Ho incontrato… una dea cyborg

“Vivere come dee cyborg. Questo è ciò per cui noi dovremmo lottare”. Intervista alla musicista e attivista Helena Velena.

Emanuela Marmo

La Whirlpool negli ultimi 26 mesi ha triplicato i profitti. Tuttavia, nonostante nel 2018 abbia sottoscritto un accordo di reindustrializzazione del sito di Napoli, con lo sblocco dei licenziamenti attuato dal governo, ha mandato a casa 340 operai. È accaduto anche ai 422 dipendenti della Gkn a Campi Bisenzio e ai 152 di Giannetti Ruote.

Che fine fa la nostra repubblica fondata sul lavoro? Il nostro paese di donne e uomini che, coscienti di essere una parte del tutto, vanno a costruire operosamente l’Italia e la sua storia, come ci ha insegnato il libro Cuore? Deve lottare?

Mi sono trovata a parlare di lotta, di lavoro e di felicità ad un banchetto organizzato da amici su un tetto di Roma. Tra coppe di vino e pane abbrustolito, ne ho discusso con Helena Velena: «Ho sprecato molto tempo della mia vita facendo “politica”, una politica generata da narrazioni proposte, avanzate, sostenute da forze comuniste di partito. Lotte che si sostenevano su costrutti forzati abilmente, il cui senso autentico era solo di agire in chiave antiamericana, ma non c’era nessun progetto reale che ci avrebbe portato a una società più giusta e quindi più felice».

Ci sarà una via d’uscita, no? Secondo Helena Velena, è necessario un paradigma teorico alternativo a quello che sorregge le ideologie e il consumismo: «Il conflitto tra mercato e società si legge nell’ambiente e, ovviamente, si legge nel lavoro, però ancorare il concetto di lavoro all’economia di mercato e di produzione, lottare per “assicurare” il lavoro, non emanciperà l’uomo. È una nuova economia che si deve produrre, una economia che non richieda la fatica, in cui il denaro non ci assoggetti. Come fare? Possiamo ricominciare da teorie che presumiamo di conoscere e che in realtà abbiamo dimenticato o distorto. Possiamo ricominciare leggendo Marx, ad esempio.

L’incontro positivo tra me e Marx avviene sul ruolo che la tecnica e la tecnologia devono avere per l’umanità. Marx – quando parlo di Marx, non parlo di marxismo – sosteneva che la tecnologia avrebbe spinto in avanti il capitalismo; il capitalismo per un certo periodo avrebbe migliorato le condizioni di vita delle persone; il sistema sarebbe poi imploso per la sovrabbondanza di merci prodotte e la saturazione degli sbocchi. Questa è la fase in cui la società avrebbe realizzato il comunismo, ovvero una società in cui le persone sono emancipate dalla fatica». Ed è qui che il pensiero anarchico, situazionista di Helena inserisce, innovandola, la visione pre-cristiana di Epicuro, Lucrezio, Ovidio, facendone una chiave di previsione del futuro: «Il futuro è femminile. Femminile, non femminista. Possiamo prepararci all’avvenire diventando dee. Anche i maschi eterosessuali dovrebbero diventare dee: non è una definizione di genere che sto dando, è una qualità spirituale che prenderà il sopravvento sulla volontà di dominio. Saremo dee cyborg perché la tecnologia permette di trasformarci, di allargare l’ipotesi femminile che non riguarda la mera, biologica facoltà di creare altri corpi, bensì la facoltà di creare sé stessi. La tecnologia ci trasforma in corpi procreanti, potenziati, corpi trascesi nei desideri, visioni incarnate e attuali. Noi saremo figlie di Prometeo. Prometeo, rubando il fuoco, ci ha consegnato la prima scoperta a partire dalla quale ci siamo evoluti, ci ha insegnato che così, grazie al fuoco, ovvero grazie alla conoscenza e alla tecnica, possiamo vivere come gli dei, negoziare con loro, scopare con loro, sostituirci a loro. Quindi è questo ciò per cui noi dovremmo lottare: per vivere come dee».

