Il processo della percezione di Maurice Merleau-Ponty

Il mondo che percepiamo è forse un’illusione? Su questa domanda si sviluppa “M.Merleau-Ponty. L’apparire del senso” un saggio di Luca Taddio, docente di estetica all’università di Udine, che ripercorre le questioni che illuminarono il percorso filosofico di Merleau-Ponty. L’autore rilegge il pensiero di Merleau-Ponty rispetto a questioni che caratterizzano il presente come le sfide del digitale e il ruolo dell’intelligenza artificiale.

Stefano Vastano

Tutto inizia, parte e si intreccia intorno alle singole ‘percezioni’ che abbiamo del mondo che ci circonda. Ad esempio, la percezione di un testo come quello che ora sto leggendo sullo schermo di un cellulare o al computer. In che rapporto mi trovo con lo schermo luminoso e con le parole che sto leggendo ? È da queste domande così elementari, ma al contempo maledettamente filosofiche, che parte il libro che Luca Taddio ha dedicato ad una delle figure più rilevanti del Novecento: Maurice Merleau-Ponty. Edito da Feltrinelli, nella collana “Eredi” diretta da Massimo Recalcati, il saggio di Taddio, docente di estetica all’università di Udine, ripercorre le questioni che illuminarono il percorso filosofico di Merleau-Ponty. A partire appunto dalla questione-chiave sul che cosa sia una ‘percezione’. E cioè dell’apparire di senso in una situazione concreta. Ciò che la lingua tedesca denomina Wahrnehmung, il processo della percezione è alla base della riflessione estetica e fenomenologica su cui Merleau-Ponty ha imbastito il suo discorso. “A partire dalla questione della percezione” – spiega Taddio – “ho voluto ripercorrere alcuni assi portanti del pensiero di Merleau-Ponty per giungere così al cuore della sua filosofia”. Morto nel 1961, a soli 53 anni, Merleau-Ponty pubblica negli anni Quaranta la sua opera fondamentale, Fenomenologia della percezione, e può essere annoverato tra i più autorevoli rappresentanti della tradizione fenomenologica instaurata da Edmund Husserl, ripresa dal suo allievo più noto, Martin Heidegger, e poi continuata in Francia con Jean-Paul Sartre, e per l’appunto da Merleau-Ponty. “La fenomenologia” – spiega Taddio – “non è una tradizione sepolta nei manuali di filosofia, ma, come un fiume carsico, da allora ha continuato a correre sotto la superficie per emergere in contesti del tutto nuovi”. Uno degli aspetti più interessanti nel testo di Taddio sta in effetti nel rileggere Merleau-Ponty a contatto con le questioni che oggi più ci ossessionano: le sfide del digitale, dell’IA in particolare. Ma anche il senso (e la possibilità) dei paradigmi della scienza, e dei ‘miti’ di una certa tradizione epistemologica. Si tratta allora di provare a comprendere, rileggendo Merleau-Ponty, come arriviamo ad ‘instaurare’ il senso delle cose, come si articoli il nostro rapporto con gli altri e con le tecnologie. Tutto lo spettro delle relazioni insomma che formano il ‘mondo della vita’ . Se al di là di ogni ‘dualismo’ cartesiano, ci troviamo sempre immersi in queste “relazioni” dotate di senso è perché, come formula Taddio, siamo “soggetti incarnati nel mondo”. Rivista da angolazioni fenomenologiche la sfera del digitale cosa è se non una seconda pelle, un secondo e molto più ibrido involucro che ci riveste?” L’essere umano manipola l’ambiente per adattarsi al mondo, continua Taddio, tale agire l’ha condotto alla ‘nuova carne’, ovvero all’integrazione con ambienti virtuali-digitali. Dopo essersi adattato all’ambiente naturale, l’umano dovrà per così dire mutar pelle per integrarsi a un ambiente ibrido”. È questa ‘mutazione’ il momento in cui il discorso estetico-fenomenologico di Merleau-Ponty si fa ‘attuale’, e ci aiuta a comprendere l’emergere del senso delle ‘cose’ in una relazione soggetto-mondo che di continuo muta pelle. L’analisi del “sistema percettivo” effettuata da Merleau-Ponty viene quindi riletta da Taddio non solo come un sistema d’integrazione all’ambiente, ma anche in funzione della nuova ’corporeità virtuale’. Per poter scambiare maggiori informazioni con la sfera digitale, la nostra corporeità sta di fatto ibridandosi per ospitare gradi sempre maggiori di tecnologia. È questa progressione a proiettarci verso nuove forme di vita, nell’era del post-umano. Nel suo saggio, Taddio individua nel sacro, nella filosofia (e nella scienza) e nell’arte tre essenziali generatori di senso tramite cui ‘abitiamo il mondo’. In quanto creature coscienti ci nutriamo tutti sempre e comunque di senso, di “ordini di senso” per orientarci nel mondo. È in tal senso che la fenomenologia indaga la realtà anche attraverso la lingua delle scienze. Merleau-Ponty non ha fatto altro per tutta la sua vita che scavare all’interno della scienza, per porre in relazione tali conoscenze con la nostra esperienza del mondo. “Il “mondo” riassume Taddio, è un piano (virtuale) della realtà. Esistono allora tanti mondi quante sono le forme di vita. Ogni apparire appartiene alla realtà e ciò che appare, sia esso virtuale (digitale) o naturale, è realtà. Il virtuale quindi non si contrappone alla realtà, ma né un’estensione. Non vi è alcun dualismo tra natura e tecnica”. È questa la prospettiva che emerge dalle considerazioni che Merleau-Ponty fa sulla teoria della Gestalt. Taddio fa qui interagire Merleau-Ponty anche con Wittgenstein, analizzando le loro osservazioni su alcuni esperimenti della ‘Psicologia della forma’. Dai singoli casi sperimentali il pensiero di Merleau-Ponty distilla implicazioni di ordine epistemologico e un’ontologia radicale delle “relazioni”. Di fatto, l’analisi della relazione apparenza/realtà è il fil rouge che lega i vari capitoli del libro. Un sottile ‘filo’ fenomenologico che si potrebbe riannodare in una sola domanda: il mondo che percepiamo è forse un’illusione? Seguendo Taddio, e Merleau-Ponty, potremmo anche dire che l’apparire del senso è sì un’“illusione”, ma è al tempo stesso assolutamente necessaria alla nostra esistenza. Non è un caso se all’inizio delle sue pagine l’autore pone il verdetto di Nietzsche sulla natura ‘artistica’ della nostra realtà: “Solo come fenomeno estetico l’esistenza e il mondo sono eternamente giustificati”.

 



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