Il Pnrr e la necessità di non disperdere il “capitale scientifico”

Si entra nel vivo della distribuzione dei finanziamenti: sarà garantita o meno una vera competizione, e a questa competizione potranno realmente accedere tutti i ricercatori in circolazione? La preoccupazione dei Lincei.

Valter Tucci

Siamo entrati nel vivo dei finanziamenti previsti dal Pnrr per la ricerca. Tuttavia, la settimana scorsa l’Accademia dei Lincei, il più autorevole organo scientifico italiano, ha lanciato un monito pesantissimo, che suona pressappoco così: “Attenzione alle regole e ai bandi, bisogna evitare una spartizione elitaria delle risorse”. Il fatto stesso che ci sia bisogno di lanciare l’allarme lascia presupporre che la procedura attuale sia difettosa e che non garantisca una giusta competizione. Il nodo cruciale, senza giri di parole, verte su un unico punto: sarà garantita o meno una vera competizione, e a questa competizione potranno realmente accedere tutti i ricercatori in circolazione? A rispondere a questo quesito saranno i bandi che sono in uscita in queste settimane. Se dovessero, infatti, venire a mancare nelle procedure previste dai ministeri questi presupposti sarebbe una sconfitta per tutti. Semplificando, non avremmo una buona distribuzione delle risorse e a pagare le conseguenze sarà la ricerca futura del nostro Paese. La paura è quella di vedere finanziate reti già note di esperti e, peggio ancora, una ricerca già vista. Se questo dovesse accadere, sarebbe una scelta politica dubbia nei confronti del mandato e degli obiettivi di quel finanziamento che ad oggi porta ancora il nome Next Generation EU e che, quindi, è diretto alle prossime generazioni di ricercatori e non alle élite della ricerca italiana.

Proviamo, però, a capire in cosa consistono i finanziamenti in questione e dove sta il pericolo.

Il Pnrr parla soprattutto di “investimenti a carattere sistemico” e si sviluppa intorno ad alcune grandi categorie di investimento, tra queste troviamo le cosiddette “key enabling technologies”, gli “ecosistemi” e le “infrastrutture”. Ovvero vengono identificate macro aree che serviranno a creare l’impalcatura stessa della ricerca italiana del futuro. Si tratta di iniziative fondamentali perché volte a facilitare il lavoro della comunità scientifica tutta. La buona ricerca, infatti, matura principalmente là dove il sistema paese investe in modo coordinato le risorse, sviluppa e mette a disposizioni di tutti le infrastrutture e le tecnologie avanzate. È auspicabile che le università, gli enti pubblici di ricerca (EPR) e quelli privati lavorino insieme per proporre iniziative nazionali inclusive e distribuite su tutto il territorio da nord a sud. Ma quali sono le priorità da finanziare? Qui entrano in gioco le esigenze della ricerca italiana. Bisognerà investire in quelle aree a maggior impatto per il futuro. È quindi il momento di sviluppare una visione di ampio respiro e implementare una strategia a lungo termine che sappia rafforzare l’intera comunità scientifica. Il patto implicito che non deve mancare è quello di garantire sempre che i mezzi creati restino a disposizione di quei progetti che ogni volta verranno giudicati come i migliori disponibili, indipendentemente dalla affiliazione del ricercatore e dal suo “status” accademico o professionale.

La preoccupazione sollevata da alcuni esponenti dell’Accademia dei Lincei sembra ricadere su una quarta categoria di finanziamento, i cosiddetti “Partenariati estesi” (PE), che è centrata maggiormente sulle idee innovative, i cosiddetti progetti della ricerca di base e applicata. È un tipo di investimento sistemico che si basa sullo sviluppo di sinergie tra i diversi ricercatori e non può prescindere dalla competizione. In uno scenario ideale, una percentuale consistente dei finanziamenti dovrebbe essere riservata alle nuove proposte (es. 60%) che sono le uniche che possono portare una reale innovazione nel Paese, mentre il rimanente dovrebbe rafforzare progetti che sono già in corso, sui quali si hanno già evidenze sperimentali solide e che hanno bisogno un ulteriore sostegno per arrivare a compimento. In entrambi i casi è comunque d’obbligo che le scelte siano fatte sempre su base competitiva. Per assicurare la competizione, bisogna però prima di tutto incentivare la nascita delle proposte. Le migliori sinergie sui progetti nascono naturalmente tra pochi ricercatori che condividono idee ed esperienze, e quasi mai tra cordate decise a priori. Pertanto, introdurre un numero limitato di ricercatori per proposta (es. 5-10) e lasciare che i gruppi di lavoro si assemblino spontaneamente aumenterebbe la qualità delle proposte progettuali, e di conseguenza garantirebbe una competizione sana anche all’interno di ogni tematica. A questo proposito, un modello già consolidato è quello dei cosiddetti progetti ERC Synergy, che risponde a pieno ai princìpi del partenariato, ma che rimane altamente competitivo. Questo approccio introdurrebbe molta più creatività nelle proposte, avrebbe un respiro innovativo più ampio e la proposta scientifica sarebbe conseguentemente di qualità superiore.

In attesa che escano i bandi e che si possa concretamente capire quali saranno le regole, è utile che si continui a discutere sulle migliori procedure, e che al dibattito partecipino tutti i ricercatori, nessuno escluso. Il capitale scientifico che si costruisce con gli investimenti per la ricerca è fatto non solo di scoperte ma anche di uomini e donne che ragionano e si dedicano sempre di più allo sviluppo e ai principi scientifici.

 



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