Gli idranti contro i portuali e i decreti di Salvini

Il leader della Lega si scaglia contro il Viminale (dove come sottosegretario c’è un leghista) per i fatti di Trieste. Ma se gli idranti sono stati accesi e puntati contro lavoratori e cittadini la responsabilità è tutta sua e del suo decreto sicurezza.

Daniele Nalbone

“Idranti contro i pacifici lavoratori e cittadini a Trieste. Ma al Viminale come ragionano?”. Il duro commento è in un tweet del 18 ottobre – ore 11 – di Matteo Salvini che si schiera dalla parte dei manifestanti “No green pass” sgomberati in modo plateale dalle forze dell’ordine per ripristinare la viabilità intorno al porto di Trieste. Immagini decisamente poco edificanti in un Paese democratico. Salvini per una volta ha ragione a chiedersi “ma al Viminale come ragionano?”.

Per trovare una risposta alla domanda il leader della Lega ha due opzioni. La prima: usare quello smartphone che, gli ricordiamo, serve non solo a scattare selfie e chiamare Nicola Molteni, deputato della Lega e sottosegretario al ministero dell’Interno. Lui sicuramente ha una risposta. La seconda: andare indietro tra tweet e commenti e tornare indietro all’ottobre 2018 e ricordarsi di quando, proprio nelle vesti di ministro dell’Interno, pensò, scrisse e fece approvare – era il primo governo Conte – quel decreto sicurezza che, al suo interno, contiene all’articolo 23 “Disposizioni in materia di blocco stradale”.

Il blocco stradale, depenalizzato nel 1999, ha ripristinato il reato con pene che possono arrivare fino a sei anni di carcere e recita così: “Chiunque, al fine di impedire od ostacolare la libera circolazione, depone o abbandona congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ordinaria o ferrata o comunque ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata, ad eccezione dei casi previsti dall’art. 1-bis, è punito con la reclusione da uno a sei anni”.

Che quella disposizione fosse pensata ad hoc per limitare e punire il diritto a manifestare era chiaro. Nel mirino dell’allora capo del Viminale c’erano ovviamente, in cima alla lista, movimenti e sindacati, dai No Tav alle lotte nella logistica, allora come oggi un fronte caldo del dissenso contro il governo, allora Conte prima versione, oggi Draghi.

Nei mesi in cui Matteo Salvini era impegnato a (far) scrivere quel dispositivo del decreto sicurezza, a Torino si stavano celebrando diversi processi scaturiti dai blocchi stradali effettuati tra febbraio e marzo del 2012 lungo l’autostrada che dal capoluogo piemontese porta a Bardonecchia. In quei giorni centinaia, se non migliaia di persone bloccarono l’arteria stradale per protestare contro la crescente militarizzazione della Val di Susa con l’obiettivo di ostacolare l’arrivo di alcune componenti della famosa “talpa” e bloccare così i lavori nel tunnel di Chiomonte.

Come ricorda questo articolo di volerelaluna.it, “se quelle manifestazioni venissero fatte oggi (all’epoca dell’approvazione dei decreti, ndr), i partecipanti rischierebbero pene elevatissime e, con ogni probabilità, l’applicazione di misure cautelari, visti i criteri guida utilizzati negli ultimi anni dagli uffici giudiziari torinesi. Tutto ciò in perfetta armonia con le roboanti dichiarazioni del ministro dell’interno (all’epoca Matteo Salvini, ndr), che sembra avere in odio qualsiasi forma di protesta o di conflitto sociale”.

Ora però che quel decreto sicurezza è stato usato per andare contro quel popolo “no green pass” al quale Salvini e la destra strizzano da tempo l’occhio, ecco che il leader della Lega attacca sui social quanto scaturito dal decreto da lui pensato, voluto e approvato e, qui è bene sottolineato, non modificato dalla riforma a quei decreti avvenuta nel secondo governo Conte, quello sostenuto (anche) dal Partito Democratico. Perché, in fondo, un “sano” autoritarismo contro ogni tipo di dissenso, di questi tempi, fa comodo un po’ a tutti.



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