Identità, monumenti, memoria condivisa: dialogo tra Paolo Flores d’Arcais e Alessandro Barbero

Prendendo spunto dalle manifestazioni di Black Lives Matter dello scorso anno, durante le quali sono stati abbattuti o imbrattati diversi monumenti storici che ricordavano personaggi o eventi della Confederazione del Sud, Paolo Flores d’Arcais e Alessandro Barbero si confrontano sulla questione dei simboli e dei valori a cui rimandano, interrogandosi su quanto i nostri valori di oggi possano essere proiettati nel passato.

Paolo Flores d’Arcais / Alessandro Barbero

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Il numero 4/2021 di MicroMega offre ai lettori un focus sulla cosiddetta cancel culture con saggi di Cinzia Sciuto, che della questione analizza in dettaglio le varie fattispecie, cercando di separare il grano dal loglio; Alessandro Portelli, che sottolinea come a preoccuparci dovrebbe essere in realtà la vera cancellazione, che è quella operata dal potere politico ed economico; Alessandro Carrera, che tratteggia un quadro del clima di sospetto e timore che si respira nelle università americane; Thomas Chatterton Williams, che mette in guardia dalla caccia al capro espiatorio nell’epoca dei social network; Martina Testa, che lancia l’allarme sull’appiattimento e il conformismo dell’industria editoriale; e infine un dialogo fra Paolo Flores d’Arcais e Alessandro Barbero, che si confrontano sulla questione dei simboli e dei valori a cui rimandano, del quale pubblichiamo di seguito un estratto.

Paolo Flores d’Arcais: […]. Negli Stati Uniti sono stati censiti 1.747 simboli legati allo schiavismo: molti monumenti, ma anche scuole, college, contee, città e perfino dieci basi militari intitolate agli eroi del Sud. È come se una parte dell’America si rifiutasse di accettare l’esito della guerra civile e continuasse a rivendicare i valori degli Stati schiavisti. E ciò avviene soprattutto alla fine dell’Ottocento, quando le vecchie élite schiaviste appaiono decise a rivendicare i propri valori, facendo per esempio sventolare la bandiera della Confederazione anche sugli edifici pubblici. In un caso del genere, a mio parere, non si tratta più della questione di negare o meno la storia, bensì di operare una scelta, ribadendo che i disvalori dello schiavismo schiacciati dalla guerra civile non possono più far parte del patrimonio comune degli Stati Uniti d’America e che, dunque, non devono più esserci simboli che si richiamino a essi. Perché, considerando l’importanza della dimensione simbolica nella vita di ciascuno di noi, quei simboli continuerebbero a evocare una sorta di guerra latente permanente, una volontà di rivincita tesa a ristabilire quei disvalori, magari non nella forma di una schiavitù giuridica, ma comunque in quella di una diseguaglianza radicale fra bianchi e neri.
Se tuttavia la questione dell’abbattimento o meno delle statue o degli edifici pubblici dipende dal loro effettivo significato, il movimento Black Lives Matter è andato rapidamente oltre. Perché non ha preso più di mira solo quei simboli di revanche, di restaurazione razzista, incompatibili con la democrazia americana di oggi, ma ha messo in discussione qualsiasi monumento storico che non corrisponda a tutti i valori attuali di una democrazia, con il risultato di cortocircuiti paradossali e anche molto pericolosi.
Che senso ha abbattere un monumento di Cristoforo Colombo? Se si rimette in discussione quello che è il simbolo della cosiddetta scoperta dell’America, si dovrebbe per coerenza rivendicare che gli unici detentori di diritti negli Stati Uniti d’America sono i popoli originari. Che è ovviamente un nonsenso. Cristoforo Colombo non simboleggia tutto quello che poi sarebbe avvenuto dopo la sua scoperta, ma richiama un fatto storico di enorme importanza per la storia del mondo e senza il quale non ci sarebbero gli Stati Uniti e non ci sarebbero coloro che oggi abbattono le statue di Colombo. E tutto questo potrebbe valere anche per tutta un’altra serie di espressioni di quella cultura della cancellazione che in realtà è solo un’anti-cultura. […].
Che senso ha fare le pulci in questo modo in base a quelli che sono i nostri criteri? Se seguissimo questo modo di sragionare, dovremmo fare un rogo, tanto per fare un esempio, di tutte le opere di Shakespeare, essendo queste piene di pregiudizi di ogni tipo: contro gli ebrei, contro le donne, contro la democrazia…

Alessandro Barbero: […]. Abbattere un monumento è un atto che si vuole carico di significato. E, ovviamente, erigere un monumento è un atto altrettanto carico di significato, forse addirittura di più. Il fatto è che, quando si innalza un monumento, lo si fa nel presupposto che esso incarni qualcosa di condiviso. Che lo si chiami memoria, identità, storia o valori, si sta comunque dicendo, quando parliamo delle statue degli individui, che questa tale figura è un modello verso cui tutti ci inchiniamo. Ciò può avvenire sotto regimi diversi, ma, nel caso della democrazia, esiste l’idea, forse l’illusione, che sia indiscutibile che quella figura rappresenti valori abbracciati da tutti. […].
Quello che intendo dire è che innalzare un monumento pretende sempre di essere un atto unificante, benché si tratti quasi sempre di un’illusione, spesso anche in buona fede. Mentre abbattere un monumento è sempre un atto divisivo: finora ci avete imposto questa statua, ma noi non la vogliamo più e quindi l’abbattiamo, o la imbrattiamo. Tutti gli altri, però, non vengono interpellati. È sufficiente che quella statua non piaccia a noi per decidere di buttarla giù. Ma, se il principio è questo, allora anche la statua di Colombo, se a qualcuno dà fastidio, è giusto che venga rimossa. Se il principio è che le statue devono incarnare qualcosa di condiviso da tutti, basta che qualcuno non gradisca perché diventi legittimo abbatterle. È chiaro però che in questo modo finiremmo per eliminare tutte le statue.
[…]. Anche perché, considerando come lo stesso fondatore degli Stati Uniti George Washington fosse proprietario di schiavi (come pure lo era uno dei primi grandi presidenti, Thomas Jefferson), in base a questo criterio, per coerenza, anche Washington dovrebbe essere cancellato dalle piazze e forse anche dai libri scolastici.
[…]. Sarebbe molto più sana una società che sapesse dire: questo è il monumento a una figura importante della nostra storia, che ha fatto anche cose sbagliate, che aveva anche idee sbagliate, ma che tuttavia rappresenta qualcosa in cui vale la pena riconoscerci tutti, un pezzo del nostro passato che non è così abietto da dover essere rimosso, come invece abbattiamo le statue dei dittatori alla caduta del loro regime.
[…]. La soluzione non c’è. Quello che si può cercare di fare è lavorare affinché alla memoria si affianchi la storia che, diversamente dalla memoria, non ha bisogno di censurare niente, mentre, tu hai ragione, la memoria è scelta e censura. Così, ci sono persone a cui non bisogna dedicare vie e a cui non bisogna erigere monumenti, ma che invece è bene studiare […].

[L’estratto qui pubblicato corrisponde al 10% del testo integrale pubblicato in MicroMega 4/2021]

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