L’alienazione felice: fra distopia e utopia

Il Mondo nuovo, di Aldous Huxley, a confronto con La società dello spettacolo, di Guy Debord.

Paolo Favilli

Aldous HuxleyIl Mondo nuovo (1932), Milano, Mondadori, 1971
Guy Debord, La società dello spettacolo, Firenze, Vallecchi, 1979 (IV ed. italiana)

La grande alienazione nella quale ci troviamo immersi è quella in cui l’uomo non è più in grado di percepirsi come alienato, perché «traduce la sua alienazione nell’apparato in identificazione con l’apparato»[1]. Un universo totalitario, dunque, dove auto-asservimento, auto-alienazione sono il contraltare  concreto e reale delle promesse di auto-realizzazione.

Come orientarsi in questo universo totalitario tanto per comprenderne i meccanismi di funzionamento che per provare ad in individuarne gli spazi possibili ove saggiare ipotesi di disalienazione?

Si possono trovare alcune risposte in un libro di Italo Calvino,  Le città invisibili, uno dei suoi libri di più raffinata  ed insieme complessa struttura narrativa, improntato alla «poetica dell’esattezza», un libro di interrogativi che pongono altri interrogativi, un libro di sperimentazione linguistica e stilistica, un libro, dunque, che per la programmata continua «sottrazione di peso» sembra  suggerire atmosfere rarefatte, concettualità del tutto astratte, senza rapporti con la realtà effettuale.

A chi interpretava il libro come presa di distanza dall’«impegno», da quella ascendenza illuministica che era stata sempre componente essenziale della letteratura calviniana, anche la più astratta e fantastica, egli risponde così: «Rifiuto nettamente questa interpretazione del mio libro. È un libro in cui ci si interroga sulla città (sulla società) con la coscienza della gravità della situazione, gravità che sarebbe criminale passare sottogamba, e con una continua ostinazione a veder chiaro, a non accontentarsi di nessuna immagine stabilita, a ricominciare il discorso da capo»[2].

Nelle conclusioni del libro il Gran Kan Kublai, dopo che sono state passate in rassegna tutte le città (società) del suo dominio sconfinato, si lascia prendere dallo sconforto di chi si accorge che nell’impero non c’è nemmeno una «città giusta» e ritiene che l’«ultimo approdo» non potrà essere «che la città infernale».

«L’inferno dei viventi – chiosa Calvino-Marco Polo – non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti, accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio»[3].

Vivere nella «città infernale (…) diventarne parte fino al punto di non vederla più» è lo stato perfetto dell’alienazione totale.

Sempre nella parte finale del libro il Gran Kan sfoglia l’atlante immenso dei suoi domini e fa riferimento alle «terre promesse visitate dal pensiero ma non ancora scoperte e fondate: La Nuova Atlantide, Utopia, La Città del Sole, …» ecc. Le città dell’Utopia. Ed anche alle «città che minacciano negli incubi e nelle maledizioni. Enoch, Babilonia,  (…)   New World»[4].  Le città della distopia. Ma Brave New World è davvero la società infernale (per chi?) oppura la società dell’«alienazione felice»?

«Forse la terra è l’inferno di un altro pianeta», è aforisma attribuito ad Aldous Axley, l’autore di Brave New World, il libro dove si dimostra che, mediante alienazione totale, nell’inferno si può vivere felici.

Innanzitutto se davvero Il mondo nuovo descritto da Huxley è un inferno (un inferno di vita felice?), non lo è in maniera generica, ma in maniera del tutto specifica: è l’inferno del modo di produzione capitalistico compiutamente  realizzato. Un mondo nuovo in cui è possibile verificare  la maniera in cui il capitalismo, una volta affermatosi, una volta superate le proprie contraddizioni, ha mantenuto le sue promesse. Il sistema per mezzo del quale le contraddizioni sono state risolte è chiave, letterariamente utopica, per la comprensione dei meccanismi reali, dello loro logiche tendenziali verso un’alienazione totale.

