Il futuro passa (anche) dalla “politica per il cibo”

La battaglia per la sostenibilità del cibo e dell’agricoltura tra questioni economiche, ambientali e occupazionali. La vittoria dei movimenti romani e le prossime sfide per cambiare passo. Partendo dalla tavola.

Maurizio Franco

Roma, il comune agricolo più grande d’Italia, avrà una sua politica per il cibo. Il presidente dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito, ha annunciato la calendarizzazione della delibera che darà forma alle strategie sulla sostenibilità alimentare e, di conseguenza, ambientale nella metropoli. Il Consiglio comunale si appresta, quindi, a discutere sul futuro verde della città per consacrare sugli scranni dell’aula Giulio Cesare un processo partecipativo che mira alla valorizzazione del patrimonio e della produzione agricola locale, alla promozione delle filiere corte, solidali ed eque, alla lotta allo spreco, allo stop al consumo di suolo e al rilancio dei mercati rionali.

Il comitato promotore dell’iniziativa – denominato “il Consiglio del Cibo” e composto da ricercatori, attivisti e da circa 50 associazioni e cooperative – ha rivendicato il risultato, conseguito dopo anni di battaglie e mobilitazioni sul territorio. Il percorso è stato avviato il 16 ottobre 2019, la giornata mondiale dell’alimentazione, con la presentazione di un rapporto, redatto da Terra! e da Lands Onlus, che ha radiografato la situazione di Roma, avanzando dieci punti programmatici per rivoluzionare il sistema agroalimentare della città. Poi, l’approvazione nelle commissioni Ambiente e Commercio di una delibera che avrebbe spianato la strada alla formulazione della politica per il cibo.

Il successivo stop del provvedimento è stato più volte contestato dalle associazioni: il 24 marzo 2020 le caselle mail dei capigruppo del Consiglio comunale sono state prese di mira dalle centinaia di richieste di votare, al più presto, la norma. Il 14 aprile 2021 una delegazione del comitato ha quindi incontrato il presidente dell’Assemblea capitolina per suggellare la promessa.

“Roma, come del resto le altre metropoli, non può affrontare le sfide socio-economiche del prossimo futuro senza dotarsi di un’adeguata politica del cibo”, dice a Micromega Paolo Venezia, responsabile romano di Slow Food, una delle realtà che costituiscono la galassia del comitato promotore. “Le questioni alimentari, oramai, devono essere prioritarie per le amministrazioni. Nello specifico, su Roma, il settore ricopre un’importanza strategica per la qualità della vita dei cittadini”. Venezia, oltre a enumerare i capisaldi della sostenibilità, fa anche riferimento alla tradizione culinaria capitolina e al reticolo di ristoratori e bottegai, martoriati, oggi, dal Covid-19, “che rappresentano, in molti casi, eccellenze da preservare”.

Stando alle stime del rapporto, il 25 per cento del cibo che arriva nella metropoli proviene direttamente dall’agro romano e dalle campagne laziali. Roma è puntellata da 127 mercati rionali, che ospitano circa 2.500 operatori su 5mila postazioni disponibili. Di questi, però, soltanto un centinaio sono agricoltori diretti, come ha rivelato l’associazione Terra! nell’indagine Magna Roma.

Con 27 prodotti riconosciuti a indicazione geografica e 36 vini, il Lazio si “colloca in una posizione di tutto rispetto” sullo scacchiere enogastronomico della Penisola. Nella capitale italiana svettano la zucchina, il carciofo, il broccolo e il formaggio pecorino, romani o romaneschi, “della cui specificità, però, non abbiamo percezione” dice Venezia.

Inoltre, il Lazio detiene l’11 per cento dei terreni pubblici in Italia, la maggior parte dei quali si trovano nel contenitore metropolitano di Roma (quindi, ben oltre il Grande Raccordo Anulare). Un serbatoio fertile per favorire il ricambio generazionale in un settore che, ancora oggi, sconta l’età avanzata dei suoi addetti. Nonostante questo, nell’arco di un decennio, le aziende agricole sono aumentate del 43,8 per cento. La cooperativa Co.r.ag.gio – altra realtà che compone il mosaico per la Food Policy –, da questo punto di vista, è un’esperienza esemplare: dal 2015 ha in gestione la tenuta di Borghetto San Carlo, circa 22 ettari di terreni pubblici ai confini della città, sottratti all’abbandono e alla cementificazione.

Le cifre e i dati raccolti dalle associazioni indicano delle potenzialità, “che andrebbero incanalate in una strategia complessiva di sviluppo che tenga conto, però, del cambiamento climatico e della tutela ambientale”, commenta Venezia. Che aggiunge: “il tema della transizione ecologica è fortemente legato al sistema alimentare e alle sue dinamiche”.

