I tagli ai finanziamenti Unrwa colpiscono i profughi palestinesi in tutta la regione

L'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi è nata per far fronte alle catastrofiche conseguenze della Nakba del 1948. La scelta di alcuni Paesi di sospendere l’erogazione dei fondi in seguito alle accuse nei confronti di alcuni operatori di aver partecipato all'attacco del 7 ottobre avrà tragiche conseguenze umanitarie.

Elena Colonna

Nel campo profughi di Shatila, nella periferia sud di Beirut, vivono approssimativamente 20mila persone addossate in un chilometro quadrato. Istituito nel 1949 per accogliere i profughi palestinesi della Nakba (dall’arabo catastrofe) , l’espulsione di una grossa fetta della popolazione palestinese in seguito alla creazione dello Stato di Israele e della prima guerra arabo-israeliana, il campo di Shatila è tristemente noto per il massacro di migliaia di civili palestinesi compiuto tra il 16 e il 18 settembre 1982 da parte delle Falangi Libanesi con la complicità dell’esercito israeliano. Ma quello di Shatila è solo uno dei dodici campi profughi palestinesi in Libano: nel Paese si stima vivano circa 250mila palestinesi, la metà dei quali nei campi profughi. I palestinesi in Libano vivono in condizioni di povertà ed emarginazione: l’80% vive al di sotto della soglia di povertà e a tutti loro, anche a quelli nati in Libano, è negata la cittadinanza.
Il sostentamento dei palestinesi in Libano è garantito dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi(UNRWA), che al momento ha raggiunto un «punto di rottura» come dichiarato dal direttore Philippe Lazzarini, in seguito alla sospensione dei finanziamenti da parte di almeno diciotto Paesi. Questi Paesi hanno sospeso i finanziamenti all’UNRWA in seguito alle accuse mosse da Israele secondo cui dodici membri del personale dell’agenzia sarebbero stati coinvolti nell’attacco di Hamas del 7 ottobre. Tra i Paesi che hanno sospeso i finanziamenti ci sono alcuni tra i maggiori contribuenti: Stati Uniti, Germania e Unione Europea; l’Italia aveva già sospeso i finanziamenti all’indomani del 7 ottobre. Il direttore Lazzarini ha dichiarato che “se i finanziamenti rimangono sospesi, saremo obbligati a cessare le nostre operazioni entro la fine di febbraio, non solo a Gaza ma in tutta la regione”.
“Sospendere i finanziamenti a UNRWA, in paesi come il Libano, vuol dire abbandonare completamente a loro stesse centinaia di migliaia di persone” dice David Ruggini, responsabile dell’associazione Un Ponte Per a Beirut. In Libano, Un Ponte Per lavora a sostegno delle persone nei campi profughi palestinesi: al momento, in particolare, l’associazione gestisce un progetto sportivo nel campo di Shatila, che si svolge all’interno di alcune strutture di UNRWA. Ruggini spiega che all’interno del campi palestinesi, è UNRWA che garantisce i servizi medici ed educativi rivolti ai palestinesi. “Se la copertura di UNRWA salta, lo stato libanese non si prenderà mai in carico né gli edifici né tantomeno i servizi educativi e medici che UNRWA garantisce all’interno dei campi, e sicuramente non cambierà lo status giuridico dei palestinesi nel territorio”. Secondo Ruggini sospendere i finanziamenti ad UNRWA “vuol dire mettere in difficoltà tutti i palestinesi della diaspora”, soprattutto in paesi come il Libano, che dal 2019 sta affrontando quella che la  Banca Mondiale ha definito una delle peggiori crisi economiche dell’età contemporanea, o la Siria, da dodici anni in guerra civile.
“Lo stato libanese non è assolutamente in grado di prendere in carico queste persone, in particolare considerando la situazione politica e la crisi economica nel Paese”, aggiunge Ruggini: la sospensione dei fondi a UNRWA renderà quindi ancora più precaria una situazione già molto difficile. “La maggior parte dei profughi palestinesi in Libano non è integrata nella società libanese: nei campi profughi le condizioni igienico-sanitarie sono scarse, e ci sono sempre problemi per quanto riguarda l’acqua e l’elettricità. I palestinesi, a livello giuridico, sono stranieri, quindi non possono accedere a vari servizi. C’è una lunga lista di lavori a cui non possono accedere, generalmente fanno quindi lavori di manodopera, e soffrono molte discriminazioni”. Secondo una stima di UNRWA, senza i contributi forniti dall’agenzia, un ulteriore 13% dei palestinesi in Libano vivrebbe sotto la soglia di povertà.