Modo di produzione capitalistico compiuto, ripeto. Non dobbiamo farci fuorviare dal fatto che alcuni protagonisti del romanzo portano nomi famosi dell’universo socialista (Lenina Crowne, Bernardo Marx, Polly Trotsky, Herbert Bakunin…), o socialisteggiante. Huxley li usa per ricreare l’atmosfera dominante di un mondo in cui il «sociale» prevale sull’individuale». Ma è il «sociale» del Primo inno di solidarietà a Ford: «Ford, noi siam dodici; deh raccoglici in uno/Come gocce dentro il fiume sociale»[5].

Negli anni Venti vistatori tedeschi in occasione della «grande esperienza, della visita alla fabbrica Ford espressero il loro entusiasmo con queste parole: «… il ritmo del lavoro (…) trascina con sé, come una banda trascina le gambe delle truppe che marciano e perfino gli spettatori». Descrissero il processo di produzione come «sinfonia» e «legame spirituale». «Ciascun lavoratore conosceva a menadito la sua parte e tutti assieme si fodevano in in magnifico tutto»[6]. Proprio alla maniera del Primo inno di solidarietà a Ford.

Una dimensione «sociale»» in cui si annullano le singole individualità. Una concezione del rapporto tra «singolarità» e «collettività» del tutto estranea alla convinzione marxiana, oggi rilevata da una vasta letteratura sul problema, secondo la quale «la questione della realizzazione individuale»[7] è elemento essenziale del sistema di relazioni sociali delineato dal pensatore di Treviri. Nel 1932, quando uscì il volume, il rapporto tra marxismo politico e realizzazione individuale si poneva in maniera molto più problematica.

Comunque Il mondo nuovo è il mondo della realizzazione del capitalismo più avanzato della modernità ai tempi di Huxley: l’organizzazione scientifica del lavoro di Henry Ford. È il mondo della religione di Ford, il mondo che comincia con l’affermazione planetaria di questa religione e che su tale fondamenta cancella la storia precedente. Anzi la storia tout court.

«Voi tutti ricordate» disse il Governatore, con voce forte e profonda «voi tutti ricordate, suppongo, quel bellissimo e ispirato detto del Nostro Ford: “La storia è tutta una sciocchezza”. «La storia»  ripeté lentamente  è tutta una sciocchezza»[8]. Così parlò Mustafà Mond, uno dei dieci governatori mondiali, un Pontefice, nell’anno 632 dell’epoca di Ford.

Quasi tre decenni fa un politologo statunitense, Francis Fukuyama, proclamava il capitalismo come «risultato finale» della storia. «La storia (…) – scriveva – non era una cieca concatenazione di avvenimenti ma un insieme dotato di senso in cui si erano sviluppate ed avevano avuto un ruolo le idee che l’uomo aveva elaborato sul migliore ordinamento politico e sociale possibile»[9]. Dobbiamo dunque «prendere in considerazione – concludeva – la possibilità che la stessa Storia sia giunta alla fine». L’epoca di Ford, anche se nella forma del postfordismo, poteva aver inizio. Nell’epoca del capitalismo eterno, ormai, la storia aveva esaurito la propria funzione.

Il tempo presente appare il luogo della fine della storia in quanto si è avuto il riconoscimento universale dei «principi razionali dell’efficienza economica»[10]. La fine della storia, infatti, più che la tendenziale affermazione della democrazia liberale, concerne la «vittoria definitiva [del capitalismo] quale unico sistema economico praticabile»[11], la «vittoria definitiva» di una razionalità economica i cui esiti devono far coincidere l’uomo reale con il modello teorico dell’homo oeconomicus.

«Io vivo nell’epoca dopo Cristo, tutto ciò che è avvenuto prima di Cristo non mi riguarda e non mi interessa». Nell’autunno del 2010 Sergio Marchionne, «uno di loro»[12],  uno dei Mustafà Mond dei nostri giorni, ha espresso con precisione la tendenza di fondo caratterizzante il «mondo nuovo», già prevista nel libro del 1932.

