L’impatto della crisi climatica sulla salute umana

Grazie al modello della “sindemia” – che esamina la distribuzione delle patologie identificandone le interazioni e l’intersezione con i fattori sociali, economici e produttivi – possiamo dire che prepararsi alla prossima pandemia significa anche combattere le diseguaglianze sociali e le malattie non trasmissibili, migliorando lo stato di salute complessivo della popolazione. Nonché affrontare con grande radicalità il riscaldamento climatico, che sarà uno dei principali fattori di instabilità sociale, economica ma anche sanitaria del prossimo futuro.

Paolo Vineis

L’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) delle Nazioni Unite, pubblicato nell’agosto 2021, conferma ampiamente e anzi rafforza le conclusioni cui erano giunti da tempo gli scienziati. Come ha affermato Joeri Rogelj, del Grantham Institute dell’Imperial College e co-autore del rapporto: «Quanto avevamo concluso nel rapporto speciale del 2018 è stato poi confermato da centinaia di ricercatori». Raggiungere 1,5 °C in eccesso rispetto alle temperature pre-industriali (livello cui ci stiamo rapidamente avvicinando), significherà frequenti e intense ondate di calore, stagioni calde più lunghe e stagioni fredde più brevi. Secondo il rapporto, a +2 °C, gli estremi di riscaldamento condurranno a seri problemi per la produttività agricola e la salute. Il rapporto di quest’anno contiene una novità rispetto alle versioni precedenti, e cioè l’enfasi posta sul metano, gas serra più potente della CO2 e prodotto in larghe quantità negli allevamenti di animali.

Questa estate 2021 è stata drammatica per quanto riguarda il cambiamento climatico: estesi incendi in molte parti del mondo (in special modo in California e Canada); alluvioni di grande portata in Germania, Cina, Belgio e altri Paesi; intense ondate di calore, fino a un massimo di 48,8 gradi in Sicilia ai primi di agosto. Si è anche avuta una delle più imponenti fusioni di ghiacci mai verificatesi in Groenlandia, che ha rovesciato in mare tanta acqua da coprire la superficie dell’Italia con due centimetri.

Un nuovo sguardo sulle malattie
Le conseguenze del cambiamento climatico per la salute saranno probabilmente molto peggiori di quelle legate alla pandemia di Covid-19, in parte perché riguarderanno largamente persone giovani e bambini. Uno dei tratti distintivi saranno le diseguaglianze sociali, come nel caso della Covid-19. Non solo quelle più ovvie, derivanti dal fatto che i più ricchi dispongono di maggiore libertà di movimento e possono spostarsi in aree meno affette dai cambiamenti del clima, o adattarvisi in altri modi, ma per ragioni più complesse e sottili. Tra gli insegnamenti della Covid-19 è emerso il concetto di “sindemia”, un’idea relativamente nuova e che corrisponde alle modalità con cui guardiamo oggi alle cause delle malattie. Il concetto venne introdotto nel 1994 dall’antropologo Merrill Singer per descrivere l’epidemia di Aids e le sue determinanti, focalizzandosi in particolare sulla concomitanza di Aids, abuso di droghe e violenza. Emily Mendenhall estese successivamente lo stesso concetto al di là delle malattie infettive, attraverso i suoi studi sulle donne messicane povere negli Stati Uniti, tra cui descrisse la sindrome “Vidda”: violenza, immigrazione, depressione, diabete di tipo 2 e abusi sessuali.

Lo scopo del modello della sindemia è di esaminare la distribuzione delle patologie in una popolazione e in un determinato periodo storico identificandone le interazioni e l’intersezione con i fattori sociali, economici e produttivi. Le domande che ci si pone di fronte a sindemie come quelle descritte da Singer e Mendenhall sono: (1) perché certe malattie si presentano a grappoli (“multi-morbidità”); (2) quali sono i meccanismi sottostanti che spiegano il loro verificarsi in aggregati; (3) in che modo i fattori economici e sociali – in particolare le diseguaglianze – contribuiscono alle interazioni tra malattie diverse?
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