Il tragico Ventiquattro

Il 2024 rappresenta l’anno della resa dei conti tra coloro che minacciano in tutto il mondo la tenuta della democrazia e coloro che ancora credono in spiragli di resistenza. L’Europa è sul ciglio del baratro – a cominciare dal 9 giugno, con le elezioni del Parlamento europeo, dove vedremo l’inesorabile avanzata dell’ultra destra anti-democratica – e la degenerazione della democrazia occidentale sarà celebrata al termine del 2024 con la rielezione del golpista Donald J. Trump. Con le stragi della popolazione civile di Gaza e il dispotismo di Netanyahu è sancita la morte della democrazia israeliana, ma il “tragico Ventiquattro” vedrà soprattutto premiare i soprusi e gli eccidi di Putin. Al termine di quest’anno catastrofico ognuno di noi dovrà decidere se lottare per la giustizia e la libertà o se piegarsi all’oppressione e all’iniquità.

Paolo Flores d'Arcais

In un futuro prossimo, se ci sarà ancora democrazia, l’anno che stiamo vivendo sarà ricordato come Il tragico Ventiquattro. “Tragico” è anzi un aggettivo inesatto, debole, perfino consolatorio. Tragica è l’alternativa dove entrambi i corni del dilemma sono dolorosi e inaccettabili, dove spesso esiste un nesso tra colpa e espiazione, dove incombe la fatalità malgrado tutti gli sforzi umani.
Nulla di tutto questo nell’anno che stiamo vivendo, dove gli orrori che si annunciano nulla hanno di fatale e tutto di responsabilità umana, precisa e identificabile. Sarà perciò ricordato, quest’anno, come l’orrendo Ventiquattro, il mostruoso Ventiquattro, l’osceno, il catastrofico, il funesto Ventiquattro.
Si comincia il 9 giugno, con le elezioni per il parlamento europeo. Che vedranno una cospicua e forse debordante avanzata delle destre antidemocratiche, spesso esplicitamente ex-neo-post-filo-parafasciste. Ma invece di sottolineare questo risultato calamitoso, ci verrà scodellato lo giulebbe dello scampato pericolo, esaltando la perdurante maggioranza liberal-conservatrice-socialdemocratica, che tiene. Tiene, pensa un po’! quella che fino a un vicinissimo ieri copriva quasi interamente lo spettro delle forze politiche, lasciando all’estrema destra eversiva qualche briciola di strapuntino. Una situazione che ha sempre caratterizzato l’Europa del dopoguerra, e anche ciascuna delle sue democrazie. Dove conservatori e socialdemocratici si presentavano costantemente in conflitto, in alternativa, in competizione, fisiologia di una democrazia in discreta salute.
Che oggi debbano fare blocco unico, contro natura, radicandosi in politiche che danno il commiato allo Stato sociale, dunque il benservito all’essenza stessa delle democrazie del dopoguerra, costituisce già di per sé uno spaventoso arretramento etico e politico.
Dunque, il Ventiquattro sarà l’anno che ufficializzerà l’Europa sul ciglio del baratro, come condizione permanente.
Anno orribile che si chiuderà con la vittoria legale di un golpista antidemocratico alla presidenza degli Stati Uniti d’America, chiudendo due secoli e mezzo di storia, di suoi alti e bassi anche violentissimi, una devastante guerra civile compresa, che mai però avevano visto un presidente che tenta il colpo di stato, non viene punito e torna al potere. Evidenziando quello che era nato come garanzia di federalismo ed è ormai da tempo una tabe del sistema americano, il sovrano disprezzo del principio germinale della democrazia: una testa, un voto.