Nell’età di Ford il capitalismo rifiuta la storia per abbracciare la natura, per diventare «natura». Nell’età di Ford non ci sono altre possibilità che adeguare la natura umana alla natura del capitalismo e ne Il mondo nuovo Huxley ci indica la via evoluzionistica, anzi involuzionistica, a questa possibilità.

Aldous Huxley era cresciuto in un ambiente culturale nel quale le problematiche relative all’evoluzionismo erano state oggetto degli studi di biologia più avanzati dell’epoca. Suo nonno, Thomas Henry, uno dei più stretti amici e collaboratori di Darwin, soprannominato Darwin’s bulldog, aveva participato con ruolo di primo piano alla diffusione delle teorie evoluzionistiche.  Lo stesso Aldous, dopo la laurea in lettere, si era laureato in biologia ad Oxford nel 1915.

Nel mondo nuovo gli uomini possono ottenere quello che vogliono, ma non vogliono mai quello che non possono ottenere, quello che è del tutto contraddittorio con la natura del capitale, con la logica profonda dei suoi movimenti. La stella polare che orienta il movimento è la valorizzazione continua del capitale attraverso la creazione continua di plusvalore mediante continuo aumento di produzione e consumo.

La circolarità dell’esperienza di vita umana nel mondo nuovo percorre questo itinerario: produzione di merci- consumo-intrattenimento in un contesto di «relazione in assenza di relazione», ossia in una serie di rapporti «alienati», deprivati di «senso». «L’alienazione è essa stessa una relazione – tuttavia deficitaria»[13].

«La ricchezza delle società in cui domina il modo di produzione capitalistico si manifesta fenomenicamente come una “immane raccolta di merci”»: così recita l’incipit del I Libro de Il capitale. L’eta del dopo Ford porta alle estreme conseguenze il fenomeno. Persino la merce uomo viene prodotta nella fabbrica universale per mezzo della fordiana catena di montaggio.

Anzi il «transumanesimo» involuzionistico della merce-uomo è il fondamento dell’equilibrio garantito alla società del dopo Ford visto che riguarda direttamente la costruzione della «forza lavoro».

La «forza lavoro» viene fabbricata in stabilimenti-clinica per la fertilità  all’interono di bottles dove si combina materiale genetico differente a seconda della funzione produttiva cui sono destinati i prodotti finiti, futuri uomini. Si va dagli alfa plus, intellettualmente superiori, agli epsilon minus, addetti a lavori servili più bassi.

Gli ordini inferiori sono almeno felici come gli Alpha grazie all’incapacità cerebrale danneggiata del pensiero originale. E poi nelle lezioni ipnopediche sulla coscienza di classe, per esempio, i giovani Beta imparano ad amare essere Beta. Imparano a rispettare gli Alpha che «lavorano molto più di noi, perché sono così spaventosamente intelligenti». Ma imparano anche a provare piacere nel non essere Gamma, Delta o gli Epsilon ancora più spensierati.

All’ingenua domanda sulle ragioni per le quali non venivano prodotti soltanto alfa plus, «vale a dire individui (…) condizionati così da essere capaci, limitatamente, di fare una libera scelta», Mustafà Mond risponde:

È un’assurdità. Un uomo travasato in Alfa, condizionato in Alfa, diventerebbe pazzo se dovesse fare il lavoro di un Epsilon semiabortito (…). Gli Alfa possono essere completamente socializzati, ma soltanto a condizione che si faccia far loro un lavoro da Alfa. Soltanto da un Epsilon ci si può attendere che faccia dei sacrifici da Epsilon, per la buona ragione che per lui non sono sacrifici.

