Il corto circuito della democrazia

Il diritto di manifestare nelle piazze è intoccabile, ma se fatto senza dispositivi di protezione non confligge con l’eguale diritto di veder garantita la salute?

Teresa Simeone

La crisi che stiamo attraversando, e che ci interroga su più fronti, investe anche la natura stessa della nostra democrazia. Si avverte disagio nell’affrontarla, come avviene in periodi di emergenza, quando le basi della “peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino a ora”, secondo la definizione del più conosciuto statista britannico del Novecento, sono criticate. E le critiche non vengono solo dall’interno, nell’ambito delle pur legittime e raffinate discussioni accademiche, ma soprattutto dall’esterno e da ambienti per niente disposti al confronto. Mi riferisco, ovviamente, ai quotidiani assalti di chi, grazie e in nome delle regole democratiche, non perde occasione per eroderne le fondamenta. È del tutto ovvio, e la Costituzione ce lo ricorda quando all’articolo 17 sancisce che tutti hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi, che ci sia e sia intoccabile il diritto di manifestare nelle piazze. E, ciononostante, diventa discutibile che in quelle piazze si sia senza dispositivi di protezione e assolutamente contagiabili. Tale diritto non confligge con l’eguale diritto di veder garantita la salute e il rispetto delle regole necessarie ad arginare la diffusione del virus?

Allo stesso modo, il diritto al lavoro può essere rivendicato con il rifiuto del green pass, visto come un’insopportabile coercizione e non come uno strumento per tutelare la salute in quegli spazi in cui cittadini sono costretti a stare per otto ore al giorno? Il diritto di pochi può prevalere su quello di molti?

Quando si afferma che la sovranità appartiene al popolo, si sancisce, nello stesso comma, che esso “la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, a scongiurare anche una possibile dittatura della maggioranza, il cui rischio già Tocqueville aveva individuato come una patologia della democrazia stessa. Una democrazia, dunque, è tale se tutela le minoranze, ma cosa si intende per minoranze? Masse di persone che dissentono in nome di visioni ideologiche o gruppi sociali in riferimento a etnia, religione, lingua, genere, orientamento sessuale, condizione psicofisica e disabilità? Non tutelare queste seconde significherebbe sì creare discriminazioni in base a caratteri essenziali per l’esistenza delle persone che le compongono. Certamente – si può obiettare – minoranza è ogni formazione che non sia maggioranza: se la maggioranza è pro vax, i no vax sono minoranza. E vanno rispettati. Legittimo. Ma rispettarli significa subirne sempre e comunque le intemperanze? Significa sottomettersi alla loro volontà? Un conto è che manifestino, secondo un principio costituzionalmente garantito, un altro che gli effetti di tale protesta influenzino le scelte a scapito della maggioranza. Il tema non è così astratto come si potrebbe pensare.

Diventa concreto quando è calato nel contesto sociale in cui la libertà di un individuo si scontra con l’eguale esercizio della libertà di ogni altro individuo con cui si è scelto di convivere.[1] Socrate, nel momento in cui Critone gli prospetta la fuga da una città che lo sta condannando ingiustamente, ricorda che c’è un patto tra un cittadino e la sua polis e questo patto, che si sostanzia nelle sue leggi, è stato sottoscritto consapevolmente nel momento in cui si è scelto di vivere in quella città alla cui costituzione si continua a dare il proprio assenso. Ovviamente ci riferiamo a leggi democratiche, tipiche di uno Stato in cui, popperianamente, sia possibile cambiarle, non a quelle di una dittatura in cui si precluda la via legittima alla modifica di quelle ingiuste.

Quando i no green pass si rifiutano di mettere le mascherine e di osservare il distanziamento, dobbiamo rispettarne la libertà a prescindere? Che si accompagna, lo sappiamo bene, al rischio di diffondere il contagio e dunque di aggravare la situazione nelle terapie intensive, ledendo la possibilità di chi si ammala a disporre di personale e strutture per essere curato adeguatamente.

Diritto della minoranza e diritto della maggioranza: come uscirne?

