Il fascismo e Mussolini: la corte dei buffoni

Non credo esista una sola persona di buon senso che, conoscendo il fascismo, possa apprezzarlo. Che cosa fu, infatti, il fascismo? Spesso, troppo spesso, una buffonata incredibile.

Fabrizio Amadori

Rimango stupito ogni volta che sento qualcuno sostenere Mussolini. Chi lo sostiene lo fa o per ignoranza – nel senso che ignora cosa siano stati il fascismo italiano ed il suo capo – o per malafede o per qualche altro motivo riconducibile a questioni individuali complesse. Non credo possa esistere infatti una persona di buon senso che, conoscendo il Fascismo, possa apprezzarlo.
Che cosa fu, infatti, il fascismo? Il fascismo, nato dal simbolo di vita e di morte dei consoli romani, i fasci appunto, faceva riferimento ad un’epoca defunta, tanto per iniziare, l’epoca romana. Un’epoca guerrafondaia e machista che al di là di molta retorica portò per lungo tempo morte e distruzione nel mondo. La morte di uomini, donne e bambini. La civiltà romana fu anche questo, perché dimenticarlo?

Fu, ancora, la morte barbara di coorti di giovani sani e forti mandati al massacro per divertire il popolino combattendo negli anfiteatri tra di loro o contro gli animali feroci, una strage di cui parlava già Prudenzio con orrore e che ha spinto scrittori moderni e importanti come Camus a non apprezzare un simile sistema e una simile epoca. E poi c’era la questione, ripeto, del “macho romano”. Quello che andava anche a uomini, tanto per essere chiari e senza peli sulla lingua: bisognerebbe ricordarlo a certi fascisti omofobi che l’Impero Romano omofobo non era, a certe condizioni (che non è il caso di approfondire nel presente articolo). Nevrosi sessuali, direbbe qualcuno, e non a torto…
Come nevrotico probabilmente era il signor Mussolini, con la sua attività sessuale fatta in fretta e furia e circondata dall’aureola non proprio benevola della sifilide. Ma vediamolo questo tipico “macho italiano”, questo Mussolini dagli appetiti insaziabili, che di insaziabile, temo, ebbe solo l’ambizione e il desiderio di comandare.

Punto primo, Mussolini fu un opportunista. Prima socialista antinterventista all’inizio della Prima Guerra Mondiale, cambiò idea dopo che un massone filofrancese andò a trovarlo promettendogli molti soldi. Il Grande Italiano divenne insomma il difensore dell’intervento militare italiano sul libro paga di Parigi: un burattino nelle mani dei francesi che volevano l’Italia in guerra per alleggerire il loro fronte contro i tedeschi. Poi ci fu il dopoguerra, e le cooperative socialiste riuscirono dove Mussolini non ebbe mai successo: fare soldi senza accettare di essere corrotte da nessuno. Le cooperative rosse furono in grado, insomma, di coinvolgere migliaia di operai in attività redditizie dove i profitti venivano distribuiti in maniera equa: esattamente quanto non succedeva nelle aziende padronali che piacevano tanto all’ex socialista Mussolini, che da esse venne sostenuto nella conquista violenta del potere. L’ex direttore del quotidiano “Avanti!” si servì del grande capitale, sì, ma ne fu innanzitutto servo.
Le cooperative riuscirono ad organizzarsi in gruppi di lavoro e in vere e proprie società capaci di far concorrenza prima ai grandi latifondisti e poi agli industriali, con la differenza, ripeto, che distribuivano i profitti tra i lavoratori al contrario delle imprese dei vecchi padroni. Ed i fascisti, che non riuscivano a guadagnare la fiducia del popolo nelle elezioni, trovavano più comodo farsi pagare per distruggere con la violenza le attività dei socialisti non massimalisti italiani. Socialisti che, ben lontani dal voler seguire il “disastroso” modello sovietico – aggettivo, questo, usato per l’esperienza dell’Urss da Filippo Turati in persona, il politico di sinistra che sotterrò Mussolini con 180.000 preferenze contro 4000 nelle elezioni a Milano -, stavano indicando al mondo un modello possibile di ridistribuzione della ricchezza contrario alla violenza ma anche agli antichi, e incomprensibili, privilegi dei pochi.

