Hépíng, il mito della pace in Cina

In Cina è parte della cultura nazionale l'idea di essere una nazione di pace e per la pace; ma la guerra è sempre stata una delle chiavi di volta della politica e, spesso, persino dell’etica cinesi.

Roberto Rosano

I cinesi conoscono molto bene l’ideogramma 和平 (Hépíng, pace), anche perché è la sostanza più semplice di uno dei maggiori luoghi comuni propagandati dal regime insieme a 和谐 (héxié, armonia). Nel febbraio 2022, nel corso di una conferenza incentrata sull’invasione russa dell’Ucraina, il ministro degli esteri Wang Yi sostenne che la Cina può vantare «il maggior record tra le nazioni di rilievo quanto a pace e sicurezza: noi non abbiamo mai invaso altre nazioni né preso parte  a conflitti, tantomeno abbiamo cercato di stabilire sfere d’influenza o partecipato a scontri tra schieramenti militari». Xi Jinping fece affermazioni molto simili in occasione delle celebrazioni della nascita di Confucio: «le idee pacifiste sono connaturate al mondo spirituale della nazione cinese, e costituiscono ancora oggi la filosofia di base nel gestire le relazioni internazionali». E ancora: «La pace è importante per l’umanità quanto la luce del sole e l’aria (…) senza le quali nulla può sopravvivere e crescere». Ne consegue che «la Cina ha bisogno della pace, ama la pace e desidera fare del suo meglio per mantenere la pace nel mondo e aiutare sinceramente chi sta soffrendo ancora per la guerra e la povertà».

I cinesi hanno sentito parlare di questa «differenza cinese», di questa attitudine pacifica derivante dal confucianesimo sin da quando erano bambini; l’hanno studiata a scuola e l’hanno ascoltata in tante circostanze. Fatichiamo a comprendere perché i cinesi continuino a considerarsi un’eccezione rispetto alle potenze imperialiste e coloniali d’Occidente: limitandoci al solo periodo comunista (un baleno nella lunghissima storia cinese), a noi vengono in mente la guerra sino-vietnamita del 1979 o le controversie territoriali con l’India iniziate negli anni Sessanta (non ancora sopite) oppure le incessanti rivendicazioni nelle acque antistanti le sue coste, l’insistente disconoscimento della sovranità di altri Paesi su atolli e isolette su cui ha posato gli artigli. Abbiamo costantemente davanti agli occhi le esercitazioni militari cinesi, congiunte con le forze armate russe, e ora anche sudafricane, e le vigorose e sempre più intimidatorie dimostrazioni di forza nei confronti di Taiwan.

L’Esercito popolare di liberazione conta circa due milioni di uomini in armi ed ha una marina militare e delle forze aeronautiche tra le più tecnologicamente avanzate. I cinesi dispongono di una enorme disponibilità di missili, anche subsonici, di velivoli da combattimento stealth, di bombardieri in grado di venire armati con ordigni atomici, di navi avanzate, di sottomarini a propulsione nucleare, in continuo e rapido aumento.

Ma volendo mettere il naso nel passato più remoto della Cina, scopriamo che la guerra è sempre stata una delle chiavi di volta della politica e, spesso, persino dell’etica cinesi. Maurizio Scarpari in La Cina al centro. Ideologia imperiale e disordine mondiale (il Mulino, 2023) ha scritto che «L’immagine idealizzata e accattivante, trasmessa all’Occidente dai primi viaggiatori e missionari, di una Cina pacifica e giusta, retta da colti funzionari-letterati che governavano con saggezza e virtù, contrastava nettamente con la situazione reale (…). Nella cultura cinese conflitto e armonia sono concetti opposti e, al tempo stesso, complementari e rappresentano aspetti diversi di una realtà che non è mai stata concepita come statica, ma in perpetuo movimento. È l’eterna tensione tra questi due poli, più che l’ideale di una pace incontrastata, ad aver attratto l’attenzione degli intellettuali cinesi fin dalla più remota antichità».

Del resto, persino l’Imperatore Giallo, uno dei numi tutelari della civiltà cinese, non si sottrasse alla forza bruta delle armi e l’impero di mezzo, esattamente come tutti gli altri, ha avuto confini volubili, che si sono espansi o ridotti in conseguenza delle doti militari e delle ambizioni dei suoi sovrani e dei suoi generali. Eppure la propaganda imperiale prima e il Partito Comunista poi hanno sempre alimentato  il mito della Cina promotrice di pace e armonia. Il Position paper cinese sulla guerra in Ucraina rivela una postura tutt’altro che neutrale sul conflitto in corso e dimostra la flessibile spregiudicatezza con cui Xi Jinping si muove nel consesso internazionale, sfruttando uno dei fondamentali precetti del Sunzi bingfa, uno dei tanti testi cinesi sulla scienza della guerra: la tecnica della dissimulazione, vale a dire la presentazione della realtà in modi ambigui, sfuggenti, opachi: «l’obiettivo», scrive l’autore, probabilmente Sun Wu, «è quello di mettere l’avversario in una relazione asimmetrica in modo tale che, mentre è esposto al nostro scrutinio, noi restiamo invisibili al suo». Nel documento in dodici punti noto come Position Paper ( per esteso Posizione della Cina sulla soluzione della crisi ucraina), si rivendica una presunta neutralità cinese, si caldeggia la ripresa di un dialogo diretto tra i Paesi rivali (punto 3), si delega ogni iniziativa ad una non meglio precisata «comunità internazionale» (l’Onu, il cui Consiglio è immobilizzato dai veti russi? L’Assemblea, che si è già espressa contro l’invasione senza cavarne nulla?), si ribadisce il rispetto dell’integrità territoriale, senza precisare quali siano i confini dell’Ucraina (con o senza la Crimea, le regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporižžja e Kherson?). Ma il punto più interessante della proposta di pace cinese è il 12, laddove si scongiura l’utilizzo «dell’economia globale come arma o strumento a scopi politici». Come se non ricordassimo quando la Cina, nel 2010, ridusse le esportazioni di terre rare in Giappone a causa della crisi diplomatica sulla sovranità delle isole Senkaku/Diaoyu! Come se non ci fossimo accorti delle misure ritorsive prese dal dragone nei confronti dell’Australia o della Lituania.

[Trovi qui il primo lemma del dizionario ragionato di mandarino]

CREDITI FOTO: © Li Gang/Xinhua via ZUMA Press via ANSA. Xi Jinping durante un’ispezione militare, settembre 2023.



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