Negli istituti scolastici gli organi collegiali e i dirigenti si stanno trovando di fronte a un dubbio importante: è consentito riprendere le visite guidate e i viaggi d’istruzione ma, poiché la scuola è inclusiva e non può escludere quegli studenti che non hanno il green pass, si pone la questione di quale diritto si stia violando, quello della minoranza o quello della maggioranza. Il problema è più diffuso di quanto si immagini e interessa milioni di famiglie. Si è in un’impasse che porta all’immobilità della non decisione: se si consente la visita guidata, ad esempio, è giocoforza che per un istituto di istruzione che la sceglie in coerenza con il curricolo formativo e dunque non a Gardaland o in un parco acquatico ma in musei, gallerie d’arte, spazi chiusi cioè, si sa di dover esibire il green pass. Come si esce da tale corto circuito? Stabilendo che possano partecipare solo i vaccinati? No, perché si emarginerebbero i non vaccinati. Quelli eventuali, giacché ai docenti non è dato indagare neppure su chi lo sia e chi no. E, allora, alla fine meglio evitare uscite sul territorio che possano creare situazioni di disagio, impedendo, dunque, alla maggioranza degli studenti (perché la maggioranza ammette spontaneamente di avere il green pass!) di cogliere un’opportunità di crescita e di formazione quale la visita a un museo. Se pensiamo, poi, che negli ultimi anni questa esperienza è stata interdetta, si capisce la frustrazione per la maggior parte di loro, che si sono vaccinati per rispettare se stessi e gli altri, nel dover rinunciare perché uno o due compagni non hanno il green pass. E forse questi due lo vorrebbero pure ma i propri genitori no vax hanno scelto che non debbano averlo. Quei genitori sono, magari, gli stessi che protestavano per la DaD e che, di fronte alla libertà di ritornare in presenza, libertà avuta solo grazie al vaccino, ora contestano l’unico strumento che l’ha resa possibile.

Allo stesso modo, se si volesse fare un semplice controllo delle persone con cui si è “costretti” a interagire e chiedere se sono o no vaccinati, non si può. È violazione della privacy, che i No vax conoscono talmente bene da usarla ormai come un vero strumento di ostruzionismo a quel dialogo che continuamente invocano.

E allora: il Green pass, che ha dimostrato la sua efficacia nel ridurre i casi di malattia grave e di morte, è una misura antidemocratica? Coloro che lo sostengono affermano che è un “lasciapassare” che discrimina e dunque è anticostituzionale. Meglio sarebbe, dicono, da parte dello Stato, imporre l’obbligo vaccinale. A parte che la discriminazione è tutt’altro ed è diretta a negare l’accesso ai diritti a categorie in nome di pregiudizi di carattere etnico, religioso, sessuale, di genere, di disabilità mentre la vaccinazione è gratuita per tutti, non si comprende perché l’obbligo statale dovrebbe consentire maggiori margini di libertà e dunque sarebbe più democratico. Non serve uno sguardo d’aquila per immaginare che cosa succederebbe, in realtà, se lo Stato lo applicasse!

D’altro canto, si può essere irritati o meno quando alcuni cortei rifiutano di collaborare nel percorso delle manifestazioni, rivolgono insulti e offese di ogni tipo, addirittura si rendono responsabili di episodi più gravi (che però si configurano come reati), ma non si può applaudire quando si aprono gli idranti contro chi manifesta pacificamente. In realtà, tale disposizione risale a un decreto del governo gialloverde, non rimosso da quelli successivi, quando il clima non era certo migliore, e non per la pandemia, e anche esporre un innocuo lenzuolo a un balcone veniva considerato una minaccia alla sicurezza. Insomma, la democrazia ha continuamente da autointerrogarsi per autocorreggersi, ma con ragionevolezza e attenzione ai rischi reali. E, comunque, non si può accettare che in suo nome si dirigano assalti a sedi istituzionali (Palazzo Chigi) o a presidi di democrazia come il sindacato (la CGIL) o ai professionisti dell’informazione.

I No green pass, che ormai ricorrono a ogni genere di slogan, fino alla pantomima vergognosa con cui hanno indossato pettorine a strisce e sfilato con in mano il filo spinato, tra i tanti riferimenti hanno evocato i fatti del G8 di Genova del 2001. Allora si parlò di “macelleria messicana” e “della più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la seconda guerra mondiale”, secondo l’espressione di Amnesty International, ma i fatti di oggi non sono equiparabili a quelli, considerando che allora la polizia andò nella scuola Diaz a pestare a sangue i manifestanti che vi avevano trovato alloggio. Una macchia indelebile sulla storia dell’Italia repubblicana.

Se l’affermazione di Hegel che “L’arbitrio del singolo non è libertà[2] può attivare riserve perché introduce alla visione di uno Stato etico che si arroghi il diritto di stabilire ciò che è giusto per tutti, è altresì corretto essere cauti nell’evitare derive opposte.

La dittatura della maggioranza è fuori della Costituzione ma, allo stesso modo, lo è la dittatura della minoranza: avviare dibattiti è cultura; trovare un equilibrio è politica.

NOTE

[1] Cifr. Nota in Leonardo Amoroso, Senso e consenso. Uno studio kantiano, Guida editori, pag. 206 relativa all’affermazione di Kant: “Qualsiasi azione è conforme al diritto quando per mezzo di essa, o secondo la sua massima, la libertà dell’arbitrio di ognuno può coesistere con la libertà di ogni altro secondo una legge universale”

[2] G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, vol. I, tr. it., Firenze, La Nuova Italia, 2001, p. 105.

 

(credit foto ANSA/ PAOLO GIOVANNINI)



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