Anche gli Alfa, continua il Governatore, «passa[no] attraverso la vita nell’interno di una bottiglia. Ma se noi ci ritroviamo ad essere Alfa, le nostre bottiglie sono, relativamente parlando, enormi. Soffriremmo enormemente se fossimo in uno spazio più angusto. Non si può versare del surrogato di spumante per caste superiori in bottiglie di caste inferiori[14]

La promessa della prima modernità, la promessa dell’umanesimo, era stata quella  riguardante lo sviluppo della spersonalità di un uomo-individuo «da nessuna barriera costretto». La promessa che può fare il «transumanesimo» involuzionista dell’età di Ford o del «dopo Cristo» di Marchionne,  riguarda solo il volume di una bottiglia.

L’«immane raccolta di merci», in cui si manifesta il moderno modo di produzione capitalistico non è solo termine medio essenziale dell’accumulazione, ma entra a buon diritto in meccanismi connessi a determinate forme di alienazione.

Proviamoci a ragionare sulla maniera in cui ne Il mondo nuovo, che da questo punto di vista è davvero il nostro mondo, viene posto il rapporto tra bisogni umani «ricchi», bisogni indotti e consumi.

L’Alfa plus direttore di un«Centro di Condizionamento Intellettuale», si trova a fare questa riflessione, mentre attraversa un parco giochi per bambini:

Strano, è strano pensare che perfino ai tempi del Nostro Ford la maggior parte dei giochi si giocava senza altri accessori all’infuori di qualche palla, di alcuni bastoni e, alle volte, di un po’ di rete. Vi rendete conto della pazzia che rappresenta il permettere alla gente di fare dei giochi complicati che non aiutano in alcun modo il consumo? È una pazzia. Al giorno d’oggi invece, i Controllori non concedono la loro approvazione a nessun gioco nuovo se non si riesce a dimostrare che esso esige una quantità di accessori almeno uguale a quello del più complicato dei giochi esistente.

I «bisogni umani» non si traducono necessariamente in bisogni indotti e alienati. Esiste una «ricchezza dei bisogni umani» che cresce anche con la crescita delle forze produttive. È possibile una «nuova attuazione della forza essenziale umana e nuovo arricchimento dell’essere umano»[15].

«Bisogni umani ricchi», sui quali si concentra, non a caso, un’allieva di Lukács, la filosofa ungherese Agnes Heller. Ma i «bisogni umani ricchi» sono del tutto estranei alle necessità di estrazione del plusvalore, esattamente come argomenta il direttore del «Centro di Condizionamento Intellettuale» ne Il mondo nuovo.  «Secondo Marx – afferma la Heller – la riduzione del concetto di bisogno al bisogno economico è una espressione della estraneazione (capitalistica) dei bisogni, in una società in cui il fine della produzione non è il soddisfacimento dei bisogni, ma la valorizzazione del capitale, in cui il sistema dei bisogni è fondato sulla divisione del lavoro e il bisogno compare soltanto sul mercato, nella forma di domanda solvibile»[16].

La categoria di «ricchezza» non si identifica per Marx, come invece per l’economia classica, solo con la ricchezza materiale, ma è anche il fondamento per l’esplicazione della libera e molteplice attività di ogni individuo.

In un libro edito nel 1976. che ha avuto larghissima diffusione e che è stato al centro di un’ampia letteratura critica i cui echi sono ancora oggi avvertibili, Erich Fromm, psicanalista e filosofo, ha ricondotto il rapporto tra «bisogni umani» e «bisogni indotti» a due modi di determinarsi dell’esistenza dell’uomo nella società: a) avere, un modello tipico del modo di produzione capitalistico costruito sul profitto che porta all’identificazione dell’esistenza umana con la categoria del possesso; b) essere è l’altro modo di concepire l’esistenza dell’uomo ed ha come presupposto la libertà e l’autonomia che finalizza gli sforzi alla crescita e all’arricchimento della propria interiorità. L’uomo che si riconosce nel modello esistenziale dell’essere non è più alienato, è protagonista della propria vita.

«I metodi di ipnosi  cui si fa ricorso nella propaganda commerciale e politica – afferma Fromm ­ – costituiscono un grave pericolo  per l’equilibrio mentale, in particolare per il pensiero chiaro e critico e per l’indipendenza emozionale»[17].

