specie in seno al G20, è maturata l’idea di promuovere un “multilateralismo inclusivo” in luogo di una prospettiva più critica di un nuovo “scontro bipolare”, che invece si è ora riproposto.

Da qui l’idea, dunque, dell’Italia di rilanciare un modello di sicurezza europea incentrata sulla ripresa del dialogo per convincere la Russia che non vi è l’intento di perseguire una logica di accerchiamento a suo danno. La posizione in sostanza è quella anticipata recentemente dal Presidente della Repubblica Mattarella al Consiglio d’Europa, dove il riferimento è stato esplicito sul modello della  Conferenza di Helsinki. Questa “portò, nel 1975, a un atto finale foriero di positivi sviluppi”, da cui si originò l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), la sede in cui per la prima volta si avviò un processo di avvicinamento e di reciproca comprensione dei rispettivi interessi tra i  blocchi fino ad allora contrapposti.  “Helsinki e non Jalta: dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali”, ha indicato il Presidente, aggiungendo che occorre una “nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo, condivisa, coinvolgente, senza posizioni pregiudizialmente privilegiate”.

La proposta presentata dunque dall’Italia di un nuovo “accordo multilaterale sulla sicurezza” rilancia il modello dell’OSCE, prevedendo la ripresa delle misure di disarmo e controllo degli armamenti, di “prevenzione dei conflitti” e di “rafforzamento della fiducia”. In questa prospettiva, per l’Italia dovrebbe essere allora possibile perseguire il ritiro delle forze russe dall’Ucraina, e ripristinare le condizioni precedenti l’inizio della guerra, concedendo in cambio il ritiro delle sanzioni contro la Russia.

Quanto al Gruppo Internazionale di Facilitazione, si tratterebbe di un nucleo di “volenterosi” mediatori, in cui potrebbero essere rappresentati organizzazioni internazionali come ONU e UE, o altri Stati che già hanno intrapreso iniziative di mediazione come Israele e Turchia, la triade europea di Francia, Italia e Germania, e poi anche Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Polonia, ma si parla anche di Cina e India. A loro potrebbe spettare il coordinamento degli aiuti umanitari, ma anche il dispiegamento di osservatori e di contingenti di pace.

Al di là della sostanza della proposta, che potrà essere oggetto di modifiche, l’ aspetto importante da sottolineare dell’iniziativa sta nella scelta di aver comunque proposto un documento di lavoro.  L’ aver promosso la proposta all’Onu potrebbe segnare un cambio di passo,  un  momento per la ripresa della diplomazia internazionale, di cui l’Italia si è fatta interprete, in una fase di stallo delle iniziative delle stesse Nazioni Unite e dei negoziati già intrapresi tra le parti. Anche se potrebbe sembrare non in linea con il politically correct, va detto che su questo aspetto in molti osservatori è da tempo sorta una certa perplessità nel vedere il ruolo piuttosto dimesso del Segretario Generale delle Nazioni Unite, che probabilmente avrebbe potuto assumere iniziative più intraprendenti ed incisive. Il rappresentante dell’Onu si è sì dedicato agli aspetti, non meno importanti, della dimensione umanitaria della crisi, ma ha promosso un primo tentativo di diplomazia diplomatica, con scarsi risultati, solo il 19 aprile, a due mesi dalla guerra. E lo ha fatto solo dopo che duecento alti ex funzionari delle Nazioni Unite hanno fatto pubblicare una “lettera aperta” sul Guardian in cui hanno esortato Guterres a promuovere i suoi “buoni uffici” per una “strategia chiara di ripristino della pace”.

