La trappola della negoziazione

Se si vuole che ci sia un vero negoziato è necessario ridurre il potere della Russia e rafforzare la posizione dell'Ucraina.

Susann Worschech e Franziska Davies

Il 29 giugno sul settimanale tedesco Die Zeit, è stato pubblicato un appello di alcuni intellettuali tedeschi, fra cui la scrittrice Juli Zeh e il filosofo Richard David Precht, che chiedono all’Occidente di “fare del suo meglio per garantire che le parti raggiungano al più presto un accordo negoziale”. L’appello segue la lettera aperta promossa dalla rivista EMMA e inviata a fine aprile al cancelliere Olaf Scholz, che ha nel frattempo superato le 300 mila firme. Nel testo che segue le studiose di Europa orientale Susann Worschech, dell’Università Europea Viadrina di Francoforte sull’Oder, e Franziska Davies, dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco, contestano alcuni presupposti delle due iniziative.

Sì, non se ne può più. Da oltre quattro mesi, ogni giorno inizia con notizie di nuovi bombardamenti notturni sulle città ucraine e si conclude con notizie di crimini di guerra russi. Il desiderio di una fine immediata della guerra è grande quanto la compassione per l’Ucraina, soprattutto in Germania, dove dopo due guerre mondiali e un genocidio abbiamo amaramente imparato a risolvere i conflitti con le parole invece che nelle trincee. Tuttavia, e anzi proprio per questo motivo, la seconda lettera aperta di alcuni intellettuali è altrettanto sbagliata e pericolosa della prima. Innanzitutto, perché si basa su presupposti falsi, trae conclusioni errate e le argomentazioni non migliorano semplicemente ripetendole. Ma anche perché alimenta una pericolosa tendenza di cui soffre sempre più il nostro dibattito pubblico: i firmatari dell’appello ignorano le competenze degli esperti e confondono conoscenze e opinioni per poi presentarsi come “emarginati” dal dibattito pubblico.

Il primo falso presupposto della lettera aperta si riflette nell’invito all'”Occidente” a “intercedere presso i governi di Russia e Ucraina per sospendere le ostilità”. Questo approccio equipara l’Ucraina e la Russia a “parti in guerra”, come se stessero combattendo per un isolotto la cui appartenenza non è giuridicamente chiara. Ma le cose non stanno così: c’è un aggressore da un lato e un Paese invaso che si difende dall’altro. Nella prospettiva degli autori, che l’Ucraina aggredita insista sulla propria sovranità in base al diritto internazionale (che, tra l’altro, include naturalmente la Crimea occupata) è a quanto pare una “richiesta massimalista di una parte belligerante”. I firmatari dell’appello, tutte persone altamente istruite, non notano l’intollerabile arroganza di questa posizione? L’equiparazione di Russia e Ucraina come parti belligeranti su un piano di parità, di cui bisogna ritrovare la volontà di negoziare, non riconosce la realtà e la logica di quel fenomeno che si chiama “invasione”.

In secondo luogo, i firmatari dell’appello non hanno compreso l’importanza centrale dell’asimmetria in questa guerra. Putin l’ha iniziata perché vede se stesso e la Russia come nettamente superiori e la reazione europea come trascurabile. Finché la Russia potrà contare su un’asimmetria nella capacità militare, nel dominio dell’escalation e nella capacità di esercitare pressioni internazionali a proprio favore attraverso crisi create ad arte, dal punto di vista di Putin non c’è alcun incentivo ai negoziati: perché negoziare quando si può vincere? Quindi, se si vuole che ci sia un vero negoziato e non che una pace dittatoriale, è necessario innanzitutto raggiungere un certo equilibrio, il che significa che il potere della Russia deve essere ridotto al minimo e la posizione dell’Ucraina rafforzata.

Peraltro, ed è il terzo equivoco, una soluzione negoziale “da sola” non garantisce che non si entri comunque in una guerra di logoramento che può durare anni, né le sue conseguenze né un’escalation militare. La guerra della Russia nell’Ucraina orientale occupata, in corso dal 2014, dimostra che i negoziati possono anche essere usati come un’opportunità per un’ulteriore escalation. Tutti i negoziati nel formato di Minsk non hanno portato l’Ucraina né ad avvicinarsi alla sua sovranità territoriale né a un solo giorno di pace sul fronte orientale. Anzi, i territori occupati, compresa la Crimea, potrebbero essere trasformati in un’area di dispiegamento e rifornimento per la grande guerra della Russia contro l’Ucraina. Per evitare che la Russia sfrutti nuovamente un potenziale ciclo di negoziati per riarmarsi segretamente, è necessario indebolire preventivamente la sua capacità bellica e di pianificazione.

In quarto luogo, gli autori affermano che gli obiettivi “dell’Occidente” non sono chiari. Anche noi a volte dubitiamo che il significato della svolta rappresentata dall’attacco della Russia all’Ucraina e quindi alla pace e alla democrazia in Europa sia stato compreso nella sua portata, che richiedeva un sostegno più intenso e più rapido all’Ucraina. Tuttavia, che l’obiettivo di fermare il corso neo-imperialista della Russia e di difendere seriamente l’autodeterminazione dell’Ucraina e dell’Europa sia centrale è evidente dai sei importanti pacchetti di sanzioni decisi dall’Ue, la cui attuazione include anche la restrizione lituana al transito delle merci russe verso Kaliningrad, che gli autori considerano una “escalation”.

