Il Po tra culture, civiltà e disastri ecologici: intervista a Tobias Jones

Il nuovo libro del giornalista britannico, “The Po. An elegy for Italy’s longest river”, è un viaggio lungo il nostro fiume nazionale, dalle storie che lo hanno attraversato, alle sciagure ecologiche che sta subendo.

Roberto Rosano

Tobias Jones, giornalista e scrittore britannico, ha firmato articoli per l’Independent, il Guardian, il Financial Times e Vogue. Ha dedicato diversi programmi televisivi, radiofonici e saggi al nostro Paese, ultimo dei quali è “The Po. An elegy for Italy’s longest river” (Head of Zeus, 2022). In questo resoconto di viaggio percorre, insieme ai suoi lettori di lingua inglese, il letto del nostro fiume nazionale, dal delta sino alla sorgente del Monviso, raccontando tutto ciò che vede: le sciagure ecologiche, ma anche la cultura, la storia e la società di un popolo.

Tobias Jones, recentemente un deputato italiano, per denunciare la siccità, si è presentato in Parlamento con i ciottoli dell’Adige. Il nostro premier, Giorgia Meloni, ha risposto con una battuta su Mosè…
Sembra il contrario della battuta “piove governo ladro”, ma anche dire “siccità governo ladro” è altrettanto ridicolo. È vero, però, che la siccità è molto grave e che il governo dovrebbe occuparsene. Un governo non può procurare la pioggia al suo Paese, ma può migliorare la raccolta dell’acqua piovana, che in Italia è ferma all’11 %. Può anche migliorare la gestione e l’uso di questa risorsa. Nella sua zona, il cuneese, si vedono migliaia di ettari dedicati alla coltivazione del mais per dare da mangiare agli animali che saranno garanzia di bistecche. Ci vogliono 15/16.000 litri di acqua per produrre un chilo di carne bovina. Per produrre un chilo di verdura ne bastano 300 litri. Il 70 % di tutte le acque prelevate dai fiumi e dai laghi italiani sono assorbiti dall’agricoltura.

In questo libro, Lei ha scritto che il fiume è come una vena da cui è possibile trarre campioni fondamentali per l’analisi del Paese. Passeggiando sul greto del nostro fiume più lungo, del nostro bacino idrografico più esteso, cos’ha raccolto, cosa ha visto?
Ho visto moltissime piante e animali non nativi: penso ad esempio alle nutrie, introdotte dall’America del sud, ai pioppi canadesi, piantati in modo ridicolo, perpendicolare. Poi ho visto le acque colorate dai fertilizzanti dell’agricoltura, i nitrati, i fosfati, che danno al fiume il colore innaturale di un campo da golf. Un verde acido tendente al giallo. Poi ho visto sacchetti di plastica, pallottole di fucili, siringhe gettate dai tossicodipendenti…Il Po è come un nastro trasportatore dove è possibile veder sfilare tutta la nostra inciviltà, ivi compresi i nostri metalli pesanti, che l’occhio nudo non vede, ma le analisi più specifiche sì.

Ma è vero che le sponde del Po stanno diventando piste per i motocross? Che le gomme tassellate stanno distruggendo il greto, le scarpate, gli argini?
Questo non l’ho visto coi miei occhi, ma non mi sorprende. Se va a fare una passeggiata sul Po, adesso, a inizio primavera, quando di regola il fiume è abbastanza pieno, noterà che il livello dell’acqua è bassissimo. Vedrà solo un’enorme distesa di sabbia grigia. Là dove c’era il fiume, oggi c’è una spiaggia. Un’altra cosa che noterà è la scarsa partecipazione della gente del luogo. Il fiume è ormai solo un ostacolo da attraversare in macchina, treno…
Puoi, al massimo, vedere qualche vecchio contadino che porta a spasso il cane. Anni fa non era così: c’erano trecento mulini, i bambini che facevano il bagno e le donne che lavavano i panni. Oggi il Po è un luogo desolato, 1/3 delle case sono in vendita, come racconta anche Guido Conti.

Lei ha fatto una cosa molto semplice: andare a vedere coi suoi occhi. Ma ha mai visto i nostri politici, i nostri governatori, i nostri sindaci, anche quelli che si riempiono la bocca di transizione ecologica?
Mah! Ci sono tante energie che si stanno muovendo, ma provengono dal basso. Si tratta di attivisti che cercano di fare il possibile, ma dall’alto ho visto ben poco.

