Il sorprendente universo delle culture animali

La cultura non è una prerogativa umana: manifestazioni e comportamenti culturali sono presenti in moltissime altre specie animali, dai primati agli uccelli, fino ad alcuni insetti. Ma in cosa consistono le culture animali, e cosa hanno in comune con la cultura umana? Decenni di esperimenti e studi sul campo rivelano un mondo affascinante, che può rivelarci molto anche su noi stessi.

Sofia Belardinelli

Cosa distingue l’uomo dagli altri animali? Cosa lo rende unico fra i viventi?

Secondo alcune ipotesi, una delle caratteristiche che rendono l’essere umano un unicum in natura potrebbe essere la dimensione culturale – quell’universo di norme, comportamenti, tecnologie, invenzioni, arti e scienze che, da decine di migliaia di anni, contribuisce a plasmare la storia della nostra specie. Solo in riferimento alla specie umana, stando a questa visione, si potrebbe parlare di autentiche manifestazioni culturali: a queste, perciò, si potrebbe guardare come al discrimine che separa l’uomo, con le sue (effettivamente uniche) produzioni culturali, artistiche e scientifiche, dal mondo naturale.

Ma, dopotutto, è davvero così? Davvero, nell’intero prisma della biosfera, solo noi – una giovane specie africana, infestante e avventurosa – abbiamo sviluppato il linguaggio e, con esso, la possibilità di trasmettere ai nostri simili scoperte e innovazioni, di condividere idee e dubbi? Sembra, in effetti, che la risposta sia negativa: le ricerche scientifiche suggeriscono, sulla scorta di sempre più corpose evidenze, che la cultura non sia una nostra peculiarità, ma un tratto comune a moltissime specie animali, dai grandi mammiferi fino, addirittura, agli insetti.

Sulla rivista Science Andrew Whiten, zoologo e psicologo evoluzionista dell’università St. Andrews, che ha dedicato la vita allo studio della socialità e della cultura in diverse specie di primati, ripercorre le tappe di un lungo processo che, grazie a decenni di studi, scoperte ed esperimenti, ha rivoluzionato la nostra prospettiva sul mondo animale, mostrando come la cultura sia parte essenziale dell’evoluzione biologica e come manifestazioni culturali diversissime per forme e modalità di espressione siano condivise da moltissime specie e si riflettano in una vasta gamma di comportamenti.

Ma cosa si intende per cultura in riferimento al mondo animale, e in che modo essa diviene uno dei “motori” dell’evoluzione biologica? La cultura, spiega Whiten, si compone di tutti quei comportamenti non innati, ma appresi socialmente, che determinano le scelte degli individui in merito alla dieta, ai tipi di preda, i luoghi di nidificazione, le rotte migratorie, l’uso di strumenti e tecniche per procacciarsi il cibo, e che influenzano finanche l’accoppiamento, i ritmi circadiani, i comportamenti prosociali e i modelli di gioco. A differenza dell’eredità genetica, che si trasmette solo verticalmente (da genitori a figli) e in un’unica soluzione (al momento del concepimento), l’eredità culturale è più mobile e duttile: si tramanda, infatti, non solo di generazione in generazione seguendo i legami di discendenza, ma anche orizzontalmente, tra individui non necessariamente imparentati e appartenenti alla stessa generazione, e obliquamente, laddove gli insegnamenti “culturali” sono impartiti dai membri anziani ai più giovani, in una sorta di “famiglia estesa” alla quale appartiene l’intera comunità. Inoltre, per imparare c’è sempre tempo: l’imitazione, l’emulazione, la condivisione di scoperte sono fonti di innovazione culturale lungo l’intero arco della vita dell’individuo.

Culture volanti, striscianti, nuotanti: una straordinaria diversità

In diverse specie di primati – i primi animali nei quali è stata verificata dagli scienziati la presenza di una dimensione culturale – l’apprendimento sociale si dipana, nel corso della vita individuale, in tre grandi fasi: un primo periodo di apprendimento infantile, in cui il cucciolo beneficia della relazione intima con uno o entrambi i genitori (generalmente, nel caso dei mammiferi, si tratta della madre); una seconda fase, che potremmo definire adolescenziale, in cui il piccolo espande i propri contatti all’interno del gruppo; e infine una terza fase in cui l’individuo, ormai adulto, si unisce ad altre comunità, apprendendone le norme e le tradizioni per essere accettato.

I primati, tuttavia, non sono gli unici a mostrare tratti di innovazione culturale: tra gli animali che, in questi anni, hanno costituito l’oggetto di studio dei ricercatori vi sono anche i cetacei, moltissime specie di uccelli, di pesci e perfino alcuni insetti. Una ricerca francese del 2012, ad esempio, mostra come le femmine di Drosophila melanogaster, il famoso moscerino della frutta, scelgano il luogo per la deposizione delle uova in base alle informazioni acquisite a livello sociale, e rivela come, addirittura, queste preferenze tendano a consolidarsi all’interno della popolazione, divenendo progressivamente acquisite e “tradizionali”.

