Il mercante e il filosofo. L’introduzione dell’economia a scuola è una buona idea?

Una risposta all'articolo di Emilio Carnevali sull'introduzione dello studio dell'economia a scuola.

Antonio Vigilante

Trovi l’articolo di Emilio Carnevali qui e la risposta di Carlo Scognamiglio qui.

Qualche giorno fa gli studenti di alcune mie classi hanno incontrato in aula magna un artista – pittore e scultore – e una stilista. Il confronto ha toccato una molteplicità di questioni, molte delle quali di interesse non strettamente artistico; tra le altre, ha colpito in modo particolare le mie studentesse un certo elogio, fatto dall’artista, dell’autosufficienza economica: coltivare il proprio orto, mangiare i frutti del proprio lavoro, vivere in modo semplice, perfino povero.
Comprendo bene il fascino che esercita sulle mie studentesse un simile ideale di vita. Sono uno studioso di Gandhi, e autosufficienza e povertà volontaria sono aspetti centrali sia della sua spiritualità che della sua visione economica. Ma poiché si tratta di studentesse del Liceo Economico Sociale, che quindi studiano diritto ed economia, ho provato a ragionare con loro del rapporto tra filosofia ed economia.

“Povera e nuda vai filosofia / dice la turba al vil guadagno intesa”, scriveva Petrarca. Da un lato la filosofia con i suoi alti ideali, con la sua spiritualità, dall’altro il misero mercanteggiare della gente comune. Da questo punto di vista l’ideale del nostro artista sembra pienamente filosofico, e del resto non è difficile indicare vite esemplari di filosofi poveri e autosufficienti. Ma è davvero così? La pratica filosofica e la ricerca del denaro si pongono agli antipodi?
Per quanto sembri strano, non è facilissimo dare una definizione di filosofia. Oggi la consideriamo come una indagine sulla realtà rigorosamente razionale e logica, laica quando non in polemica con la religione, ma uno uno storico come Pierre Vesperini mostra come anche la scuola epicurea, la più laica e vicina a noi delle scuole filosofiche antiche, fosse organizzata in realtà come una sorta di setta religiosa, con Epicuro che si faceva venerare come una vera divinità ed esercitava sui suoi discepoli un potere assoluto (Lucrèce. Archeologie d’un classique européen, Fayard, 2017). Questa prossimità alla religione non esclude tuttavia un rapporto profondo con l’economia, per cogliere il quale non è necessario essere marxisti. Come è noto, Diogene Laerzio individuava due origini della filosofia: Pitagora e Talete di Mileto. In ogni caso ci troviamo nell’attuale Turchia, in un’area culturale caratterizzata da una grande apertura culturale resa possibile dagli scambi economici. Mileto è una città ricca e per questo culturalmente vivace, e lo stesso si può dire di tutte le altre città cui è legata la storia della filosofia antica, come Crotone, dove Pitagora fondò la sua scuola. Città di mare, aperte dunque ai commerci e agli scambi culturali.

Se le cose stanno così, il mercante e il filosofo non sono figure antitetiche. Anzi. Si può dire che sia il mercante a preparare il terreno in cui germoglia la filosofia, a rendere possibile quell’apertura in cui si insinua la ricerca del filosofo. Una società ideale di filosofi virtuosi, intento ognuno a coltivare il suo orto e a vivere poveramente, sarebbe davvero una società nella quale la filosofia fiorisce? È lecito dubitarne. Una economia di sussistenza è più adatta, piuttosto, all’imposizione di dogmi, di una visione del mondo unitaria, naturalmente religiosa, più che alla presenza di una molteplicità di concezioni, filosofiche o religiose che siano.

Nei Memorabili di Senofonte c’è un dialogo tra Socrate e un tale Aristarco che ha un valore realmente rivoluzionario. Aristarco è ridotto in povertà a causa degli sconvolgimenti politici di Atene; ospita in casa molte donne della sua famiglia, ma non ha più nessuna fonte di guadagno. Socrate se ne meraviglia. Le donne che ha in casa non sono in grado di lavorare? Certo, risponde Aristarco. Sono però donne libere, non schiave. Ma è davvero libero chi, lo incalza Socrate, pur essendo in grado di esercitare un lavoro manuale non lo fa e muore di fame? E quindi lo esorta Aristarco a mettere da parte il pregiudizio sui lavori manuali e a far lavorare le donne che vivono con lui: “Che cosa rende gli uomini più prudenti, l’ozio o un lavoro utile? Cosa rende gli uomini più giusti, il lavoro o le discussioni oziose sulle provviste?” (Memorabili, Libro II, 7; trad. mia).

