Il libro di Mauro Barberis in difesa della Costituzione

“Separazione dei poteri e giustizia digitale” è un libro che ci riguarda tutti per via dell'’incombere minaccioso della prospettata riforma costituzionale, da considerarsi – osserva l'autore Mauro Barberis – non tanto come un progetto manifestamente anticostituzionale ma come un vero e proprio attentato alla Costituzione.

Michele Marchesiello

Mauro Barberis, Separazione dei poteri e giustizia digitale, Mimesis, Milano-Udine, 2023
Il piccolo libro di Mauro Barberis, filosofo del diritto e editorialista, è importante e di grande attualità. L’importanza riguarda il dibattito tra giuristi e politologi sulla natura della separazione dei poteri (SP, secondo l’acronimo usato dall’autore) e sulla opportunità di continuare a utilizzare quello che giustamente Barberis definisce come un “dispositivo evolutivo e istituzionale”.
L’attualità – di cui preme soprattutto parlare in questa sede, riservando a un a eventuale successiva puntata l’altra pure attualissima questione della giustizia digitale – riguarda tutti noi e l’incombere minaccioso della prospettata “riforma” costituzionale, da considerarsi – osserva Barberis – non tanto come un progetto manifestamente anticostituzionale ma come un vero e proprio attentato alla Costituzione, nemmeno troppo mascherato.
Diversamente dagli altri tentativi di riforma – abborracciati e fortunatamente falliti, ma sempre rispettosi dei principi e dei valori fondanti della Carta – questa volta “…è un governo di destra a usare il tema delle riforme costituzionali: non tanto per rafforzare ulteriormente l’esecutivo, già molto forte di fatto, quanto per liberarsi della Costituzione del 1948, alla cui redazione la destra non aveva partecipato”.[1]

E, c’è da aggiungere, la destra non solo non aveva partecipato in quanto “vittima” di una conventio ad excludendum, ma perché erede diretta di quel regime dittatoriale cui la nuova Costituzione intendeva opporsi, e a buona ragione.
L’idea centrale della riforma, il Premeriato (nelle sue varie e malamente scopiazzate versioni) propone un sistema “…in realtà ignoto alla Gran Bretagna e sperimentato solo in Israele, dal 1996 al 2003, con esiti fallimentari. Ulteriore conferma del fatto che in Italia si cerca solo di liberarsi della Costituzione del 1948, con il pretesto di rafforzare l’esecutivo, naturalmente a spese della SP (separazione dei poteri )”[2].
È questo il punto centrale della battaglia che ci aspetta e che dobbiamo combattere, non per una – discutibile, raffazzonata – riforma di alcune parti della Costituzione, ma per la sua stessa sopravvivenza come fondamento della democrazia repubblicana che ci siamo voluti dare come Nazione, non solo dopo l’esperienza fascista, ma risolutamente contro quell’esperienza.
La vicenda ungherese di Orbàn deve servirci da esempio negativo. La cosiddetta riforma voluta da Giorgia Meloni e dalla sua folkloristica ma minacciosa compagnia non è che un modo per seppellire la Costituzione del 1948. Questa data (il 1948) non ne segna la vecchiaia o l’obsolescenza, ma il suo motivo d’orgoglio, il suo costituire, anche per il futuro, il fondamento democratico e il presidio della nostra Repubblica.

Contro il passato fascista, ma anche verso il futuro: giustamente si sottolinea il carattere progressista della Costituzione che si vorrebbe sopprimere. Non serve in questo senso rivolgersi passivamente a esperienze straniere, estranee alla nostra cultura e alle nostre esperienze istituzionali. Soprattutto quando si miri a relegare a una funzione meramente cerimoniale proprio quella istituzione, la Presidenza della Repubblica, che non solo ha guadagnato la piena fiducia del popolo italiano (fenomeno tanto più rilevante se lo si confronta con la caduta verticale di quella fiducia nei confronti delle altre istituzioni) ma, soprattutto, ha mostrato una insospettata, sorprendente vitalità e capacità evolutiva nel pieno rispetto del quadro costituzionale. Proprio il Presidente della Repubblica, che si vorrebbe ridurre a una funzione sostanzialmente notarile, umiliandolo addirittura con la proposta di privarlo del potere di nomina dei senatori a vita, è risultato decisivo nel risolvere i momenti più delicati e irti di pericoli che si è trovata a vivere la nostra già debole vita istituzionale. Ogni Presidente, da Pertini in poi, ha saputo – secondo il proprio stile e la provenienza cultura politica – interpretare e assecondare, con garbo istituzionale, la progressiva trasformazione della Presidenza in quello che può considerarsi oggi un salvifico, provvidenziale, quarto potere dello Stato. Non un potere alternativo, concorrente o – Dio ne guardi – superiore, ma un potere prezioso per il coordinamento e l’impulso dato agli altri poteri, sempre indirizzandoli verso il corretto e severo esercizio delle rispettive funzioni. C’è davvero da dubitare che il popolo italiano voglia – per un accidioso amore di tranquillità – rinunziare a un ruolo rivelatosi tanto prezioso.
Soprattutto in un momento, come quello che il Paese sta vivendo, di evidente crisi di due poteri, il legislativo e il giudiziario, in favore di un esecutivo sempre più invadente, insofferente delle critiche e indifferente ai flebili richiami di un’opposizione a sua volta sempre più assente. La riforma agitata da Giorgia Meloni non farebbe in realtà che certificare questa situazione e questo scivolare della nostra democrazia verso una demokratura che sa molto di gulash.
In questo senso il piccolo, aureo libro di Maura Barberis si propone non solo per un’attenta lettura, ma come un indispensabile strumento per la lotta che ci attende: una lotta decisiva in difesa della Costituzione.

[1] M.Barberis, op.cit. p.43

[2] M. Barberis, op.cit., pp. 45-46



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