Come vivono le dee cyborg? Danzano e gioiscono in una incessante festa mobile, si liberano proiettandosi oltre l’emergenza, costruendo nel futuro l’età dell’oro: «Non dobbiamo lottare per il lavoro, che non possiamo inventare se non c’è più. Dobbiamo lavorare per l’accesso universale ai beni comuni. Dobbiamo lottare perché sia largamente diffuso un reddito di base, un reddito di esistenza, che permetterebbe al sistema di funzionare e a noi di avere il tempo e le condizioni per vivere esperienze affettive, culturali, sociali, per oziare, per dissertare, per creare, per fare festa: festa è interruzione dalla fatica, dal dolore, dalla gerarchia, dal sacrificio. Dobbiamo lottare perché questa non sia l’eccezione normata dalle istituzioni, bensì un vero e proprio modello sociale, che sopprime la schiavitù e afferma i valori della gioia come ricchezza condivisa.

Una volta lavoravano solo i poveri che, lavorando duramente, potevano sopravvivere. Le dee cyborg affermano invece che a tutti spetta di sopravvivere e che a lavorare debbano essere i ricchi o chi desidera essere ricco: i ricchi lavoreranno per servire quelli che si accontentano di sopravvivere. Il rito dell’inversione, cioè, deve diventare una conquista permanente. Sembra una utopia, certo. Cionondimeno, modelli intermedi non sono affatto impossibili». L’Islanda, ad esempio, ha intrapreso la più grande sperimentazione a livello globale della settimana lavorativa di 4 giorni, adottata dall’86% dei dipendenti islandesi. La salute dei lavoratori migliora, meno stress, il rischio di burnout cala, le persone sono più felici e quindi persino più produttive.

Le società democratiche hanno tentato di perseguire il benessere sociale attraverso svariati modelli. Attualmente, vanno affermandosi politiche che non garantiscono il benessere, ma organizzano la distribuzione di servizi e diritti, tuttavia è l’individuo a essere responsabile del proprio benessere, in quanto ottiene ciò a cui riesce ad accedere: i servizi erogati sono un premio a sforzi individuali e sono offerti a chi ha fatto le scelte giuste. Pensiamo a come Salvini qualifica il reddito di cittadinanza: diseducativo. Si capisce bene che i diritti sono concepiti non come beni essenziali e inalienabili, bensì come ricompense: tale ragionamento è nei fatti discriminatorio in quanto ignora le disparità esistenti a livello socioculturale o imposte da circostanze di vita che non danno a tutti la stessa probabilità di fare scelte vincenti.

Condizioni essenziali per una vita dignitosa devono essere assicurate a tutti, perché la vita è un bene dal quale nessuno può essere estromesso, pertanto nessuno, per non morire, dovrebbe essere costretto a smettere di “campare”, come si dice in Campania. Lo stesso concetto di dovere, da riconoscere, valorizzare, premiare, è servito a costruire un mondo gestito da padroni che avevano bisogno che lavorassimo per i loro interessi, che sacrificassimo il nostro tempo, le nostre energie e i nostri corpi.

Secondo Helena Velena, fino a oggi abbiamo orientato il lavoro al mercato, adesso dobbiamo orientarlo alla società. In effetti, le comunità dimostrano continuamente di saper organizzare e offrire servizi e cure. Si tratta di attività che migliorano le condizioni di vita delle persone e della collettività. Non sono “impieghi” tradizionalmente intesi, non sono la “fatica”, sono operazioni volontarie, e costanti, di mutua solidarietà, autogestite, che spesso mettono in atto competenze sia specializzate che relazionali. Sono attività che producono socialità, felicità pubblica, condotte etiche. Tutto ciò, secondo Helena, si colloca in uno spazio-tempo che dobbiamo chiamare “ozio”, lo spazio proprio della vita, della cura di sé e degli altri, del piacere: «L’ozio è senso del tempo, dell’amicizia. Il tempo non è denaro, mentre il denaro mangia il tempo. Poiché la felicità non si vende e non si compra, però si scambia, il modello sociale della festa riduce al minimo la necessità del denaro: valori che non hanno nulla a che vedere con il lavorismo consumista».

Tutto questo può pianificarlo un partito? Un partito può portarci alla desiderata rivoluzione? Secondo Helena Velena ciò che può fare un partito, un qualsiasi partito, è “NIENTE”: «”Niente”, non a caso, è il primo progetto, il primo tentativo con cui noi dee cyborg proviamo a disconoscere i partiti e a promuoverne la cancellazione. Il progetto prevede di presentarci alle elezioni, cominciando con le amministrative a Roma. Ciò che vogliamo rendere palese, annunciando un programma in cui prometteremo solennemente di non fare niente, è che i partiti, tutti, non fanno nulla, se non cercare di ottenere il potere».

E visto che non c’è niente da sperare dai partiti, non ci resta che organizzare la nostra festa per vivere meglio.



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