Il generale e il carabiniere

Quanto affermato dal maresciallo che durante una manifestazione dice di non riconoscere Mattarella come suo presidente non va sminuito attraverso la rassicurazione che si tratti di un caso isolato all’interno dell’Arma. Questo avvenimento, insieme al fenomeno del generale Vannacci, deve spronarci a porci degli interrogativi su quali sono gli umori e le ideologie prevalenti nel mondo militare italiano.

Michele Marchesiello

Del generale abbiamo sentito dibattere fin troppo: sul folklore del personaggio, sul fenomeno editoriale e sulle prospettive politiche aperte dalla Lega a Vannacci, sulla giusta – ma preoccupante – considerazione che il suo nome sembra destinato a portare una piccola valanga di voti.
A questo fenomeno si aggiunge ora l’episodio della  signora novantaquattrenne Franca Caffa, comunista,  in prima fila a Milano a un presidio pro Palestina. L’anziana signora con la kefia rossa sulle spalle, fronteggiando il maresciallo capo dei carabinieri G.M. in assetto antisommossa, gli ha domandato: “Cos’ha detto il Presidente Mattarella ?” (riferendosi all’invito del Presidente, rivolto a Israele, a non negare  il diritto dei Palestinesi ad avere un proprio Stato).
“Con tutto il rispetto, signora, Mattarella non è il mio presidente, io non l’ho votato, non l’ho scelto io, non lo riconosco”.
Questa la cortese ma inequivoca risposta del carabiniere, che – sfortunatamente per lui, ma fortunatamente per noi – veniva ripresa divenendo subito virale sui social media.
Un carabiniere in servizio di ordine pubblico che dichiara di non riconoscere il presidente della Repubblica, la figura che rappresenta e impersona l’ordine costituzionale vigente, sino a oggi, nel nostro Paese.
Dobbiamo a questo punto guardarci dalla tentazione, rassicurante ma assai pericolosa, di considerare sia l’euforico Vannacci che il povero carabiniere come protagonisti di episodi certamente gravi ma isolati, legati a una personalità particolare o a circostanze  del tutto eccezionali.
Occorrerebbe piuttosto ‘devannaccizzare Vannacci’ e, oggi, evitare di considerare lo scambio tra l’anziana signora e il carabiniere in pieno assetto antisommossa come un semplice episodio ‘grave ma non rilevante’.
Fu Flaiano a dire che in Italia la situazione è sempre grave ma mai presa sul serio, oppure seria, ma non considerata grave.
È allora forse il caso di proiettare i due casi su uno scenario più ampio, cominciando a interrogarci  su quello che accade – o continua ad accadere – all’interno delle nostre forze armate e di quelle preposte alla nostra sicurezza. Quanto è largo e condiviso il punto di vista reazionario di Vannacci, e quanto lo è l’idea espressa candidamente e con la massima tranquillità dal carabiniere, convinto forse di manifestare – nell’esercizio di una importante funzione di ordine pubblico –  un’opinione condivisa all’interno dell’Arma?
Ci si accorge allora che l’uomo comune sa assai poco di quel mondo misterioso e inquietante, segnato dalla scritta minacciosa ‘Zona militare – limite invalicabile’ che contraddistingue anche la più piccola delle Stazioni dei Carabinieri.
Limite davvero invalicabile. Pochi annoverano qualche militare tra le proprie conoscenze, e mezzi d’informazione sono avari di inchieste sulle Forze Armate. Sembrano davvero  remoti i tempi eroici del Movimento dei militari democratici.
Che ne è stato, ci si chiede, dell’esercito democratico, nato dalla Resistenza, consegnato al popolo dalla Costituzione  antifascista? Chi ne fa parte, quali correnti, quali ideologie, quali passioni politiche lo percorrono oggi? Cosa spinge i giovani ad arruolarsi da dopo l’abolizione della leva obbligatoria? E quali indottrinamenti ricevono, al di là di una formazione tecnologica spesso priva di valori adeguati? Come votano, i militari? E quanti si tolgono la vita? Che idea di patria domina all’interno delle nostre Forze Armate?
Sono queste, e molte altre credo, le domande che dovrebbero nascere dal grottesco ‘caso Vannacci’, come dal dialogo tra una novantaquattrenne militante di sinistra e un carabiniere in servizio d’ordine.
Che il generale-scrittore e quell’incauto maresciallo siano altrettanti panni sporchi pare evidente. Che non li si debba lavare ‘in casa’ è altrettanto evidente, posto che i tempi calamitosi e minacciosi in cui viviamo richiedono la maggior franchezza possibile nello speciale rapporto tra  un popolo e il suo esercito.
CREDITI FOTO: ANSA-ZUMAPRESS / Simone Barbieri



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