I quali pochi, impazziti per tanto ardire, tanta sfacciataggine nel non accettare lo status quo, assoldarono molti ex soldati abbrutiti dalla guerra e spesso capaci solo di menare le mani, per distruggere i macchinari ed i capannoni delle cooperative agricole. Visto il successo condito da inaudita violenza, si passò a usare lo stesso metodo anche nelle fabbriche, con la complicità dello Stato borghese, uno stato fondato sul privilegio e sull’ipocrisia anche nel periodo tra le due guerre (“Dio, patria, famiglia” era un motto che il Fascismo mutuò dall’epoca precedente). Al punto che si parlò di “vittoria mutilata” per bocca di un altro personaggio assai discutibile come D’Annunzio (a prescindere dal suo valore come letterato): si parlò di “vittoria mutilata” per mantenere una situazione di confusione generale nella quale si potevano nascondere molte delle malefatte delle élite italiane dominanti. A partire dalla pessima conduzione della Prima Guerra Mondiale da parte di vecchi generali che mandarono al macello, spesso con molto gusto, coorti di ventenni, per finire agli enormi, spropositati profitti dei fabbricanti di armi italiani, profitti ottenuti anche contro gli interessi nazionali. Si pensi, ad esempio, alle armi vendute al nemico per smaltire le scorte. Quelli sì erano stati nemici dell’Italia, non gli operai socialisti che volevano guadagnare qualcosa di più organizzandosi in cooperative agricole e industriali. Imprenditori che invece di accettare la richiesta sindacale di una minima redistribuzione della ricchezza accumulata durante il conflitto, fecero di tutto per sopprimere le rivendicazioni operaie senza guardare in faccia a nessuno allorché sopraggiunse l’inevitabile crisi post-guerra.

Questo fu il contesto in cui si mosse Mussolini all’inizio. Invece di perseguire il bene del proprio popolo e accettare un esperimento economico e sociale che stava già dando dei frutti importanti anche agli occhi di molti osservatori stranieri di destra e di sinistra, un esperimento economico dove lui però – ed era un però fondamentale per uno come Mussolini – non avrebbe ottenuto alcuna parte importante, cosa fece il Gran Figlio di Predappio? Decise di cavalcare il tumulto dei pochi privilegiati contro i molti che stavano cercando di ottenere, con successo finalmente, condizioni un po’ migliori di vita, e in un contesto democratico per di più, perché questo contesto nel frattempo nessuno, a sinistra, lo stava mettendo in discussione, a parte i massimalisti, marginali però in tale processo di crescita sociale delle cooperative (altro punto fondamentale da sottolineare, questo). Ed insomma, chi lo mise in discussione fu l’uomo che fece il patto col diavolo contro la povera gente, ossia con il grande capitale, le forze peggiori del mondo cattolico (alias Vaticano) e l’alta borghesia ipocrita che sosteneva di scorgere il “pericolo comunista” dove non c’era, semplicemente per difendere i propri privilegi.