Considero i Memorabili la fonte più attendibile per la conoscenza del pensiero di Socrate. Ma è improbabile che degli studenti liceali vengano a contatto con quello e con altri passi, come il dialogo tra Socrate e la prostituta Teodote sul modo migliore di attirare clienti, o quello con Epigene sull’importanza di curare la forma fisica (sono entrambi nel terzo libro dei Memorabili). Il Socrate che si studia a scuola è il Socrate di Platone; un Socrate pitagorico, che afferma la libertà dell’anima dalla prigione corpo e la filosofia come pratica di liberazione dalle pastoie dei sensi e dal mondo materiale.
Emilio Carnevali parla delle resistenze che incontra in Italia la proposta sensatissima di introdurre nelle scuole – in tutte le scuole – l’educazione economica e finanziaria. Si tratta delle stesse resistenze che ha incontrato e incontra l’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro, condannata senza appello quale sfruttamento o educazione ai valori del neoliberismo, anche se ha di fatto poco o nulla a che fare con il lavoro manuale. C’è dietro, naturalmente, l’avversione verso il neoliberismo, che è senz’altro condivisibile, ma che viene usata come una clava per rifiutare qualsiasi proposta di cambiamento, con un uso sistematico, sul piano argomentativo, di fallacie logiche come lo straw man e il piano inclinato.

Ma c’è dell’altro. C’è che la cultura scolastica – parentesi: i docenti usano in senso negativo l’aggettivo scolastico; se lo studente agli esami di Stato è scolastico tocca abbassargli il voto – si fonda su una serie di opposizioni apparentemente incontestabili. La prima, la più deleteria di tutte, è l’opposizione tra sapere umanistico e sapere scientifico. Una opposizione che ha in realtà poco a che fare con il mondo classico, che ha sempre pensato il sapere come un insieme. Ad eccezione dei Sofisti e di Socrate, i filosofi si sono occupati di questioni scientifiche e matematiche, e non si trattava di incursioni in campi del sapere altri, ma dello stesso campo filosofico; e ancora Lucrezio potrà scrivere un poema sulla struttura della natura. Oggi che un fisico scriva dei versi per presentare le proprie idee è semplicemente impensabile, e chiunque abbia una cultura classica fa quasi vanto della sua incompetenza nel campo scientifico e matematico. Una seconda opposizione è quella tra i saperi disinteressati, puri, fini a sé stessi e i saperi pratici, con i primi che sono naturalmente superiori ai secondi, proprio in virtù del loro carattere disinteressato. Una terza opposizione è quella tra la dimensione scolastica e la dimensione mondana, per usare un termine che appartiene alla polemica religiosa. C’è nell’inconscio scolastico una avversione al mondo, la tentazione del chiostro e del convento, del luogo sicuro in cui conservare il sapere e difenderlo dalla barbarie che è tutt’intorno.

Ecco dunque che la proposta di inserire nelle scuole l’educazione economica e finanziaria – sensatissima, lo ripeto – si scontra contro un muro di indifferenza, quando non si ostilità. Perché il sapere economico ha il triplice vulnus di essere scientifico, interessato e mondano: uno pseudo-sapere che rappresenterebbe un cedimento della scuola alle pressioni del mondo economico. Come se il mondo economico non avesse plasmato fin dall’inizio la scuola, informandone anche il linguaggio – alla fine si tratta del profitto dello studente, in quella visione dell’istruzione, incontrastata nel nostro Paese, che Paulo Freire definiva bancaria.
Quando questi pregiudizi saranno superati – cosa che non accadrà né domani né dopodomani – la necessità e l’urgenza di un’educazione economica e finanziaria appariranno evidenti. Siamo in quello che Luciano Gallino chiamava finanzcapitalismo, un sistema economico caratterizzato da meccanismo estremamente sofisticati e complessi. Senza una adeguata preparazione in campo economico mancheranno le condizioni minime di analisi della società, dei suoi cambiamenti e dei suoi sconvolgimenti (una nuova crisi è minacciata dal crollo delle banche della Silicon Valley), così come mancherà la possibilità di pensare e progettare alternative reali. Un non sapere che, come già accade, sarà colmato in proporzioni che è difficile prevedere da semplificazioni populistiche, voli pindarici ideologici o deliri complottistici.

 

Foto Flickr | Biblioteca Fondazione Mach



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