Un anno di dolore e angoscia e disperazione, che vedrà avvitarsi in velocità irreversibile l’estinzione dello Stato d’Israele, unica democrazia del Medioriente. Due, tre generazioni, e di quella speranza, di quella utopia possibile, nulla resterà dopo i troppi anni di dominio di Netanyahu culminati nella sua politica di stragi della popolazione civile di Gaza. I governi di Netanyahu, crepuscolo prima, e ora campana a morte della democrazia israeliana. Che inizia la sua regressione antropologica con la mutazione del suo carattere originario laico e a maggioranza socialista nella deriva costantemente crescente di clericalismo biblico, fino all’immigrazione di massa di ebrei russi che spesso di ebreo avevano poco e nulla ma che in un ebraismo fondamentalista trovano motivo di identità e coesione e lobbysmo.
Oggi, per Israele che non riesce a liberarsi di Netanyahu, circola in dosi sempre più massicce, in ogni parte del mondo, disprezzo e odio, odio e disprezzo. Isolamento. Un inevitabile harakiri applaudito dall’antisemitismo di ogni ceffo e risma. Compreso quello dei giovani reazionari che si immaginano di sinistra e vanno gridando la volontà di uno Stato palestinese “dal fiume al mare”, dunque l’annichilimento dello Stato di Israele: esattamente il programma di Hamas. Ma si può essere di sinistra e stare con una forza fondamentalista islamica terrorista, che impicca gli omosessuali e lapida a morte le donne adultere?
Mentre un pugno di decenni fa il socialismo israeliano, quello dei kibbutzim, sembrò costituire perfino l’alternativa umanistica, pionieristica, eroica, ai socialismi burocratici e totalitari di Urss, Cina e altri “satelliti”.
Ma soprattutto, lo sventurato Ventiquattro sarà l’anno del premio alla violenza imperiale del dispotismo di Putin, della ricompensa per l’aggressione a una democrazia inoffensiva, i civili torturati, le donne stuprate, i bambini massacrati, i quartieri e le città rase al suolo, le fanfare della barbarie che schiacciano e sottomettono. Perché l’Occidente non fornisce all’eroismo della resistenza del popolo ucraino le armi che almeno in parte compensino l’abissale superiorità di cannoni e carne da cannoni dell’autocrate del Cremlino. I missili a raggio non corto, e gli aerei chiesti fin dal primo giorno e dopo due anni di eroismo ancora negati. Un eroismo che ora non basta più, che muore in piedi ma muore.
Se mai ci fu una situazione non ambigua, il bianco e il nero, la ragione e il torto che si dividono con taglio che più netto non si può, essa fu quella dell’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Putin. Un piccolo paese che non minacciava e non poteva minacciare la Russia. Un piccolo paese democratico che con la sua esistenza poteva rappresentare una tentazione per i sudditi di Putin, però. Che invidiavano la minore povertà, che a loro poteva apparire addirittura lusso. Disparità crescente, che qualcuno avrebbe potuto imputare non al destino ma alla dittatura di Putin, all’orgia di corruzione dei suoi oligarchi e scherani.
I pacifisti immaginari, che vorrebbero togliere all’Ucraina anche le poche armi con cui l’Occidente ha permesso a un popolo eroico fin qui di non soccombere, non hanno il coraggio di trarre la logica conclusione della loro posizione: senza armi all’Ucraina non ci sarà la pace ma la resa e la schiavitù del popolo aggredito. Questo vogliono nei fatti, quali che siano le chiacchiere con cui inzuccherano la loro falsa coscienza, quanti gridano “pace” intendendo non più armi a Kiev.
Come è possibile essere di sinistra, dunque avere come bussola giustizia-e-libertà, e poi mettere all’ordine del giorno e propiziare con atti ed omissioni la schiavitù di una piccola democrazia sotto il tallone di una dittatura di corruzione e di sangue? Non è possibile. Chi lo tollera ha gettato alle ortiche i valori della sinistra, li calpesta e li oltraggia mentre crede di proclamarli.
Che nessuno si permetta di dire che in Ucraina non c’è democrazia, poiché ci sono forze fasciste organizzate. Nelle ultime elezioni avevano raggiunto non so se il 2 o il 3 o il 4 per cento. Da noi sono al governo, l’Italia che non ha saputo impedire l’obbrobrio di Palazzo Chigi in mano a ex-neo-post-filo-parafascisti e altri cognati e sorelle e screziata pègre, è l’ultimo pulpito da cui può venire la critica alla democrazia di Kiev.