In quinto luogo, nell’appello si legge che senza un tentativo di negoziazione non si può presumere “che un’intesa sia impossibile e che Putin in particolare non voglia negoziare”. Evidentemente i firmatari non hanno notato gli intensi viaggi diplomatici fatti prima dell’inizio della guerra (forse perché non erano interessati all’Ucraina prima del 24 febbraio?), tutti finalizzati esattamente ai negoziati. Né hanno la reale percezione dei termini in cui si discute oggi in Russia. È almeno dall’estate del 2021 che Putin nega apertamente all’Ucraina il diritto di esistere. La riunificazione di tutti i popoli russi (compresi i bielorussi e i “piccoli russi”, come sono chiamati in modo dispregiativo gli ucraini) in un Grande Impero Russo è la sua promessa revisionistica. Le ex repubbliche sovietiche, l’Ue e la Germania stessa sono state apertamente minacciate. Prove cristalline indicano che da anni la Russia accumula aggressive risorse militari, economiche, finanziarie e di intelligence. Com’è possibile che tutto questo non abbia importanza? Se i firmatari della lettera aperta volessero fare qualcosa di più di un mero appello alla pacificazione, dovrebbero discutere seriamente su come iniziare i negoziati in queste condizioni.

Con tutti i suoi presupporti errati, questo appello è un sintomo di un problema fondamentale: l’ignoranza delle competenze esistenti, che porta a dibattiti inconsistenti e alla confusione tra conoscenze e opinioni.

Quando i problemi diventano complicati e potenzialmente pericolosi, è necessaria una competenza specifica. Questa affermazione, banale, è stata sempre più annacquata negli ultimi anni. È accaduto già nella valutazione dell’Euromajdan e delle sue conseguenze, ma anche nel corso della pandemia: le competenze autentiche acquisite con anni di studio, ad esempio da virologi altamente specializzati, venivano improvvisamente diffamate come “opinioni mainstream”, accanto alle quali le opinioni “dissenzienti” non sarebbero state ascoltate. Uno dei firmatari della lettera aperta, il politologo Johannes Varwick, ha recentemente denunciato questa situazione sulla FAZ. Nonostante le continue denunce di essere marginalizzati, la visibilità dei presunti emarginati in pubblico è in verità piuttosto elevata. Talvolta, però, sembrano avere difficoltà a gestire la situazione, per esempio quando vengono contraddetti con delle argomentazioni e quando le loro valutazioni vengono considerate come mere opinioni, non come competenze.

Nessuno dei firmatari si è mai occupato in modo intensivo di Russia o Ucraina e, viceversa, non c’è un solo esperto di Europa orientale tra loro. I firmatari non partecipano alle conferenze sull’Europa dell’Est, non cercano il dialogo con la comunità degli specialisti, né studiano le loro ricerche. Viceversa, non è un caso che nell’ambito degli studi sull’Europa orientale, che comprende molte discipline ed è il risultato di numerosi progetti di ricerca, eventi e pubblicazioni, esista un ampio consenso sulla percezione della guerra. Per anni, gli studiosi dell’Europa orientale hanno analizzato lo sviluppo della Russia verso un regime completamente autoritario con una politica estera imperialista aggressiva, nonché la complessa e ambivalente trasformazione dell’Ucraina verso una democrazia fragile ma autodeterminata.

In questo senso, entrambe le lettere aperte sono soprattutto una testimonianza del rifiuto dei firmatari di impegnarsi seriamente in un confronto nel dibattito pubblico. Chiunque ascolti i discorsi di Putin in originale, legga i suoi trattati revisionisti e segua i talk show russi è in una posizione migliore per valutare il regime russo rispetto agli accademici che non hanno queste conoscenze. Riconoscerlo, se necessario fare domande a chi di competenza ed essere in grado di ponderare il proprio contributo fa parte del minimo galateo scientifico.

La lettera aperta, con tutti i suoi presupporti errati presentati come dati di fatto, mostra le conseguenze problematiche di questa distorsione del dibattito. Nessuna delle richieste avanzate nell’appello si rivolge direttamente alla Russia in qualità di aggressore né mette a fuoco il vero problema. La lettera tace sul fatto che “cessate il fuoco” e “soluzione negoziata” in una situazione asimmetrica significano concretamente consegnare l’Ucraina a un regime di terrore che rapisce, tortura e uccide, brucia libri ucraini, ruba tesori d’arte e reprime brutalmente il dissenso e che la “pace” auspicata è una condanna a morte o al lager per intellettuali, attivisti, politici locali, nonché un invito alla Russia a invadere, dopo Sjevjerodonec’k e Lysyčans’k, anche Slov”jans’k, Zaporižžja e Dnipro, Odessa e Charkiv e infine Kyïv. Si può naturalmente ignorare tutto questo ma chi lo fa – soprattutto se è un accademico – non dovrebbe poi lamentarsi delle critiche e della presunta “emarginazione”.

(traduzione dal tedesco di Cinzia Sciuto)

* La versione originale di questo articolo è uscita con il titolo “Die Verhandlungsfalle” sul sito Ukraine verstehen il 6 luglio 2022.

 



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