Leggevo, nel suo libro, che sono circa 3500 i comuni che si incontrano lungo il Po…
Sì, per questa ragione è molto difficile intervenire, mettersi d’accordo. Peccato, perché gli studi ci raccontano che una buona gestione delle acque, in passato, ha fatto crescere le democrazie, le civiltà, dalla Roma Antica, alla Grecia classica. L’uso delle acque ha fatto parlare i popoli, ha fatto stringere patti, compromessi, negoziati. Ha fatto dialogare persone e tribù. C’è un bel libro di Giulio Boccaletti, si chiama “Acqua. Una biografia” (Mondadori, 2022) che racconta proprio questo.

Perché oggi, a differenza del passato, si fatica a trovare delle politiche funzionali ad una corretta gestione dell’acqua?
Perché oggi un politico dipende molto dal consenso e proteggere l’acqua significa adottare politiche impopolari. Manca questo coraggio. Io vivo a Parma dove la carne è elemento onnipresente nella tradizione culinaria locale. Pensi se un politico consigliasse la dieta vegetariana per salvare il fiume!

Ma, oltre al disastro ecologico, lei racconta anche cosa è stato il Po nel nostro passato?
Sì, molti lo dimenticano, ma il Po è stato, per secoli, un’autentica autostrada per il nord Italia, su cui ogni ducato, ogni principato, voleva avere un suo sbocco per condurre i propri traffici o per imporre dazi. La geografia del Po è costellata di monasteri, torri, ricordi di battaglie, tutto ciò che siamo soliti ricondurre all’immaginario medievale. Adesso il fiume è diventato così irrilevante. A volte, passeggiando, avevo l’impressione di trovarmi sulle rovine di un’antica civiltà…è molto intrigante.

Mentre parlava, pensavo al Gran Tour che gli intellettuali inglesi facevano per conoscere la Venezia di Palladio, il neoclassicismo napoletano, le rovine di Roma…
Lo spirito non è un po’ simile? Passeggiare sulle rovine di una civiltà fluviale.
Qualcosa sì, ma l’espressione “Gran Tour” forse ha delle implicazioni troppo importanti. Devo ammettere, però, che la Bassa, con le sue nebbie, i suoi malumori, ha davvero qualcosa di affascinante, di romantico, di epico. Non dimentichiamo che il fiume è stato anche un baluardo importantissimo, ha respinto dozzine di invasori. Non dobbiamo immaginare quello che il Po è oggi, grazie agli argini e a causa della siccità. In passato la zona intorno era una palude molto difficile da varcare, forse al pari delle Alpi.

Come ha trovato la gente della Bassa?
Sono molto affascinanti. Io ho impiegato un po’ a conoscerli davvero. Il Po ha attirato persone singolari, un po’ bizzarre, molto creative ed eccentriche. È gente con una grande personalità. Sarà la nebbia, la terra piana, che rende molto difficile nascondersi. Sono estroversi ed hanno creato un mondo magico, che Guareschi e Zavattini hanno descritto molto bene. Non saprei dirle il motivo, ci sono molte teorie, ma una ragione forse è la natura precaria e difficile dei terreni che rasentano il fiume. Chi veniva qui era certamente abituato alla precarietà, sapeva governarla. Lungo queste rive sono sorte delle comunità basate su forme di comunione, lontane anni luce dal nostro individualismo. Non a caso l’Emilia-Romagna è sempre stata particolarmente incline alle idee socialiste.

Il Somerset, la contea da cui proviene, somiglia molto alle terre bagnate dal Po: ampie pianure, drenate da molti fiumi e ruscelli…
Sì, e anche da noi può trovare diversi monasteri, due in particolare. I monaci hanno fatto bonifiche su larga scala, hanno reso ricca una terra che sembrava condannata all’eterna miseria.

Che difficoltà ha incontrato scrivendo questo libro?
La linea di percorrenza del fiume non è chiara come si penserebbe. Il Po viene chiamato “fiume promiscuo” proprio perché “cambia spesso letto”. Modifica il suo corso anno dopo anno, secondo una dinamica quasi naturale, spesso dovuta alla scarsa inclinazione del terreno.

Ci racconta cosa è accaduto al rifugio “Quintino Sella”?
Sì, io sono partito dal delta del Po. Quindi l’ho percorso controcorrente, per poter poi arrivare alla sorgente. Dopo molte peregrinazioni, giungo alla meta, sul Monviso, e trovo il rifugio chiuso per mancanza d’acqua. È stato molto avvilente, ma ancora più avvilente è stato vedere il tonfo continuo delle rocce verso la scarpata. Questo accade per la friabilità naturale, ma anche a causa della mancanza di ghiaccio, che di solito ha una funzione di contenimento. È molto triste pensare che un mondo così affascinante e magico si stia sgretolando e inaridendo sotto i nostri occhi, nella generale indifferenza.

 

Foto Wikipedia, TimDuncan



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