Sembrava Palazzo Chigi, era il Meeting di Comunione e Liberazione

La kermesse di Rimini vede ogni anno una pattuglia sempre più nutrita e sempre più variegata di ministri e parlamentari. Un intreccio che, visti i precedenti, non lascia presagire nulla di buono.

Ingrid Colanicchia

Si è conclusa ieri l’ultima edizione dell’annuale Meeting di Comunione e Liberazione e con essa anche la sfilata di politici e ministri, che ha visto i suoi momenti apicali nel saluto inaugurale da remoto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e nel dibattito del 24 agosto tra i principali leader di partito (Giuseppe Conte, Enrico Letta, l’aficionado Maurizio Lupi, Ettore Rosato, Matteo Salvini, Antonio Tajani e Giorgia Meloni).

Nessun altro evento (di impronta laica o religiosa) può vantare una simile partecipazione, cosa che ogni anno fa sorgere (almeno in me) le seguenti domande (perlopiù retoriche): perché la kermesse riminese riesce a mettere assieme questo parterre? Perché sembra che politici e ministri sgomitino per essere presenti? Quanti voti Comunione e Liberazione sposta davvero? Ha realmente una presa così importante sulla società oppure quella dell’influenza di Cl è una narrazione che si auto-alimenta? O ancora, e più “semplicemente”, Comunione e Liberazione si configura forse come una corporation che riesce a proiettare la sua ombra sulla politica nostrana grazie al suo braccio economico, vale a dire la Compagnia delle Opere?

A scorrere l’elenco dei partecipanti di quest’anno troviamo: Valentina Vezzali, sottosegretaria di Stato allo Sport; Vittorio Colao, ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale; Andrea Costa, sottosegretario di Stato alla Salute; Elena Bonetti, ministra per le Pari Opportunità e per la Famiglia; Andrea Orlando, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali; i deputati Paolo Lattanzio e Gabriele Toccafondi; Alberto Cirio, presidente Regione Piemonte; Attilio Fontana, presidente Regione Lombardia; Maurizio Fugatti, presidente Provincia Autonoma di Trento; Massimo Garavaglia, ministro del Turismo; Nello Musumeci, presidente Regione Siciliana; Donatella Tesei, presidente Regione Umbria;  Marina Sereni, viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; Stefano Bonaccini, presidente Regione Emilia Romagna; David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo; Massimiliano Fedriga, presidente Conferenza Stato-Regioni e presidente Regione Friuli Venezia Giulia; Patrizio Bianchi, ministro dell’Istruzione…

Arrivata alla fine del programma di domenica 22 agosto (il Meeting è proseguito fino al 25) ho gettato la spugna: troppi per elencarli tutti.

Certo, difficile sottrarsi a una vetrina che negli anni ha assunto sempre più rilevanza. Non a caso il parterre politico si è ampliato sempre più, ricomprendendo quasi tutti i partiti. Andando a ritroso nel tempo e prendendo come punto di riferimento edizioni a cadenza decennale (e senza alcuna pretesa di esaustività), possiamo notare come nel 2010 innumerevoli fossero i rappresentanti del governo Berlusconi IV presenti (tra cui i ministri Altero Matteoli, Roberto Maroni, Giancarlo Galan, Giulio Tremonti, Angelino Alfano, Franco Frattini, Mara Carfagna, Roberto Calderoli) mentre relativamente pochi i parlamentari non ascrivibili alla galassia destrorsa: “solo” Luigi Bobba, Ermete Realacci, Ugo Sposetti, Tiziano Treu e Francesco Rutelli (tutti del Pd). Nel 2000, del governo Amato II erano presenti tre ministri (Gianni Mattioli, Umberto Veronesi e Alfonso Pecoraro Scanio) e tra i parlamentari non destrorsi Ferdinando Imposimato e Marco Pezzoni. Nel 1990 parteciparono un solo ministro, Gerardo Bianco, e un solo parlamentare, il senatore Lorenzo Strik Lievers. Nel 1980, infine, anno di inaugurazione del Meeting, giusto qualche saluto di apertura da parte di Oddo Biasini, allora ministro dei Beni culturali; Emilio Colombo, ministro degli Esteri; Bernardo D’Arezzo, ministro del Turismo e dello spettacolo; Franco Foschi, ministro del Lavoro.

Presieduto oggi da Julián Carron, succeduto al fondatore don Giussani, si stima che il movimento abbia circa 300.000 membri, mentre la Compagnia delle Opere (CdO), presente in Italia con 40 sedi (all’estero 16), associa circa 36.000 imprese e circa mille organizzazioni non profit, per un giro di denaro che dieci anni fa veniva stimato in 70 miliardi di euro.

L’esempio più noto dell’operato della CdO, all’insegna del principio di sussidiarietà tanto caro a Cl, è stata la Lombardia di Roberto Formigoni, vero e proprio laboratorio politico-economico del movimento, specialmente in campo sanitario, comparto nel quale, come ricostruiva Ferruccio Pinotti nel libro La lobby di Dio, la lunga mano di Cl si estendeva indefinitamente, sia nel pubblico che nel privato.

Quali che siano le risposte alle mie domande, ciò che emerge come filo conduttore costante è da un lato la tendenza di Cl a coltivare potenzialmente proficue relazioni con il potere e dall’altro la tendenza della politica a porsi in ascolto. E se fino a non molto tempo fa interlocutrice privilegiata era la destra, da qualche anno a questa parte sembra proprio che nessuno sappia o voglia sottrarsi al dialogo che il movimento di don Giussani pare voler intavolare con chiunque possa fare al caso.

Un ecumenismo che, visti i precedenti, non può che preoccupare chi abbia a cuore (prima ancora che la laicità dello Stato) la tutela dei servizi pubblici.

Credit immagine: screenshot tratto da YouTube



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