La questione dei rifugiati palestinesi
“Questo non per dire che UNRWA, come agenzia, funzionasse perfettamente” – continua Ruggini – “UNRWA è nata nal 1949 con la nascita della questione dei rifugiati palestinesi: dal momento che il problema della diaspora palestinese non è mai stato risolto, ha continuato ad occuparsi di questi rifugiati. L’Agenzia ha sviluppato costi di gestione molto alti, perché le persone sono aumentate di numero dato l’alto tasso di natalità. Non è un’Agenzia perfetta, però nella situazione di oggi è uno degli attori principali che offre supporto umanitario alla popolazione palestinese, sia in Palestina che nella diaspora.”
La questione dei profughi palestinesi è uno dei nodi centrali del conflitto israelo-palestinese: in seguito alla Nakba del 1948, oltre 750mila palestinesi furono costretti ad abbandonare le loro case; UNRWA fu creata per rispondere alle esigenze di questi profughi. L’agenzia definisce ‘profughi palestinesi’ tutte le persone che risiedevano in Palestina tra il 1 giugno 1946 e il 14 maggio 1948, e che hanno perso sia la casa che i mezzi di sostentamento a seguito della Nakba del 1948 : ai servizi offerti da UNRWA possono accedere i profughi palestinesi e i loro discendenti. Ad oggi UNRWA fornisce assistenza umanitaria a circa sei milioni di profughi palestinesi in tutto il Medio Oriente. In particolare, ci sono 8 campi profughi palestinesi gestiti da UNRWA a Gaza, 19 in Cisgiordania, 12 in Libano, 10 in Giordania e 9 in Siria. La diaspora palestinese rivendica il diritto al ritorno nelle terre in cui abitava prima del 1948, un diritto sancito dalla risoluzione 194 dell’assemblea generale delle Nazioni Unite del 1948, e sostenuto da varie organizzazioni internazionali.
“Shatila è un caso abbastanza eclatante di un campo con standard sanitari molto bassi, e quindi c’è ancora una dipendenza da UNRWA” continua David Ruggini, “sarebbe doveroso trovare una soluzione alla questione dei rifugiati palestinesi che hanno il diritto, non solo perché lo dico io, ma anche secondo le risoluzioni ONU, di tornare nella loro terra, e bisognerebbe applicare il sempre più contestato diritto internazionale, e garantire quei diritti che secondo me sono inalienabili, come il diritto di tornare nel paese dove sei nato, cresciuto, e a cui appartieni per non vivere da straniero nei paesi intorno, che non dovrebbero avere loro la responsabilità di queste persone”.

La sospensione ai finanziamenti
Il 26 gennaio, dopo che Israele ha comunicato di avere le prove di un coinvolgimento di dodici membri del personale UNRWA nell’attacco di Hamas del 7 ottobre, l’agenzia ha proceduto al loro licenziamento e ha aperto un’indagine interna, mentre le Nazioni Unite hanno istituito una commissione indipendente per valutare l’operato di UNRWA. Un rapporto dell’intelligence statunitense ha valutato con “scarsa fiducia” le accuse israeliane, ritenendole “credibili” ma dichiarando di non poterne confermare in modo indipendente la veridicità. Nel frattempo almeno diciotto Paesi, tra cui i principali donatori di UNRWA, hanno sospeso i finanziamenti all’agenzia.
Le Nazioni Unite e varie organizzazioni internazionali hanno condannato la sospensione dei finanziamenti, esprimendo preoccupazione per le conseguenze catastrofiche che questo potrebbe comportare per la popolazione di Gaza. Si legge sul comunicato di Save The Children: “siamo allibiti di fronte a questa decisione sconsiderata: tagliare un’ancora di salvezza per un’intera popolazione”. “È profondamente sconcertante – anzi, disumano – che diversi governi abbiano preso decisioni che causeranno ulteriori sofferenze a più di due milioni di palestinesi già esposti al rischio di genocidio e a una carestia pianificata” ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“Non possiamo punire collettivamente milioni di persone. Dobbiamo distinguere tra ciò che i singoli individui possono aver fatto e ciò che l’UNRWA rappresenta” ha dichiarato invece Espen Barth Eide, ministro degli Esteri norvegese. La Norvegia è uno dei paesi occidentali che non hanno sospeso i finanziamenti a UNRWA, assieme a Spagna, Belgio e Irlanda. In proposito, il ministro degli Esteri irlandese Micheál Martin ha detto che “a Gaza stiamo assistendo a una catastrofe umanitaria, le persone hanno un bisogno disperato di beni di prima necessità: cibo, acqua, ripari. In queste condizioni strazianti, di fronte alla prospettiva di un’ulteriore escalation militare, l’UNRWA è la spina dorsale della risposta umanitaria”.

La situazione a Gaza
Solo a Gaza UNRWA conta 13mila dipendenti: già prima dell’invasione israeliana (iniziata dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre), il 63% della popolazione di Gaza dipendeva dall’assistenza umanitaria internazionale, l’81% della popolazione viveva in povertà, e il 95% non aveva accesso all’acqua pulita. L’agenzia garantiva il sostentamento della popolazione grazie alla fornitura di aiuti umanitari, e l’accesso all’istruzione e alla sanità grazie alle 183 scuole e i 22 centri sanitari UNRWA.
Dopo quattro mesi di bombardamenti israeliani, a Gaza la situazione umanitaria è catastrofica: la quasi totalità della popolazione è stata sfollata e vive in campi profughi improvvisati, in una situazione di acuta insicurezza alimentare. La condizioni di sovraffollamento e la mancanza di acqua pulita, medicine e servizi igienici stanno portando alla diffusione di malattie infettive. I bombardamenti e attacchi israeliani, che hanno ucciso più di 30mila persone, hanno colpito scuole e ospedali: solo una minoranza degli ospedali è ancora operativa. In questa situazione, UNRWA ha garantito la consegna degli aiuti umanitari, cibo e medicine, che sono entrati a Gaza.

CREDITI FOTO: ANSA / HAITHAM IMAD



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