Fu Mussolini a far uccidere Matteotti, il grande deputato socialista. Si dice spesso che Mussolini ebbe il coraggio e l’accortezza di prendere su di sé quell’omicidio per questioni politiche, con una mossa a sorpresa vincente. In realtà quel gesto fu l’ultimo atto di un evento a causa del quale Mussolini rimase all’inizio impietrito dal terrore – dato che era lui il capo degli assassini che ebbero il cattivo gusto di farsi scoprire subito dalla polizia – e fu solo grazie alla confusione generale determinata dall’efferato omicidio, confusione che toccò anche i suoi oppositori, che il Grande Italiano, mandante diretto – diretto, ripeto – di questo come di tanti altri pestaggi mortali (si veda, ad esempio, anche quello di Amendola), non venne arrestato una volta prelevato da Palazzo Chigi, sede in un primo momento quasi completamente sguarnita di forze di sicurezza. Non venne arrestato, riuscì a cavarsela dopo essersi convinto di poter fare quel troppo osannato e ipocrita discorso in Parlamento (preso ad esempio, ai nostri tempi, dal principe tagliagole saudita Mohamed Bin Salman a proposito dell’omicidio Khashoggi), e manovrò affinché ai picchiatori assoldati per l’omicidio di Matteotti venisse ricondotta ogni colpa, evitando così di farsi coinvolgere direttamente, mostrando un atteggiamento che molti commentatori hanno definito “da infame”.
A proposito di infamia, mi si consenta una considerazione sul Gran Figlio di Predappio che tocca pure la mafia: trovo curioso che taluni conteggino la lotta a tale organizzazione criminale tra i presunti meriti di Mussolini. Voglio dire, Mussolini colpiva la Mafia non per ripristinare la legalità ma per sbarazzarsi di un pericoloso concorrente sul mercato della violenza e dell’intimidazione. Quante volte, ad esempio, la mafia ha usato e usa teppisti per intimidire soggetti fastidiosi, facendoli picchiare, bastonare ed anche uccidere? Ebbene, ripeto, Mussolini non faceva lo stesso? Mussolini non fu il mandante diretto e indiretto dei teppisti in molti, moltissimi casi, tra cui quello di Matteotti fu solo il più eclatante? Mussolini insomma sembrava permeato di quella cultura mafiosa che diceva di combattere. Mi verrebbe da aggiungere che Mussolini, però, fu anche un infame secondo gli stessi standard mafiosi dell’epoca, cercando di riversare sui collaboratori tutte le proprie colpe…

Inoltre, fu sempre lui a punire quei fascisti che non si mostrarono abbastanza violenti in molte circostanze in cui, secondo il Grande Italiano, c’era bisogno di esserlo. Altro che un Mussolini che riuscì ad arginare la violenza degli squadristi! Lui la violenza la usò eccome: certe volte per far finta di arginarla, altre volte per spingerla sino all’estremo, sino all’assassinio di persone inermi che avevano l’unico torto di sovrastarlo come oppositori di tutta la testa dal punto di vista politico, culturale e morale.
Mussolini fece anche molti pasticci, troppi, ed usò male i soldi degli investitori esteri mandando a gambe all’aria le finanze pubbliche al punto che fu costretto a inventarsi una guerra contro l’Etiopia, detta all’epoca Abissinia – sempre a proposito di violenza da utilizzare quando occorreva – per spostare l’attenzione del popolo deluso, ponendo in tal modo le basi della Seconda guerra mondiale secondo alcuni osservatori. Infatti, vedendo che le grandi potenze democratiche non fecero nulla di serio per impedirglielo, Germania e Giappone, nazioni ben più forti militarmente dell’Italia poco industrializzata dell’epoca, seguirono il suo esempio conquistando Renania e Manciuria. Detto questo, so benissimo che anche il Regno Unito e la Francia, ad esempio, furono in moltissime circostanze altrettanto violente dell’Italia mussoliniana in politica estera, ma non sto trattando delle élite ipocrite di quei due paesi imperialisti nel presente articolo.