Ne Il mondo nuovo la metafora dell’ipnosi usata da Fromm la si trova concretizzata nelle pratiche ipnopediche attraverso le quali si condizionano i bambini fin dalla primissima infanzia.

Non c’è dubbio che le innumerevoli forme di condizionamento con cui dobbiamo quotidianamente fare i conti, non favoriscono certo l’acquisizione di «bisogni umani ricchi».

Quella di Huxley in quanto momento di riflessione sull’ «alienazione», è una distopia (od utopia Wishful Thinking) di un capitalismo compiuto, non più impedito da quelle antitesi che sono state parte integrante e fondamentale (lo sono ancora?) del capitalismo storico. Quello de Il mondo nuovo è un capitalismo assoluto, caratterizzato da totale reificazione e quindi da «feticismo assoluto»[18]. Ne Il mondo nuovo il condizionamento tramite consumi per intrattenimento è strumento principe tanto per la valorizzazione del capitale che per una alienazione felice. Ne Il mondo nuovo i consumi per intrattenimento si configurano come aspetti di una gigantesca coreografia spettacolare.

Nel 1967, trentacinque anni dopo l’edizione del romanzo di Huxley, un filosofo francese, Guy Debord, definirà così il fenomeno totalizzante di tale coreografia spettacolare: «Lo spettacolo è il capitale a un tale grado di accumulazione da divenire immagine»[19]. Ed ancora, come manifestazione di rapporti alienati: «Lo spettacolo nella società corrisponde a una fabbricazione concreta dell’alienazione. L’espansione economica è principalmente l’espansione di questa produzione industriale precisa. Ciò che cresce con l’economia, muovendosi autonomamente per sé stessa, non può essere che l’alienazione che era propriamente insita nel suo nucleo originario»[20].

Il testo di Debord è strutturato in 221 brevi tesi, che ricordano il meccanismo delle Tesi su Feuerbach.  Del resto l’incipit de La società dello spettacolo è un consapevole calco dell’incipit del I libro de Il capitale: «L’intera vita delle società, in cui dominano le moderne condizioni di produzione, si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione» (§ 1). E dunque s’è creato uno «pseudo-mondo a parte, oggetto di sola contemplazione», che costituisce la «concreta inversione della vita», «il movimento autonomo del non-vivente» (§ 2).

Non solo l’incipit, ma anche tutta la prima sezione del I libro, Il carattere di feticcio della merce e il suo segreto, sono il nocciolo teorico cui si rifà tutta l’argomentazione di Debord. È da questo nocciolo teorico che si arriva alle conclusioni per cui «nel mondo falsamente rovesciato, il vero è un momento del falso» (§ 9). «Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini diventano degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico. Lo spettacolo, come tendenza a far vedere attraverso differenti mediazioni specializzate il mondo che

corrisponde all’astrazione generalizzata della società attuale» (§ 18). «Tra “cosa vista” e cosa “vissuta” non c’è più differenza, l’una si rovescia nell’altra e l’atteggiamento dinanzi all’una e all’altra diventa lo stesso»[21].

La società dello spettacolo proprio nel momento in cui l’economia capitalistica ha raggiunto livelli mai toccati di capacità produttiva di oggetti, provoca anche una «smaterializzazione» delle merce, ne mette in second’ordine il valore d’uso. Lo spettacolo, nella forma oggi dell’iperconnessione, della molteplicità degli incontri telematici, determina la «falsa coscienza dell’incontro, “l’illusione dell’incontro» (§ 217). Quella che la Jaeggi ha chiamato «relazione senza relazione».