Quanto ai contenuti di una proposta concreta del possibile percorso di pace proposto dall’Onu, tuttavia, non si è avuta alcuna notizia. Insomma, dalla massima figura istituzionale delle Nazioni Unite ci si aspettava qualcosa di più, e non solo la reazione per aver visto in diretta i  bombardamenti russi durante la sua visita a Kiev, dopo il vano colloquio avuto con Putin. Nella storia dell’Onu si ricordano vari momenti critici in cui il Segretario Generale ha assunto iniziative forti, esponendosi anche sul piano personale. Lo svedese Dag Hammarskjold nel 1961 morì in Congo in un incidente aereo quando cercò di impedire la secessione del Katanga. L’egiziano Boutros Boutros-Ghali ebbe il coraggio di avviare una inchiesta sui massacri commessi a Cana (Libano) dagli israeliani, irritando questi ultimi e gli Stati Uniti, che non gli rinnovarono il secondo mandato. Il ghanese Kofi Annan nel febbraio 1998 si recò a Baghdad per cercare un accordo con Saddam Hussein su una ispezione internazionale sui siti militari. In ogni caso sono state tante le occasioni in cui le voci dei Segretari Generali si sono sentite quanto meno per rinnovare esortazioni solenni per l’avvio di negoziati sulla pace.

Questa iniziativa dell’Italia dunque potrebbe fungere da stimolo per un’azione più concreta dell’Onu, dove è bene chiarire che perché la proposta non rimanga “sulla carta” occorre non fermarsi. La stessa andrebbe infatti discussa innanzitutto con i vari attori internazionali già individuati come autorevoli mediatori, fra cui figurano certamente Cina, India, Turchia e Israele. Poi dovrebbe essere dibattuta in seno agli organi dell’Unione Europea per avere un consenso più esteso, e, se del caso,  portata anche davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Qui sorgeranno certamente delle divergenze, se  non anche il veto di alcuni Stati come la Russia, ma la stessa potrebbe anche adeguarsi se Cina e India fossero favorevoli o proponessero alternative per la pace.  Il  documento sarà fondamentale comunque come base di discussione anche di fronte all’Assemblea Generale, per trovare convergenze su alcuni punti o individuarne altri: questo è il lavoro della diplomazia.

Quanto sia importante questa fase di sviluppo di un dibattito sulla proposta è poi desumibile anche dall’ultimo aggiornamento della cornice giuridica in cui oggi si può muovere l’Onu rispetto all’immobilismo posto da un eventuale veto nel Consiglio di Sicurezza. Ci sono oggi due strumenti con cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite può intervenire con la forza della rappresentatività della comunità degli Stati. Il primo è il modello della Risoluzione Uniting for Peace GA 377(V)1950, adottata nella guerra di Corea, e che è stata richiamata proprio dalla Risoluzione A/ES-11/L.1  del  1° marzo 2022 con cui l’Assemblea Generale ha condannato la “guerra di aggressione” della Russia in Ucraina. Il secondo strumento è rappresentato ora anche dalla nuova previsione introdotta, proprio per le vicende della guerra, con la Risoluzione A/RES/76/262 del 26 aprile 2022. Ricordata come la “Risoluzione Liechtenstein”, si tratta di una decisione storica dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite  che ha affermato un principio fondamentale e rivoluzionario: da ora in poi i c.d. P5, i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno Unito, qualora intendano ricorrere al “potere di veto” sono chiamati a giustificare la loro decisione  “entro dieci giorni lavorativi” davanti ai 193 Paesi membri convocati nell’Assemblea Generale, “per tenere un dibattito sulla situazione in cui il veto è stato espresso”.

In sostanza, se la proposta della road-map italiana viene sostenuta da altri importanti attori e discussa all’Onu, ci sarà occasione perché la stessa faccia maturare un dibattito internazionale. Potrà anche essere emendata in alcuni suoi passaggi e modificata: l’importante è che la comunità internazionale ne discuta e alla fine trovi delle convergenze per imporre i negoziati per la pace, anche attraverso un “nucleo forte” di mediatori.

CREDIT FOTO: Un’opera contro la guerra installata in piazza Castello dal Collettivo Lumen art movement, Torino, 10 maggio 2022. ANSA/TINO ROMANO



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