Il Consiglio europeo continua a ignorare i Paesi di primo approdo e i diritti dei richiedenti asilo

Giovedì 8 giugno è stato votato un accordo sulle migrazioni che riconferma i nodi più problematici del Trattato di Dublino, in aperto contrasto con le decisioni del Parlamento europeo dello scorso aprile. In proposito abbiamo intervistato Christopher Hein, professore di Diritto e Politiche di immigrazione e asilo dell’Università Luiss di Roma.

Michela Fantozzi

Professor Hein, cosa prevede l’accordo del Consiglio europeo votato giovedì 8 giugno in materia di migrazioni?
Una premessa. Questi lavori avvengono nell’ambito di una proposta della Commissione europea a tutto campo, che si chiama Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo che è stata presentata nel settembre 2020. Il patto si compone di molte diverse proposte legislative, mirate a superare il Trattato di Dublino, che si è rivelato inadeguato.
Il Consiglio europeo giovedì scorso ha riaffermato la responsabilità esclusiva del migrante in capo al primo Paese d’approdo. Questo non solo per l’esame delle richieste d’asilo, ma anche per l’accoglienza ed eventualmente per il rimpatrio.
Gli obblighi dei paesi di primo approdo erano stati da tempo contestati dai cosiddetti paesi del Med 5: Italia, Grecia, Spagna, Cipro e Malta.
La proposta di redistribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo tra gli Stati membri non è stata presa in considerazione dal Consiglio europeo, se non solo come una possibile misura di solidarietà volontaria, che può anche essere sostituita con un contributo finanziario.

Questo delude chiaramente Paesi come l’Italia, che rimarranno nella posizione di soli responsabili di migranti in arrivo in Europa.
E francamente non si capisce molto bene perché l’Italia e anche la Grecia abbiano votato in favore di questa proposta.
Ci sono tanti altri aspetti interessanti, come l’obbligo di introdurre la procedura d’asilo alla frontiera per tutti gli arrivi irregolari e per tutti quelli che provengono da Paesi che hanno un tasso di riconoscimento della protezione internazionale minore del 20%, che in Italia da tempo sono la stragrande maggioranza dei migranti: tunisini, ivoriani, guineani, bangladesi e pakistani hanno tutti una percentuale di riconoscimento decisamente inferiore al 20%, il che vuol dire che sono anche già fuori da qualunque misura di solidarietà. Quindi, ripeto, non capisco cosa abbia ottenuto l’Italia per dare il suo consenso.
Comunque è tutto da definire, c’è ancora in ballo il voto del Parlamento europeo, che ad aprile ha votato una proposta completamente diversa.

Ossia?
Il problema fondamentale del Trattato di Dublino è che non considera la persona del richiedente asilo e i suoi legittimi interessi e preferenze. Questo è stato il motivo principale del fallimento del sistema. Il Pe vuole introdurre come primo criterio per vagliare le richieste d’asilo il legame che il richiedente ha con un determinato Paese membro: famigliare, di comunità, di conoscenza linguistica, eccetera. Tutti quei presupposti che fanno sì che il migrante possa integrarsi più facilmente. La proposta votata dal Pe, quindi, contempla il completo superamento della responsabilità esclusiva dello Stato di primo approdo. Di questo naturalmente nell’ultimo Consiglio europeo non c’è traccia.

Tutti parlano di un’introduzione di una clausola di solidarietà tra Stati, ma in realtà non è vero, quindi?
No, non c’è l’obbligo di redistribuzione. Preoccupa il fatto che per il Consiglio europeo permane comunque, come negli ultimi trent’anni, in modo invariato, il desiderio di abbandonare gli Stati più esposti agli arrivi dei flussi migratori.
Manca anche la cosa più importante: evitare che più del 90% dei richiedenti asilo irregolari venga lasciato nella clandestinità, con tutte le conseguenze che conosciamo bene. Perché non ci sono alternative per un ingresso regolare verso l’Ue e, a parte annunciare che bisognerebbe crearle, non è stata fatta una proposta concreta a riguardo.

