Ha vinto Golia: i lavoratori di Amazon non si sindacalizzano

A Bessemer, Alabama, il colosso delle vendite online ha messo in campo ogni strategia, lecita e illecita, per evitare quella che sarebbe stata la prima sindacalizzazione dei suoi dipendenti.

Elisabetta Grande

L’attesa per i risultati della consultazione nello stabilimento di logistica di Bessemer, in Alabama, in cui i lavoratori di Amazon avrebbero dovuto scegliere se sindacalizzarsi o meno, si è conclusa venerdì 9 aprile. Nell’ipotesi in cui avesse vinto il sì, si sarebbe assistito alla prima sindacalizzazione in casa Amazon, con possibili effetti imitativi da parte delle altre centinaia di stabilimenti del colosso delle vendite online e del suo quasi milione di dipendenti. In molti ci avevano sperato. In gioco c’era la possibile inversione di rotta di una de-sindacalizzazione, che nel settore privato ha visto la percentuale dei lavoratori sindacalizzati negli Stati Uniti ridursi dal 35.7% nel 1952 ad appena il 6.2% nel 2018, passando per un 24,5% nel 1972. Si trattava dunque di una partita molto più grande rispetto non solo a Bessemer, ma perfino ad Amazon, che agli occhi di molti avrebbe potuto rappresentare un primo passo verso una svolta rispetto al drastico spostamento del reddito da lavoro dalla fascia medio-bassa a favore del top 1%, che a partire dagli anni ’70 ha prodotto un furto da 2.5 trilioni l’anno ai danni della classe lavoratrice.

Fra Davide e Golia, invece, ha vinto il gigante, che ha messo in campo ogni strategia, lecita e illecita, per evitare la sindacalizzazione dei suoi dipendenti. Ha vinto Amazon che – per capire quali fossero gli sforzi sindacali messi in campo dai suoi dipendenti – per mesi li ha fatti spiare dall’agenzia Pinkerton all’uopo assoldata; ne ha attentamente monitorato i profili social; li ha inondati di messaggi anti-sindacali; li ha obbligatoriamente convocati in “captive audience meetings”, in cui ha dato liberamente sfogo a discorsi intimidatori; ha raccontato bugie, quali l’obbligo di pagare le quote sindacali anche in capo ai non iscritti; ha perfino provato a impedire il voto per posta con argomenti Trumpiani, ottenendo comunque che le poste installassero una buca delle lettere all’interno dello stabilimento così da controllare il voto dei lavoratori e ha fatto addirittura allungare i tempi del verde del semaforo all’esterno dello stabilimento, per modo che i sindacalisti non avessero modo di parlare con i dipendenti. Si stima che negli Stati Uniti le imprese spendano circa 340 milioni l’anno in consulenze di esperti per garantirsi luoghi di lavoro liberi dai sindacati e che, allo stesso scopo, quando i dipendenti sono più di 60, addirittura nel 54, 4% dei casi le aziende pongano in essere pratiche anti sindacali illecite (unfair labor practices), che ricevono una sanzione talmente blanda da essere sempre convenienti.

Gli sforzi del gigante hanno prodotto i loro effetti: se più di 3000 dipendenti su quasi 6000 avevano chiesto il referendum (occorre che almeno il 30 per cento dei lavoratori domandi di poter votare perché la consultazione venga indetta), ed erano quindi presumibilmente desiderosi di sindacalizzarsi, al momento del voto solo 738 hanno votato a favore, contro 1798 contrari; tutti gli altri lavoratori si sono astenuti dal partecipare. Un ottimo risultato per il secondo datore di lavoro degli Stati Uniti, dopo Walmart, che sul referendum di Bessemer ha giocato il suo futuro e quello dell’intera gig economy.