In Italia, pesano 400mila tonnellate i prodotti alimentari gettati nel macero. Il 40 per cento è ortofrutta. A Roma, secondo il Consiglio, “si potrebbero potenzialmente recuperare e ridistribuire circa 29mila tonnellate di cibo all’anno”. Economia e ambiente vanno di pari passo, soprattutto negli ecosistemi urbani: oggi metà della popolazione mondiale vive nelle metropoli e nel 2050 la mole di persone che si concentrerà nei grandi centri lieviterà. E così le bocche da sfamare.

Un processo dal basso

In tutto il mondo sono circa 200 le città che hanno adottato un piano programmatico per la sostenibilità alimentare. New York, Vancouver e Toronto sono gli esempi più eclatanti. In Italia, nel 2015, il Comune di Milano ha stilato una sua politica per il cibo, incentrata su cinque “priorità” con cui essere “in grado di garantire un cibo sano e acqua potabile in quantità sufficiente e accessibile a tutti in un’ottica di equità, resilienza e sostenibilità articolata nelle sue componenti sociali, economiche e ambientali”. L’amministrazione e la Fondazione Cariplo hanno promosso questo strumento di governo, analizzando i punti di forza e le debolezze dell’architettura alimentare milanese. Una consultazione pubblica ha vagliato gli obiettivi della Food Policy. Una delibera del Consiglio comunale ha concretizzato i cinque “comandamenti”.

A Roma, è avvenuto esattamente il processo inverso”, spiega Venezia. “Il movimento è dal basso verso l’alto: è la società civile ad aver elaborato il piano, portandolo nelle istituzioni e aprendo un dibattito. Un unicum internazionale”.

Il portato del “Consiglio del cibo” ha influenzato e direzionato l’azione amministrativa, “mettendo a sistema l’operato di persone e realtà attive nel mondo della ricerca, della produzione alimentare, delle organizzazioni della società civile e dell’attivismo ambientale. Soggetti che, in questi anni, hanno coltivato l’agro romano, realizzato studi, attività politiche e di sensibilizzazione intorno al tema dell’agricoltura e del cibo”, si legge nel rapporto del Consiglio.

Studio, analisi e rivendicazione: il coacervo di bisogni e necessità che fa capo all’universo alimentare è concepito come “tematica trasversale a molte politiche pubbliche”, capace di connettere aree ed elementi, apparentemente distanti, come il diritto ad un lavoro dignitoso e la pianificazione delle aree verdi in città. Così la questione degli appalti pubblici e delle mense scolastiche, dove, in dieci anni, sono stati serviti circa 138,6 milioni di pasti: “questi dati ci dicono che […] si possono ottenere ricadute sul tessuto economico urbano, periurbano e rurale, oltre che sul piano educativo” incrociando la stagionalità dei prodotti e i criteri della filiera corta con i capitolati di fornitura.

“Questa è una grande opportunità per tutti. Roma ha la possibilità di avviare un laboratorio dove sperimentare nuove forme di partecipazione e di democrazia. Era ora!” afferma Venezia.

L’importanza di una politica per il cibo

Produzione, trasformazione, distribuzione e consumo. Le politiche alimentari incidono su ogni aspetto della catena del cibo, amalgamando il funzionamento del comparto agricolo alle variegate esigenze della salute umana e della tutela ambientale. Sono una “cassetta degli attrezzi”, delle linee guida su cui l’azione amministrativa – locale, nazionale o globale – deve attenersi. O tendere per plasmare un sistema economico sostenibile. Tra le misure previste, nonostante le specificità dei contesti e le varietà degli assetti mondiali, emergono attività come diffondere l’etichettatura dei prodotti, promuovere la ricerca scientifica e programmi di prevenzione alla povertà, sostenere l’innovazione tecnologica del comparto e il reddito degli agricoltori, garantire un accesso universale al cibo sano ed educare alle sue qualità.

Obiettivi e priorità per un modello di sviluppo integrato. Con organi di governo o enti preposti alla loro realizzazione, e con il supporto della società civile. La Carta di Milano, ad esempio, è un documento di intenti che impegna istituzioni, associazioni e imprese a perseguire le finalità del Millennio delle Nazioni Unite per eliminare la fame nel mondo entro il 2030. Circa 5000 persone hanno contribuito alla sua stesura.

Negli Stati Uniti, è l’operato di più organizzazioni governative a comporre il quadro di tali politiche. La Food and Drug Administration, l’Agenzia federale per gli alimenti e i medicinali, il Food and Nutrion Service, l’Esecutivo per il cibo e la nutrizione, e il Dipartimento dell’Agricoltura dispiegano in sinergia il proprio potere per affermare i principi della sostenibilità alimentare nella legislazione a stelle e strisce. A svolgere un ruolo apicale, centri studi, singoli cittadini e organizzazioni no-profit che sviluppano campagne di advocacy e di pressione sulle istituzioni per tutelare le conquiste delle politiche sul cibo ed esplorare possibili soluzioni alle contraddizioni del sistema che quotidianamente affiorano.



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