Mentre per quanto riguarda il “rimpatrio” per ricacciare i migranti senza permesso verso i paesi di transito…
Si tratta dell’intenzione di fare accordi con Paesi terzi, sì. Non era neanche una proposta della Commissione europea, è stata introdotta adesso nel negoziato del Consiglio e che naturalmente presuppone sempre la cooperazione di questi Stati terzi.
Parlando dell’Africa, nessuno Stato si è offerto di ricevere delle persone che non sono i propri connazionali, con una sola eccezione, il Rwanda, che ha dialogato con il Regno Unito, non con l’Ue. Quindi diciamo che è un’idea nata in Lussemburgo ma che non riflette i giusti argomenti di questi Paesi terzi.

Il termine “rimpatrio” usato per definire lo spostamento di un migrante a un paese terzo, non è forviante? La parola “deportazione” non sarebbe più corretta in questo caso?
Sì, perché non si tratta di un rimpatrio, ma piuttosto di un ritorno ad un paese di transito o, eventualmente, un paese di primo rifugio. “Rimpatrio” non si può usare perché non è alla patria che la persona verrebbe riconsegnata, ma a un Paese con cui non ha un vero legame e che, soprattutto, non è una risposta ai suoi problemi. Infatti questa misura non sarebbe d’ostacolo ad un altro tentativo da parte del migrante di arrivare in Europa.
Quindi si tratterebbe di una deportazione a tutti gli effetti. Non avrei nessuna difficoltà a chiamarla deportazione, sia che avvenga in forma di respingimento diretto delle persone che arrivano alla frontiera o in caso di spostamento forzato posteriore. Ma probabilmente, per nostra fortuna, non sarà una via praticabile perché non c’è nessuna volontà da parte di uno Stato terzo di accettare questo tipo di accordo.

Mentre cosa pensa del viaggio della presidente Meloni e di Ursula von der Leyen in Tunisia, a cui sono stati offerti 150 milioni di euro per impedire ai migranti di partire?
La prima domanda è perché l’Unione Europea e l’Italia vogliono fare un accordo con la Tunisia proprio quando questa è governata da un dittatore che ha sospeso i lavori del parlamento e che ha incarcerato oppositori politici. C’erano 10 anni di tempo per negoziare con governi eletti della Tunisia, tra il 2011 e il 2021, e che avrebbero avuto bisogno di aiuto per stabilizzare un processo democratico e per risanare l’economia, ma non è stato fatto. Si offrono ora questi milioni a un dittatore per un aumento, tra l’altro non drammatico, del numero degli arrivi dei migranti da quel Paese. Tutto parte da una situazione che è vissuta come “emergenza migranti” e lì si pensa a un patto con un governo che manca di tutti gli elementi di democraticità.

La seconda questione riguarda naturalmente l’intenzione da parte dell’Unione e dell’Italia di fare un accordo con la Tunisia perché accetti il rimpatrio non solo dei propri concittadini ma anche di cittadini di altri paesi dell’Africa subsahariana e dell’Asia occidentale che hanno transitato nei suoi confini. Dopo l’incontro con Meloni e Ursula von der Leyen, il presidente Saied ha dichiarato che non pensa minimamente di accogliere queste persone dietro pagamento, anzi, l’ha dichiarata come una mossa disumana[1]. Proprio lui, il presidente tunisino che fa notare all’Ue che la proposta è disumana.
Non c’è un accordo al momento, si penserà ad elaborare un testo da proporre alla Tunisia alla prossima riunione del Consiglio europeo. Comunque, se l’intenzione dell’Ue e anche dell’Italia era quella di rispedire i migranti in Tunisia, hanno ricevuto un chiaro diniego. L’unica cosa ottenuta è stata una promessa da parte tunisina di vigilare meglio i suoi confini meridionali, specialmente quello con il Niger, che è paese di transito per i migranti.

[1] *Il presidente tunisino Kais Saied “ha fatto notare che la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre”. Lo si legge in un comunicato della presidenza tunisina, pubblicato al termine dell’incontro.

Foto © European Union, 2023. – Concil of Europe. From left to right: Ylva JOHANSSON (European Commissioner for Home Affairs), Maria MALMER STENERGARD (Minister for Migration, Sweden). Event:Justice and Home Affairs Council – June 2023



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