Huxley scrive il suo libro nel periodo della grande depressione. Indipendentemente da tale evento catastrofico, nell’Europa tra le due guerre, «consumi» e «spettacoli» rimanevano aspetti rilevanti della vita quotidiana, aspetti le cui dinamiche erano» indicative di divisioni sociali, conflitti, antitesi politiche e culturali. Lo spettacolo, si pensi in particolare al teatro ed al suo ruolo nella cultura della Repubblica di Weimar, cioè nell’ambito dell’esperienza culturale più viva, innovativa e profonda dell’epoca, aveva avuto una funzione essenziale nella definizione «espressiva» di una cultura critica dell’esistente. Funzione conturbante, non rasserenante. Persino il cinema, lo spettacolo-intrattenimento popolare per eccellenza in quegli anni, non ebbe soltanto il lato del divertimento leggero, scacciapensieri. La Berlin qui s’amuse, la Berlino che «era diventata la capitale del divertimento di tutta Europa»[22], frequentava in massa film tratti da operette e canzonette di successo dell’epoca. C’era, però, anche altro cinema e non aveva presenza marginale.  Non dobbiamo pensare solo a Metropolis di Fritz Lang, considerato peraltro «una sorta di testo-ricapitolazione delle acquisizioni del cinema tedesco»[23] di Weimar, ma a molti altri film capaci di unire le nuove tecnologie di spettacolo con una corrosiva critica sociale e politica.

«Consumi», «spettacoli» non significano di per sé «società dei consumi» e «società dello spettacolo», concetti e realtà estranei all’Europa dell’epoca. Già visibili in embrione nell’America di Ford, il «feticcio» primigenio del Il mondo nuovo. Il mondo del «feticismo assoluto» in cui la combinazione tra consumi-intrattenimento-spettacolo assume la configurazione preconizzata da Huxley e teoricamente organizzata da Guy Debord.

Ne Il mondo nuovo i film si proiettano nel «Cinema odoroso». Immense sale dove tutto ciò che passa sullo schermo deve passare anche attraverso tutti i sensi e gli spettatori devono sentirsi «più reali che nella realtà»[24].  Trentacinque anni dopo Debord avrebbe espresso lo stesso concetto analizzando la «realtà invertita dello spettacolo» (§ 48).

In film dalla trama sostanzialmente inesistente tutto è affidato alle sensazioni. «L’organo odoroso eseguiva un Capriccio d’Erbe deliziosamente fresco: arpeggi gorgoglianti di timo e lavanda, di rosmarino, basilico, mirto, artemisia; una serie di audaci simulazioni attraverso tutti i toni delle spezie…». In momenti particolarmente intensi l’organo «esalava del muschio puro».

La scena d’amore principale si svolge su una pelle d’orso: «… le labbra stereoscopiche si congiunsero e le zone erogene facciali di seimila spettatori dell’Alhambra, fremettero… Di quella pelle d’orso «ogni pelo si lasciava sentire separatamente e distintamente»[25].

La «sensazione» è tanto intensa sull’epidermide quanto avulsa da qualsiasi elaborazione in profondità. A chi fa osservare che quelle storie «non significano nulla», Mustafà Mond risponde che «hanno un senso loro proprio. Rappresentano una quantità di sensazioni gradevoli per il pubblico». L’interlocutore  insiste nel definire «stupidi e orribili (…) spettacoli dove non c’è nulla all’infuori di elecotteri che volano dappertutto, e dove si sente la gente che si bacia». «È idiota scrivere quando non si ha nulla da dire» E Mustafà Mond: «Precisamente. Ma ciò richiede la massima abilità. Si fabbricano le macchine col minimo assoluto di acciaio, e le opere d’arte con nient’altro che la sensazione pura»[26].

Fabbricazione di oggetti e fabbricazione di «opere d’arte» seguono la medesima logica. «Il consumatore reale diviene consumatore di illusioni. La merce è questa illusione effettivamente reale, e lo spettacolo la sua manifestazione generale» (§ 47).

Le molteplici forme dell’intrattenimento devono provocare intense sensazioni «epidermiche» perché solo su quel piano è possibile un’atmosfera di serenità, come recita la canzone guida di uno spettacolo di musica e ballo cui partecipano diverse centinaia di coppie, «Azzurri [siano] i cieli nel tuo seno/[e] il tempo dentro a te sempre sereno».