Fra le balene, mammiferi dall’organizzazione sociale matriarcale e altamente complessa, sembra che si verifichino, ciclicamente, delle vere e proprie rivoluzioni culturali: i ricercatori, studiando i canti di diverse specie di cetacei – canti che hanno una precisa diffusione all’interno dei diversi gruppi, e che sembrano presentare delle differenze geografiche –, si sono resi conto di come a periodi di relativa stabilità si alternassero momenti di innovazione, in cui ad alcune melodie se ne sostituivano di nuove. «Quando, fra le megattere, appaiono frequentemente nuovi canti e le registrazioni mostrano la loro rapida diffusione tra le popolazioni, né motivazioni genetiche né motivazioni ambientali possono spiegare questo fenomeno, e questi eventi sono stati giustamente descritti come “rivoluzioni culturali”», spiega Whiten nella sua Review.

Anche gli uccelli canori hanno avuto un ruolo essenziale per la comprensione del fenomeno della diffusione culturale fra gli animali non umani: studi pionieristici condotti fra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso mostrarono non solo il ruolo cruciale dell’insegnamento dei canti da parte degli adulti ai piccoli del proprio gruppo, ma anche l’amplissima variazione di melodie, pur all’interno della stessa specie, su scala regionale. Anche fra gli uccelli, dunque, esistono i dialetti.

La scienza insegna che non siamo unici: e se fosse un bene?

Quali insegnamenti possiamo trarre da queste scoperte? Innanzitutto, ancora una volta la scienza ci suggerisce di esercitare l’umiltà: neanche la cultura, a ben guardare, ci distingue in maniera netta e assoluta dal resto della natura; piuttosto, è un altro fattore che ci accomuna ad essa. Su quali basi, dunque, possiamo fondare le nostre pretese di superiorità?

In secondo luogo, lo studio delle culture animali può contribuire a far luce sulle radici più profonde dei fenomeni culturali, offrendo una prospettiva evoluzionistica circa le motivazioni che hanno determinato la comparsa ed evoluzione della cultura in specie anche molto distanti filogeneticamente. La dimensione culturale, come sottolinea più volte Andrew Whiten nel suo contributo su Science, è un elemento essenziale del quadro evoluzionistico perché costituisce, accanto a quella genetica, una seconda fonte di mutamento e di innovazione. Essa, infatti, sembra seguire, in molti casi, le stesse regole darwiniane dell’evoluzione genetica, alla quale si affianca e si sovrappone: «Anche in questo caso», afferma Whiten, «entra in gioco il triumvirato dei processi darwiniani – ereditarietà (tramite l’apprendimento sociale), variazione (mediante i comportamenti tramandati socialmente) e selezione, in accordo con la fitness di questi ultimi – che dà forma agli adattamenti ottimali nel repertorio a disposizione delle generazioni successive».

Per la biologia evoluzionistica, le culture animali gettano luce anche su un altro, importantissimo fenomeno della storia della vita: le dinamiche coevolutive fra i geni e le culture, già studiate in relazione alla nostra specie (alcuni studi suggeriscono che, grazie alla prevalenza della dimensione culturale, nel corso dei millenni potremmo esserci “autoaddomesticati”) ma ignote in altri animali. Ebbene, è stato scoperto che la coevoluzione tra natura e cultura ha un ruolo nell’evoluzione di diversi gruppi di uccelli e mammiferi, dando luogo ad almeno sei diversi processi. Le scelte dettate dalla cultura, ad esempio, possono determinare un mutamento nelle pressioni selettive, o possono innescare processi di coevoluzione tra specie (come nel caso dei rapporti tra predatore e preda, che si adeguano l’uno all’altra anche in funzione dei fenomeni culturali in atto in una o entrambe le specie). La selezione può favorire la diffusione di adattamenti vantaggiosi per determinati comportamenti appresi culturalmente: ad esempio, in diverse specie di primati si è notata una correlazione tra la propensione alla cultura e tratti come una maggiore encefalizzazione e periodi adolescenziali più estesi. Le preferenze e le tradizioni sviluppatesi in una popolazione mediante l’apprendimento sociale possono addirittura ridurre la diversità genetica, ad esempio scoraggiando l’accoppiamento fra uccelli che cantano “dialetti” diversi, e che quindi, pur appartenendo alla stessa specie, non si “piacciono”. Se portate alle estreme conseguenze, simili scelte sessuali dettate dall’evoluzione culturale possono addirittura innescare fenomeni di speciazione, come è avvenuto proprio in alcune specie di uccelli le cui diverse popolazioni, cantando melodie diverse durante il corteggiamento, non si riconoscevano più come simili e smettevano di incrociare i propri geni, determinando, nel corso di alcune generazioni, la perdita dell’interfertilità.

La comprensione di questo ulteriore livello di complessità della natura ha un grande valore non solamente dal punto di vista conoscitivo, ma anche in ambito pratico: se la dimensione culturale è così strettamente integrata nella storia evolutiva delle specie – e addirittura distingue le diverse popolazioni di una stessa specie – è allora essenziale che essa sia tenuta debitamente in considerazione anche nella pianificazione delle attività di tutela e conservazione.

L’abbondante varietà di manifestazioni culturali del mondo animale è una straordinaria ricchezza: come tale, è nostro compito conoscerla e preservarla. Se, allora, una differenza fra l’uomo e il restante mondo naturale effettivamente esiste, potrebbe essere proprio questa: con le nostre azioni e le nostre scelte – cioè con la nostra cultura – abbiamo il potere di modificare la natura. E da questo immenso potere derivano altrettanto immense responsabilità.



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