Ideologia e contraddizione nel Badiou degli anni Settanta

Per il filosofo francese Alain Badiou, gli anni Settanta sono stati una stagione di denso impegno teorico e politico, rappresentato da scritti quali "Teoria della contraddizione" (1975), "Sull’ideologia" (1976, scritto con François Balmès) e "Il nocciolo razionale della dialettica hegeliana" (1978). Pubblichiamo un estratto dalla prefazione al recente volume "Teoria della contraddizione e altri scritti dialettici" (Mimesis 2022), a cura di Giacomo Clemente e Stefano Pippa.

Giacomo Clemente e Stefano Pippa

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II. Gli atomisti greci rappresentano, in un passaggio centrale di Théorie du sujet, anch’esso* dell’82 (ma frutto di un seminario iniziato sette anni prima), coloro che anche per Badiou affrontarono per primi (cioè prima di Mallarmé e prima di Lacan) i problemi della dialettica strutturale: posta la differenza qualitativa tra atomi e vuoto (eterogenei assolutamente, marcano una “differenza forte”), il clinamen, in quanto “forza” agglomerante, rappresenta l’operatore teorico che li dialettizza (marca tra loro una
“differenza debole”). Il clinamen fa del vuoto lo spazio di posizionamento degli atomi agglomerati secordo una logica dei posti (cioè strutturati sotto la legge dell’Uno). Badiou chiama quello spazio esplace. Il clinamen, in quanto forza causativa e condizionale del mondo, non esiste, cioè non figura nella sua produzione ed è perciò fuori posto. Badiou chiama quella forza horlieu. La contraddizione tra forza e posto, al di là del caso atomistico, è la contraddizione tra un horlieu e un esplace, tra un posto e un fuori posto che è, in quanto termine evanescente (“il clinamen è fuori del tempo, non fa parte della catena degli effetti”), causa assente (“l’effetto è la soppressione retroattiva della causa”) del sistema delle posizioni.
Tra horlieu ed esplace, tra causa assente e molteplicità distribuita, non sussiste tuttavia un rapporto analitico di esteriorità. Qui come altrove, per Badiou passa la differenza tra metafisica (che è il pensiero del lieu, cioè del sistema di posizioni: Althusser, in quanto strutturalista, non farebbe eccezione) e dialettica (che è il pensiero della divisione: “È il Due che dà il suo concetto all’Uno, non l’inverso”). È uno degli insegnamenti che trae dalla Logica di Hegel (Etwas und Anderes…): recupero della matrice materialista (l’Hegel della scissione), esclusione di quella idealista (l’Hegel dell’alienazione). Che vi sia un termine evanescente con funzione causativa, che vi sia una distinzione tra un horlieu e un esplace, è dettato dal fatto che un essente posizionato (indicizzato nel tutto in cui figura come strutturato) non può essere pensato, proprio in quanto è quell’essente che è, che in una relazione di eccedenza rispetto allo spazio di posizionamento, una eccedenza che è determinata dalla sua (dell’essente) stessa inclusione. È il titolo della prima lezione: “Tutto ciò che è parte di un tutto gli fa ostacolo in quanto vi è incluso”. Un modo per dire che ogni molteplicità di indicizzazioni è inconsistente: ogni elemento dell’agglomerato è in posizione di inclusione contraddittoria perché è scisso in se stesso – è “il qualche cosa in sé e il qualche per l’altro”, dove il sé e l’altro sono i lati della sua stessa identità differita perché “tutto ciò che esiste è anche al contempo se stesso e se stesso secondo il suo posto”.

