Il mondo universitario ungherese attaccato dalle riforme del governo Orbán

L’obiettivo è rendere il mondo accademico funzionale agli interessi governativi e cinghia di trasmissione dei valori propagandati dall’esecutivo.

Massimo Congiu

In Ungheria il mondo universitario è ormai da tempo sul chi vive a causa delle periodiche incursioni governative nei confronti dei vari atenei, a partire da quelli meno propensi ad accettare le ricette politiche di Viktor Orbán. Queste incursioni si sono in non molto tempo trasformate in un assalto concepito per garantire al sistema il controllo delle università. Ciò fa parte di un progetto che il premier ungherese si è impegnato a realizzare col suo ritorno al potere, nel 2010, per avere in mano i settori della vita pubblica del paese, cominciando da quelli più strategici, come la stampa.

Ultimamente il Parlamento di Budapest ha approvato un disegno di legge che intende consegnare le università statali a fondazioni private i cui curatori saranno scelti dal governo fra le figure più gradite al primo ministro. Quelle più in linea col potere. Cosa, questa, che costituisce una seria minaccia per l’indipendenza accademica già per altro intaccata.

Come già precisato, questo tema è oggetto di inquietudine da anni, nel paese. Nell’autunno del 2018, a Budapest, un gruppo di studenti universitari diede luogo a un presidio di una settimana di fronte all’edificio del Parlamento per manifestare a favore della libertà accademica. L’iniziativa doveva durare fino alla scadenza dei termini entro i quali le autorità ungheresi e lo stato di New York avrebbero dovuto firmare un improbabile accordo per consentire alla CEU (Università dell’Europa Centro-Orientale) di George Soros di continuare a operare nella capitale danubiana. Ciò non avvenne, come sappiamo, e i manifestanti inscenarono le esequie della libertà accademica attaccata dal sistema dirigista attualmente al potere. La CEU dovette così emigrare a Vienna. Recentemente la Corte europea ha giudicato la cosiddetta “lex CEU” contraria alle regole europee e ha imposto al governo ungherese l’abrogazione del passaggio riguardante il divieto di operare sul suolo magiaro alle università straniere sprovviste di un campus nel loro paese d’origine. Con questa sentenza la CEU potrebbe, in teoria, tornare a Budapest, ma i suoi vertici non sembrano averne voglia, almeno per il momento, in quanto ritengono che l’università continuerebbe a dover sottostare all’arbitrio del governo Orbán.

In questi ultimi anni vi sono state diverse manifestazioni di protesta contro questa politica che, come nel caso della stampa, intende rendere il mondo accademico funzionale agli interessi governativi e cinghia di trasmissione dei valori propagandati dall’esecutivo. Ma questa invasione di campo non si limita all’istruzione superiore: l’azione del governo è evidente anche nelle scuole elementari e medie, con testi riscritti da autori filo-orbaniani e con uno svuotamento di significato del ruolo degli insegnanti. Molti di loro – certamente non quelli che sostengono il governo col loro voto – respingono l’idea di essere diventati dei semplici ingranaggi di un sistema che trasferisce dottrina governativa in pillole alle giovani menti negando loro di sviluppare spirito critico e libertà di pensiero. Almeno quella che basta a farsi delle domande. Grazie a questo pesante intervento del potere è stato possibile vedere tra i disegni di alunni di una scuola di Budapest, esposti in una sorta di bacheca, uno che si riferiva a Soros come a un nemico della patria. C’è da pensare che non sia stato un caso isolato.

Ma torniamo al mondo universitario: negli ultimi mesi dell’anno scorso ha fatto parlare di sé l’occupazione studentesca dell’Università di Arti teatrali e cinematografiche (Szfe) di Budapest contro la riforma dell’istituto, voluta chiaramente dall’esecutivo. Con essa il governo cambiava i vertici della Szfe, in aperta violazione dell’autonomia accademica, decidendo di affidarne la direzione ad una fondazione gestita da uomini vicini al primo ministro e imposto un rettore fedele al sistema. La riforma intendeva, poi, ridefinire programmi didattici e logiche di finanziamento sulla base di “uno spirito patriottico” in nome del quale era stata respinta ogni controproposta fatta dal collegio accademico uscente.

L’episodio aveva fatto da premessa a un intervento governativo volto a cambiare il settore universitario con il sistema delle fondazioni private menzionato all’inizio di questo articolo. Intellettuali e docenti universitari non filogovernativi cercano, non senza difficoltà, di dar luogo ad iniziative a sostegno del libero sapere, del diritto alla libera conoscenza, quale presupposto di una società civilmente e culturalmente evoluta. In quest’ottica si è formato, negli anni scorsi, all’interno dell’Accademia delle Scienze (MTA), il gruppo “Stadium 28”, formato da accademici attivi contro la politica del governo in ambito culturale e impegnati nella difesa dell’MTA la quale, pure, si è dovuta confrontare con le mire del potere.

Ultimamente è stato al centro di accese proteste, da parte dell’opposizione partitica e sociale, l’accordo firmato dal governo con Pechino per la costruzione, a Budapest, di un campus di grandi dimensioni per l’università Fudan di Shanghai. Per i sostenitori della protesta si tratta di un modo per agevolare lo spionaggio cinese in Occidente. I piani prevedono che, all’interno della Fudan, vengano istituite diverse facoltà e che vi trovino posto circa 500 insegnanti e 6.000-8.000 studenti. Non sono contemplate borse di studio, si parla solo di programmi didattici a pagamento.

I contestatori vedono in questo accordo una nuova conferma della predilezione di Orbán per i sistemi autoritari. A parte questo, l’Ungheria si troverebbe a rivestire il ruolo di testa di ponte per gli interessi cinesi in Europa. I rapporti bilaterali ungaro-cinesi hanno portato al progetto della linea ferroviaria Budapest-Belgrado con un maxi-credito cinese, e cinese è il vaccino anti-Covid Sinopharm che le autorità di Budapest non hanno perso tempo ad adottare senza aspettare il parere dell’EMA. Così è andata anche col vaccino russo Sputnik V.

Ora sarebbe previsto un referendum, sulla Fudan, che dovrebbe svolgersi tra un anno e l’opposizione ha accolto questa notizia come il segno di un passo indietro del governo, ma è meglio non cedere a facili entusiasmi. Ad aprile del 2022 gli ungheresi votano e l’opposizione, forte di un accordo fra sei partiti, promette, in caso di vittoria, di restituire le università alla gestione pubblica e di cancellare le leggi ingiuste di Orbán. Le buone intenzioni ci sarebbero ma c’è anche una lunga partita da giocare. Lunga e difficile, ma da giocare.

 

(credit foto European People’s Party CC BY 2.0 via Wikimedia Commons)



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