Ha vinto Jeff Bezos, nonostante gli auto gol, dettati dal nervosismo, che hanno messo a nudo le drammatiche condizioni lavorative dei suoi dipendenti. Emblematica è stata l’inedita controffensiva scatenata su twitter dai così detti ambasciatori di Amazon, quei dipendenti cioè che, in base a un programma chiamato Veritas e in vigore dal 2018, vengono assunti per decantare le lodi di un posto di lavoro che in verità non conoscono. I lavoratori di Amazon, si sa, sono intensamente monitorati perché il raggiungimento degli obiettivi, sempre più ambiziosi in termini di consegna rapida delle merci ordinate online, è un imperativo non negoziabile (all’inizio del 2020, ci dice Forbes, la compagnia ha ridotto il tempo medio di consegna da 3.4 a 2.2 giorni, contro una media di 5.1 giorni dei suoi concorrenti).  È il capitalismo, bellezza, che richiede tempi sempre più veloci, per poter rimanere al top e tenere a distanza ogni possibile competitor. Velocità significa, però, anche non consentire a chi lavora che perda tempo con i suoi bisogni fisiologici. Negli stabilimenti essi devono essere ridotti al minimo, pena il licenziamento dopo tre volte che ci si reca in bagno in momenti diversi dai pochissimi consentiti. Fuori dagli stabilimenti, quando si consegnano le merci, non c’è soluzione alternativa alle bottiglie o ai sacchetti di plastica, come nel noto film di Ken Loach, Sorry We Missed You. E’ questa disumanizzazione del lavoratore Amazon che il senatore democratico Mark Pocan aveva osato criticare, provocando risposte sconvenientemente irridenti da parte degli ambasciatori di Amazon: “Ma davvero credi che i lavoratori Amazon debbano urinare in una bottiglia?” twittava uno di loro schernendo il senatore. Poco dopo, anche a seguito di una reprimenda interna per i toni irriverenti usati contro il Congressman, Jeff Bezos ammetteva obtorto collo per lo meno i disagi dei suoi fattorini, rivelando definitivamente, con le sue scuse, al mondo intero le tristi condizioni dei lavoratori Amazon.

Sono proprio le condizioni di insicurezza, precarietà e privazione di soggettività in cui si lavora, non la paga oraria che si percepisce, a trasformare i lavoratori Amazon – emblema di tutta la categoria della gig economy – negli schiavi del nostro tempo e a rappresentare le ragioni che hanno indotto i dipendenti dello stabilimento di Bessemer a chiedere il referendum per aderire alla Retail, Wholesale and Department Store Union (RWDS). (Sull’impatto di Amazon in termini di ricchezza e povertà negli States e sulle sue pratiche anti-sindacali si veda Alec McGillis, Fulfillment: Winning and Losing in One-Click America, New York, marzo 2021).

La paga oraria offerta da Amazon, più alta del minimo salariale previsto in Alabama- ma pur sempre più bassa rispetto a quanto percepiscono in quella stessa area e per attività analoghe i lavoratori sindacalizzati- è d’altronde l’unico modo per Jeff Bezos di attirare persone in un lavoro dalle condizioni così disagevoli. Proprio la difficoltà di resistere ai ritmi e alle condizioni sempre più disumane e robotizzate comporta, tuttavia, un alto turn over dei lavoratori Amazon e la conseguente incapacità degli stessi di auto rappresentarsi come classe.  Poveri e individualizzati essi hanno così un destino assai diverso rispetto ai pur poveri operai delle fabbriche degli anni ’30, la cui capacità di solidarizzare fra di loro e con i movimenti sociali esterni aveva prodotto negli anni successivi una loro crescente sindacalizzazione e il conseguente notevole miglioramento della corrispondente situazione salariale e di ogni altra condizione economica e lavorativa.  Pur rappresentando di fatto la nuova classe operaia, i lavoratori della gig economy mancano oggi di quella capacità di far rete, che nel passato aveva reso possibile la creazione del ceto medio-basso su cui gli Stati Uniti hanno edificato l’immagine di terra delle opportunità. Né essi possono contare sull’appoggio di un Congresso, presso cui Amazon è il secondo lobbista del paese, o sulla Corte Suprema federale, composta oggi da 6 giudici conservatori su 9.

La consultazione a Bessemer, si è detto, è avvenuta nello Stato più difficile, nel momento storico più difficile e contro il datore di lavoro più difficile. Si tratta certamente di difficoltà per i lavoratori, in una Bessemer in cui la povertà assoluta raggiunge il 30%, ma anche di un momento storico particolarmente delicato per Amazon. Se la pandemia ha permesso al gigante della vendita online di aumentare nel 2020 il suo giro di affari del 38% e il suo guadagno netto addirittura dell’84%, è pur vero che la rapida crescita ha richiesto e richiederà sempre più lavoratori disponibili, che proprio su questo potrebbero giocare per segnare dei punti a loro favore.

È una partita difficile, la cui momentanea conclusione con una schiacciante vittoria del ricco gigante sfruttatore pare se non altro aver indicato con chiarezza che solo una lotta dal basso, che sia partecipata, plurale e solidale e che coinvolga tutto il settore, può ridare al lavoro e alla classe medio-bassa la necessaria dignità (sul punto: Michael Goldfield, The Southern Key, Class, Race, and Radicalism in the 1930 and 1940, OUP, 2020).



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