III. Si tratta, per Badiou, di pensare il passaggio dalla mancanza a essere all’essere della mancanza, dall’eccesso come causa assente della struttura all’eccesso come consistenza nella struttura: in breve, il punto sta nel pensare il passaggio dal reale come genesi al reale come distruzione. È un punto lacaniano: “Vi sono all’incirca due Lacan successivi, quello della mancanza a essere e quello dell’ontologia del buco, del topos nodale, dunque dell’essere della mancanza. Dal primato del simbolico alla consistenza del reale”‘. Se è vero che tuffo ciò che è costituito, in quanto molteplice sussunto alla legge dell’Uno, è governato dalla perdita di ciò che lo costituisce – “le operazioni dell’ ‘esplace’ sono delle sostituzioni (metafore e metonimie). È dunque impossibile riconoscere la perdita come tale” – allora la distruzione ha a che fare con una certa padronanza della mancanza. L’eccesso è infatti articolato in un doppio registro, cosi come avviene per ogni nozione che, nel Badiou di questi anni, è sottoposta al trattamento della divisione: è preso nel “suo effetto causale” e nel suo “effetto secondo” per il quale “il suo movente principale è quello di caricare una virtualità d’eccesso sulla collocazione ripetitiva messa in moto dalla mancanza a essere”. Nel sistema di posizioni accade qualcosa (non si sa dove, non si sa quando) che, emergendo, ne interdice la ripetizione. È un accadere che, differenziato qualitativamente dal sistema di permutazioni dei posti, taglia corto con la dialettica che lo legava al sistema di posizioni. È una dimostrazione, questa, che in Théorie du sujet passa dalla rilettura de Il tempo logico di Lacan alla relazione epistemologica (engelsiana) tra riflessione – metafora della tesi dell’identità perché soggetto e oggetto fanno l’Uno speculare – e asintoto – che rileva uno scarto o un frammento irriflesso che fa della stessa riflessione un punctum imaginarium irraggiungibile.
È sufficiente riportare un esempio che Badiou trae ancora una volta dai greci. Per la matematica pitagorica il dominio del numerabile è composto da interi o da rapporti tra interi. Si apre una crisi (non si sa dove, non si sa quando) “che ha le caratteristiche di un evento”: il rapporto tra la diagonale e il lato di un quadrato non è misurabile né da un numero intero né da un numero razionale. Se l’ordine della legge delle posizioni è l’ordine degli interi o dei rapporti tra interi, allora la crisi che vi si produce forza la legge del luogo e chiede, in quanto impossibile di quell’ordine, di essere legalizzata in virtù di una distruzione forzata e di una nuova ricomposizione. È ciò che è accaduto con la teoria delle proporzioni di Eudosso: “Il numerabile si allarga. Spezzando le antiche prescrizioni un nuovo sistema di leggi forgia su nuovi fondamenti un concetto del numero”. L’innumerabile è preso, così, in una doppia funzione: è causa assente del numerabile nella misura in cui, emergendo come interruzione nell’esplace delle posizioni dei numeni ordinati, determina di volta in volta nuovi ordini e configurazioni: “Il non-numerabile (il non-nominabile) resta come supporto asintotico per la retroazione che vuole risolvere i problemi di cui prescrive l’esistenza possibile”.
Badiou intende pensare il nuovo in situazione sul presupposto dell’impossibilità della chiusura strutturale. È un pensiero delle durate topologiche della storia (dei punti di insorgenza) contro quelle semplicemente algebriche (delle commutazioni). Mao contro Stalin. È un pensiero che fa di un comunista un dialettico materialista: “Periodizzare e passare oltre. Nessun punto di arresto, di fine”.
Badiou chiama “soggettivazione” il reale come causa assente (si perde simbolicamente nello spazio di indicizzazione in cui il soggetto è preso in un regime di sostituzioni) e “processo soggettivo” la presa in carico distruttiva dell’asperità che spezza la ripetizione (che quindi sospende la legge dei posti come “buco” dell’esplace). Il soggetto è il nome di due processi distinti ma non separati: “Non avete due concetti per un processo, ma piuttosto due processi (ripetizione/interruzione, mancanza/distruzione) per un concetto (quello di soggetto)”.
Teoria della contraddizione, del ’75, e Il nocciolo razionale della dialettica hegeliana, del ’78 (cioè in pieno svolgimento del seminario), preannunciano o integrano molte delle suggestioni teoriche che in II. e III. è stato necessario riportare soltanto rapidamente. Soprattutto il primo testo rappresenta il momento originario dell’elaborazione teorica della relazione tra forza e posizione, così centrale in Théorie du sujet (una relazione non ancora dialettizzata da quella accennata in III. tra “man-canza a essere” e “essere della mancanza”). È sufficiente sottolineare che Badiou chiama la logica dello spostamento dei termini della struttura “processo secondario”, la sua dissoluzione “processo primario”. In una guerra interimperialista come il primo conflitto mondiale, ad esempio, la vittoria o la sconfitta – determinate dalla quota di accumulazione quantitativa di potenza offensiva di uno dei due (o più) poli della contraddizione (che perciò è debole) –, lungi dal rilevare la revisione della struttura in cui esse accadono, non farebbero che ratificare semplici “inversioni di spazio”. “La stima delle forze si dispiega nel pensiero quantitativo, nell’elemento dell’omogeneità”, e “non porta altro che una redistribuzione indifferente dei posti”. Perché? Perché entrambe escludono – cosi come lo spazio pitagorico escludeva i numeri irrazionali da quelli interi – “i milioni di operai e contadini morti durante il massacro del 14-18”. È per questo, precisamente, che la forza popolare rappresenta qualcosa di qualitativamente diverso da quelle semplicemente strutturali: perché se queste ultime fanno della prima un medesimo termine da sottrarre affinché possa avvenire una risoluzione che perciò è soltanto di superficie (che si parli di vittoria o di sconfitta, “nulla di essenziale le differenzia”), quella popolare ridefinisce lo stesso spazio di posizionamento delle contraddizioni dopo la sua (dello spazio) distruzione. Quella di Badiou non è una metafisica della qualità. L’eterogeneità qualitativa sta in rapporto alla procedura di distruzione-ricomposizione strutturale, e “soggetto” è il nome di questa eterogeneità. Se è vero che il proletariato è una classe sfruttata e come tale è indicizzato secondo il posto che deve occupare nel processo di produzione (nei termini di Teoria della contraddizione: è un “essere-per-la-struttura”), è altrettanto vero che come classe rivoluzionaria (il cui essere è l”essere-per-la-dissoluzione-della-struttura”) “porterà all’annientamento del modo di produzione capitalista”, e con ciò – cioè con la distruzione dell’altro polo della contraddizione (che perciò è forte) –, distruggerà anche se stesso come soggetto indicizzato della vecchia struttura.
Quando si parla di devastazione non c’è spazio per alcuna Aufhebung. Si tratta, ancora una volta, di fare i conti con Hegel: “Non c’è vero pensiero rivoluzionario se non quello che porta il riconoscimento del nuovo fino al suo ineluttabile contrario: il vecchio deve morire”. Se, come visto alla fine di III., non c’è nessun punto di arresto, è perché l’imperativo di un comunista è: stare alla larga, ogni volta, dai rischi della secondarizzazione e mantenersi nella “conservazione della dimensione primaria del processo”. Come direbbe in Théorie du sujet: “Bisogna tenersi horlieu“.



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