Il diritto all’oblio sta diventando una nuova forma di censura?

Lo speciale su Rita Atria di Giovanna Cucè era stato rimosso da RaiPlay a causa di diverse diffide. Ora è di nuovo disponibile, ma in una versione censurata a causa di un presunto diritto d'oblio vantato da condannati per mafia.

Michela Fantozzi

Il documentario della giornalista Rai Giovanna Cucè “Rita Atria, la settima vittima” è di nuovo disponibile su RaiPlay dopo essere stato rimosso dalla piattaforma perché oggetto di numerose diffide e richieste di risarcimento danni. Il reportage racconta i chiaroscuri della storia di Rita Atria, giovanissima testimone di giustizia contro Cosa Nostra e protetta di Paolo Borsellino, dichiarata morta suicida a diciassette anni una settimana dopo la strage di Via D’Amelio. Il reportage è tratto dal libro della stessa Giovanna Cucè, “Io sono Rita: la settima vittima di via D’Amelio”, scritto insieme a Nadia Furnari, co-fondatrice dell’associazione antimafia Rita Atria e a Graziella Proto, attivista antimafia. Il lavoro fatto per ricostruire la vicenda di Rita Atria in questo testo ha portato l’associazione a chiedere la riapertura delle indagini alla Procura di Roma.

Rita era una ragazza di 17 anni che, dopo aver perso padre e fratello per omicidi mafiosi, decise di denunciare la rete criminale di cui facevano parte gli uomini della sua famiglia, portando di fronte alla giustizia 50 persone. Per tutelarla da ritorsioni nel suo paese d’origine, Partanna, fu nascosta in un appartamento di Roma e protetta dalla squadra di Paolo Borsellino, che era diventato per lei una figura paterna. Sette giorni dopo la morte di Borsellino, Rita cadde dalla finestra di una palazzina di Roma. Nessuna indagine fu svolta sulla sua morte, perché considerata un caso di suicidio. Ma il libro prima e il reportage poi mostrano, attraverso un’attenta analisi di documenti desecretati dopo decenni, che ci furono serie negligenze nelle perizie da parte degli ufficiali di giustizia.

Perché la Rai ha rimosso uno speciale che racconta una vicenda così importante per la storia della lotta alla mafia in questo Paese? In realtà non aveva molta scelta. All’interno del documentario sono incluse immagini di una retata antimafia di trent’anni fa, proprio nel paesino di Partanna, dove sono visibili i volti degli arrestati. Tre di loro (un condannato, uno assolto in appello e uno mai condannato secondo quanto si legge su Repubblica) hanno denunciato il reportage per presunto negato rispetto del diritto all’oblio, costringendo la Rai prima a cancellarlo e poi, a seguito delle proteste, ricaricarlo censurando i volti dei condannati.

La domanda sorge spontanea: può una persona condannata per mafia richiedere alla giustizia che il suo nome non venga più pronunciato pubblicamente?  Il diritto all’oblio è una prerogativa diventata particolarmente rilevante con l’avvento di internet e ha la funzione di tutelare la privacy dell’individuo. Si compie attraverso il divieto di divulgare e riproporre alla pubblica attenzione identità e vicende superate da tempo. Un esempio noto alla cronaca è il caso di Tiziana Cantone, vittima di revenge porn, morta suicida nel 2021 a 31 anni proprio a causa dell’attenzione morbosa a lei rivolta dopo la diffusione dei video intimi. Tiziana aveva chiesto al giudice che il suo nome sparisse dai social e dai motori di ricerca, appellandosi al diritto all’oblio, che le fu però negato.  In casi come questi è facile immaginare perché serva un diritto all’oblio. Ma questo non dovrebbe valere in casi di informazioni di pubblico interesse.

La norma che regola il diritto all’oblio è contenuta nell’art. 17 del GDPR (Regolamento UE n. 679/2016 sulla protezione dei dati personali), il quale stabilisce che il diritto alla cancellazione non sussiste quando si scontra con “l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione” o “a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica”. Quindi la risposta logica, anche in virtù di quando la legge afferma, è no, gli ex condannati di mafia non possono rivendicare il diritto all’oblio perché la questione mafiosa continua ad essere un fatto di pubblica rilevanza. Intanto però le cause sono fioccate e la Rai, in via preventiva, ha ricaricato il documentario con un pallino sbiadito al posto dei volti dei condannati.

In questa vicenda si evidenzia una pericolosa tendenza nell’utilizzare il diritto all’oblio come una nuova forma di censura, ponendo un ulteriore ostacolo ai giornalisti italiani, il cui diritto d’espressione e di libera opinione, oltre al dovere di informare, vengono compromessi. Una minaccia che preoccupa anche l’Ordine dei Giornalisti, che in merito al reportage di Giovanna Cucè ha dichiarato: “L’oscuramento del documentario “Rita Atria, la settima vittima” di Giovanna Cucè, trasmesso il 17 luglio nello Speciale Tg1 riporta alla ribalta un problema serissimo: il pericolo dell’utilizzo strumentale del diritto all’oblio e la sua trasformazione nella facoltà di cancellare la memoria del nostro Paese. Lo speciale trasmesso il 17 luglio, nel trentennale della strage di via D’Amelio, non è infatti più visibile su RaiPlay. È necessaria un’azione comune per impedire la cancellazione della storia d’Italia e della memoria di chi si è sacrificato per difendere la legalità. Le aziende editoriali italiane sono da anni sottoposte a continue richieste di cancellazione di inchieste e servizi, pena l’avvio di iniziative legali. Occorre mettere un argine a questa indiscriminata e ingiustificata pratica”.

L’associazione antimafia Rita Atria e la testata LeSiciliane in un comunicato stampa congiunto hanno dichiarato di esprimere “il loro più vivo ringraziamento alla RAI e al TG1 per aver deciso di rendere nuovamente disponibile il reportage […]. L’Associazione […] è consapevole che per la RAI si tratta di una scelta difficile, considerando le diffide e le richieste di risarcimento danni pendenti. È proprio in ragione delle molteplici cause civili che “piovono” sempre più spesso sul giornalismo d’inchiesta che l’Associazione lancia un appello più ampio alla politica, al momento totalmente assente, affinché sia preservata la memoria collettiva che vive del prezioso lavoro di recupero di documenti, testimonianze, di ricostruzione di fatti anche risalenti nel tempo per comprendere e svelare ciò che ancora è rimasto oscuro, ciò che non deve restare sepolto nell’oblio, ma deve essere messo in luce ancora oggi per comprendere il presente e per richiedere giustizia… quella Giustizia spesso negata”.

 

 

Foto: immagine presa dal reportage “Rita Atria, la settima vittima” di Giovanna Cucè.



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