La corona con cui le omissioni dei governi occidentali premieranno le angherie, i soprusi, gli eccidi di Putin avranno conseguenze devastanti per le democrazie d’Europa e per la pace, solo l’ottusità più colpevole e catafratta può impedire di prevederle. In Ucraina, e in tutti i paesi per prossimità territoriale minacciati dalla Russia di Putin, le forze di destra conosceranno fioriture lussureggianti: nazionalismi identitari fino allo sciovinismo e sdegnosi di democrazia saranno l’ovvio rifugio per frustrazioni e paure.
E intanto l’ex agente del Kgb, assurto all’olimpo del potere grazie agli eccidi della Cecenia, ottenendo il trionfo per la prima impresa del Russkij Mir, troverà conferma che il destino lo ha scelto per realizzarlo tutto quel programma: dovunque il “da” risuoni, lì è Russia, Russkij Mir, appunto, e come tale alla madrepatria deve essere riportato, riunificato, annesso.
Comincerà con la Moldavia? O con la Lettonia e l’Estonia, dove circa un quarto della popolazione è russofona? E perché non proseguire con la Lituania, dove comunque russofono è un significativo 6%? E la Polonia non costituisce comunque una minaccia per il Russkij Mir, visti i sentimenti anti russi che ne pervadono anima e popolazione? Non dimenticando, infine, che ci sono russofoni anche in Alaska, con chiese russo-ortodosse a Sitka e Anchorage…
Il cancelliere tedesco socialdemocratico Olaf Scholz, accampando ragioni tecniche, che i suoi stessi generali hanno smentito, per rifiutare a Kiev i missili a lunga gittata non più procrastinabili, ha aggiunto l’ennesima vergogna di ipocrisia alla sudditanza verso il macellaio di Mariupol di cui la cancelliera democristiana Angela Merkel aveva già offerto sontuosi esempi.
Vergogne difficilmente superabili, sembrava. E invece è arrivato Jorge Mario Bergoglio, canonicamente noto come Papa Francesco, a vomitare sull’Ucraina dell’eroica resistenza l’ukase della bandiera bianca, l’efferata complicità gesuitica col tiranno insaziabile del Russkij Mir.
Il mondo che uscirà dal funesto Ventiquattro sarà più brutto, molto più brutto, più incivile, molto più incivile, più abietto, molto più abietto. Più disperato e disperante, molto.
Possiamo sperare qualcosa che a tanta disperazione contrasti, visto che concludere un articolo senza speranza rende antipatici? Certamente: tutto quello che consente la realtà, impedendo che il bisogno di speranza, ossigeno per la vita, si avveleni nell’illusione. E cioè: Tutto quanto avviene nella storia è opera di uomini, non vi è destino, non vi è fato, nulla è già scritto. Dunque anche tu, compagno e amico lettore, e anche io, abbiamo potere sul futuro. La nostra quota parte, che nel più infimo dei casi è un ottomiliardesimo, dunque qualcosa, non nulla. E spesso qualcosa di più, per privilegi.
Possiamo esercitarlo ogni istante, questo potere, con il pensiero e l’azione, per dirla con chi oggi ha un monumento o una piazza o una via in ogni città e cittadina d’Italia. È il quasi niente di cui disponiamo, sta a noi esercitarlo tutto. Perché la storia è poi la sinergia, o l’antisinergia, dei miliardi di quasi niente che tutti noi siamo. Come possano intrecciarsi, sommarsi, moltiplicarsi, annullarsi, se verso giustizia-e-libertà o verso oppressione-e-iniquità, verso destre liberticide e oscurantiste o sinistre illuministe, egualitarie, laiche, libertarie, non è mai detto in anticipo. Dipende da ciascuno di noi, poiché al di fuori di noi, otto miliardi del genere zoologico Homo sapiens, non c’è nessun altro.*
*Questo articolo può essere ripreso anche per intero, purché venga citata con evidenza la fonte www.micromega.net
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