Il Fascismo fu una dittatura in un contesto monarchico. Un’altra delle incongruenze, o pasticcio, tutto italiano, tanto è vero che bastò un Hitler, ossia “un cane rognoso” come lo definì un giorno con efficacia il grande filosofo e logico-matematico britannico Bertrand Russell, a capire che c’era qualcosa che non tornava con quel piccolo re sempre a mettere in ombra Mussolini nel protocollo delle grandi occasioni. Al punto che quando tornò a Berlino da una visita a Roma l’ex portalettere militare austriaco si diede subito da fare per sbarazzarsi di tutti i membri della famiglia reale tedesca (dell’ex impero guglielmino), per evitare di trovarseli un giorno tra i piedi. Ma Mussolini era bravo a fare il forte coi deboli e il debole coi forti. Anche in guerra: bravo con l’Etiopia, o l’Albania, un po’ meno non solo con gli inglesi o gli americani, ma pure coi greci. Dopodiché occorre subito aggiungere che alcuni dei suoi sostenitori, gli amatissimi industriali, contribuirono almeno in parte alla sua sconfitta. Infatti, non solo avevano venduto armi al nemico durante il primo conflitto planetario, come si è detto, ma durante la Seconda guerra mondiale costruirono piccoli carri armati dotati solo sulla carta di una forte corazza. Nei fatti non era così per una questione di profitti da ottenere a tutti i costi, risparmiando cioè sull’acciaio anche a costo della sconfitta della Nazione: se non era tradimento, questo… Del resto l’Italia è spesso stata guidata da inetti e traditori: durante il conflitto del 1915-1918 giovanissimi soldati furono mandati allo sbaraglio da imbelli come il famigerato generale Leone di cui ha scritto con tono tragicomico Lussu nel suo celebre romanzo Un anno sull’altipiano.

Per dirla tutta, Mussolini in guerra non combatté mai davvero, e già in occasione della cosiddetta Marcia su Roma lui “in marcia” non si era mai messo. Il Grande Italiano aveva già un piede sul predellino della macchina che avrebbe dovuto portarlo di filato in Svizzera nel caso le cose si fossero messe male, nel caso cioè che Vittorio Emanuele III avesse ordinato lo stato d’assedio contro i fascisti (e se non lo fece fu anche – e soprattutto? – perché alcuni generali collusi coi rivoltosi gli fecero capire che buona parte dei militari simpatizzava per Mussolini, al di là di presunte, gravissime appropriazioni indebite della Casa reale ai danni del popolo a conoscenza di alcuni fascisti che il re voleva tenere nascoste). Per chi scrive, sarebbe stato facile spazzare via le bande fasciste: le poche volte che le camicie nere non assaltarono di sorpresa la povera gente in un rapporto di uno a dieci a loro vantaggio dimostrarono vigliaccheria e incapacità, come nel celebre episodio di Sarzana. Mussolini si rivelò un comandante vigliacco in quella come in tante altre occasioni: quasi al termine del conflitto, un noto “camerata”, Carlo Borsani, gli chiese di non scappare coi tedeschi da Milano ma di combattere coi suoi, e lui in tutta risposta diede una scrollata di spalle e salì in fretta sulla vettura come l’ultimo dei traditori. E traditore venne definito proprio da Borsani prima che se ne andasse stando alla testimonianza di Sandro Pertini, che raccontò tale episodio in un’intervista televisiva.

Del resto Mussolini non si rivelò mai un gran combattente. Fu piuttosto una grande maschera, questo sì. Quando fu chiamato per un breve periodo al fronte durante la Prima Guerra Mondiale stette sempre nelle retrovie e rimase leggermente ferito a causa di un’esplosione accidentale di un’arma amica. Superbo guerriero davvero…
Un altro gran fascista, Roberto Farinacci, perse una mano lanciando bombe in Africa mentre pescava, perché, ebbene sì, lui pescava lanciando bombe: per tale cimento gli furono assegnate delle medaglie al valor militare da altri camerati come lui. Ripeto, medaglie perché si ferì da solo mentre andava a caccia di trote! Anche da fatti come questo si capisce cosa fu davvero il Fascismo, e cioè spesso, troppo spesso, una buffonata di incredibile, penoso livello…
Almeno Hitler affrontò delle situazioni oggettivamente pericolose; ed era Hitler, il portalettere militare, non Mandrake. Ma, evidentemente, non bisognava e non bisogna essere Mandrake per sentirsi superiori ad uno come Mussolini e ai suoi numerosi tirapiedi fascisti.

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