«Danzando il five-step con le altre quattrocento coppie attorno all’Abbazia di Westminster, Lenina ed Enrico danzavano tuttavia in un altro mondo: il mondo pieno di calore, intensamente colorato, in mondo infinitamente dolce d’un giorno di vacanza col soma. Come tutti erano buoni, e belli e deliziosamente divertenti».

Il soma è la droga simbolo de Il mondo nuovo. Una droga che fa sembrare la vita in tutti i suoi aspetti  degna di essere vissuta, bella, significativa, aspetto individuale di armonia e felicità universale. Una droga che non ha alcun effetto negativo collaterale.

Dice Lenina: «Ero e sarò, parole che mi fanno star male. Prendo un grammo e allora sono»[27]. Essere sé stessi solo al di fuori di sé stessi: al capitalismo assoluto corrisponde alienazione assoluta. Ed il futuro distopico è ora, in questo nostro oggi nel quale «s’è costituito una soggettività, (…)  del capitale, così capace di tradursi in soggetto totale e pervasivo di ogni luogo, materiale e mentale, del nostro vivere»[28].

[1] R. Màdera, Sconfitta e utopia, Mimesis, 2018, cit. in L. Demichelis, La grande alienazione. Narciso , Pigmalione, Prometeo e il tecno-capitalismo, Milano, Jaca Book, 2018, p. 49.

[2] I. Calvino, Colloquio con Ferdinando Camon (1973), in Id., Saggi, Milano, Mondadori, 1995, vol. II, pp. 2774- 2976, p. 2780.

[3] I. Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972, p. 170.

[4] Ivi, p. 169.

[5]A. Huxley, Il mondo nuovo, Milano, Mondadori, 1971, p. 83.

[6] Cit. in E. D. Weitz, La Germania di Weimar. Utopia e tragedia, Torino, Einaudi, 2008, pp. 172-173.

[7] L. Basso, Socialità e isolamento: la singolarità in Marx, Roma, Carocci, Roma, 2008, p. 9.

[8]A. Huxley, Il mondo nuovo, cit., p. 46.

[9] F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo. La democrazia liberale è il culmine dell’esperienza politica?, Milano, Rizzoli, 1996, p. 72.

[10]Ivi, p. 98.

[11]Ivi, p. 110.

[12] F. Amatori, Marchionne, «uno di loro», «Passato e Presente», 2019, 106, pp. 7-17.

[13] R. Jaeggi, Alienazione. Attualità di un problema filosofico e sociale, Roma, Castelvecchi, 2017, p. 65.

[14] A. Huxley, Il mondo nuovo, cit., pp. 199-200.

[15] K. Marx, Manoscritti…, cit. p. 152.

[16] A. Heller, La teoria dei bisogni in Marx, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 40.

[17] E. Fromm, Avere o essere ?,  Milano, Mondadori, 2010. p. 899.

[18] E. Dussel, Metafore teologiche di Marx, Roma, Inschibboleth edizioni, 2018, p. 135.

[19] G. Debord La società dello spettacolo, Firenze, Vallecchi, 1979 (IV ed. italiana) § 34.

[20] Ivi, § 32

[21] R. Simone, Il mostro mite. Perché l’Occidente non va a sinistra, Milano, Garzani, 2008, p. 115.

[22] W. Laqueur, La Repubblica di Weimar, Milano, Rizzoli, 1996, p. 278.

[23] L. Quaresima, Cinema tedesco negli anni di Weimar, in Storia del cinema mondiale, Torino, Einaudi, 2000, vol. III, tomo I, p. 108.

[24] A. Huxley, Il mondo nuovo, cit. p. 153.

[25] Ivi, pp. 152-153

[26] Ivi, pp. 197-198.

[27] Ivi, p. 102.

[28] R. Finelli. Critica, Capitale e Totalità, «L’ospite ingrato», 10 agosto 2020.



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