Intervista all’avvocato Eugenio Losco, difensore di Ilaria Salis in Italia

La vicenda che vede Ilaria Salis detenuta a Budapest continua a mostrare la sua complessità e lunghi tempi di gestione. Sull’argomento abbiamo intervistato Eugenio Losco, avvocato di Ilaria in Italia.

Massimo Congiu

Avvocato, facciamo un riepilogo di quanto è avvenuto dall’udienza del 29 gennaio scorso.
Quel giorno si è svolta la prima udienza a Budapest nel procedimento che vede coinvolta Ilaria Salis e altri due coimputati tedeschi. Come è stato immortalato dalle immagini riprese da alcune testate televisive la cosa che più ha colpito l’opinione pubblica è stata senz’altro la traduzione di Ilaria in vinculis nell’aula di udienza: ceppi ai polsi e alle caviglie, cinturone in vita a cui attraverso delle catene erano assicurate le manette e una catena-guinzaglio nelle mani di una guardia penitenziaria. Ilaria è stata costretta a rimanere in questa situazione per tutta la durata dell’udienza, circa tre ore. Nemmeno quando ha preso parola davanti al giudice è stata mollata la presa. Certamente una scena forte che ha sconvolto un po’ tutti. Sicuramente, però, non noi difensori. Ilaria infatti ci aveva già descritto queste modalità di trasferimento in altre occasioni in cui era stata portata in tribunale e peraltro non si tratta di un particolare trattamento destinato alla signora Salis, ma una modalità sistematica riservata a tutti i detenuti in Ungheria, modalità già sanzionata dalla Corte EDU in molteplici sentenze e oggetto di risoluzioni ed infrazioni da parte del Parlamento Europeo e della Commissione Europea. Si tratta infatti di un trattamento contrario ai principi previsti dall’art 3 della convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta di sottoporre a trattamenti inumani e degradanti le persone detenute e in violazione dell’art. 6 sulla garanzia di un giusto processo ed in particolare della presunzione di innocenza: presentare una persona in quelle condizioni, aggiungo scortata da guardie in mimetica calzanti un passamontagna, non può non influire nel giudizio di responsabilità che dovrà poi essere emesso dal giudicante. Ma oltre a questo aspetto il processo ungherese è sembrato caratterizzarsi per altre anomalie. Si tratta infatti di un processo di tipo inquisitorio dove il giudice conosce già le dichiarazioni dei testimoni prima della loro audizione, ponendosi dei dubbi che venga dunque garantito il principio di terzietà del giudice. A tal proposito è da sottolineare, inoltre, che nel corso dell’udienza uno degli altri imputati ha deciso di dichiararsi responsabile delle contestazioni emesse a suo carico, rinunciando allo svolgimento del processo, e il giudice ha emesso immediatamente sentenza di condanna nei suoi confronti. Bene pensavamo che questo determinasse una incompatibilità per quel giudice di continuare il processo nei confronti di Ilaria e l’altra coimputata, ma così non è stato: si tratta anche in questo caso di una evidente violazione del principio di terzietà e imparzialità del giudice.
Nei filmati dell’udienza l’abbiamo vista con uno sorriso che per certi versi poteva apparire strano o quasi di sfida. Quale potrebbe essere la lettura corretta?
Nonostante quanto avvenuto durante l’udienza, compresa la protesta di Ilaria per il mancato accesso agli atti del fascicolo, abbiamo visto Ilaria combattiva e vogliosa di affrontare il processo, certamente molto provata dalla lunga detenzione in pessime condizioni, ma combattiva. Sul sorriso mostrato da Ilaria all’ingresso in aula, l’unica lettura corretta è quella della felicità per aver visto i famigliari e molti amici presenti per la prima volta dopo un anno, nessun segnale di sfida.
Roberto Salis, padre di Ilaria, ha parlato di almeno quattro udienze che si sarebbero svolte senza che l’ambasciata italiana gliene facesse parola. Possibile? Cosa potrebbe voler dire?
Come dicevo, per noi non è stata una sorpresa vedere Ilaria trascinata in aula in quelle condizioni. E sicuramente la cosa era nota anche ai nostri rappresentanti consolari. Ripeto, anche perché è un trattamento riservato a tutti i detenuti. Probabilmente, dunque, per questo motivo non è stato oggetto di specifica segnalazione da parte dei funzionari dell’ambasciata che erano tuttavia presenti in alcune occasioni in cui Ilaria era già stata portata in tribunale. Una maggiore attenzione sul punto doveva essere prestata anche perché la questione era stata segnalata da Ilaria anche nelle sue missive a me consegnate attraverso proprio funzionari del consolato.
Ritiene che il governo italiano stia effettivamente lavorando per arrivare a una soluzione concreta?
Il Governo italiano ha incominciato ad interessarsi del caso con certo ritardo e soprattutto grazie al clamore mediatico che si è venuto a creare soprattutto dopo l’udienza del 29 gennaio. Non so quali canali diplomatici si siano attivati. Alcune dichiarazioni però rilasciate da importanti esponenti governativi hanno addebitato la responsabilità del fatto che Ilaria sia ancora detenuta in carcere a scelte sbagliate della famiglia e dei legali che non hanno mai depositato una richiesta di modifica della misura cautelare e soprattutto non ha mai richiesto gli arresti domiciliari a Budapest. I difensori di Ilaria in Ungheria hanno già richiesto la revoca o modifica della misura per ben tre volte e il tribunale l’ha sempre respinta. In particolare la richiesta di arresti domiciliari non è stata accolta per la sussistenza del pericolo di fuga in quanto la signora Salis non avrebbe contatti in Ungheria. Ma proprio per questo motivo è stata sempre avanzata la richiesta di poterli eseguire in Italia presso la sua residenza. Questo in virtù di una normativa europea (decisione quadro 829/2009) che lo consente e che è recepita sia nell’ordinamento ungherese che in quello italiano. Anzi, ha come scopo evitare discriminazioni tra cittadini comunitari ed evitare dunque che a un cittadino europeo coinvolto in un procedimento in altro paese dell’Ue venga applicata la detenzione in carcere solo perché non ha collegamenti su quel territorio. Il governo ha ritenuto di non dover appoggiare una ulteriore richiesta di questo tipo in quanto non ritiene che quella normativa europea sia applicabile al caso di Ilaria. Per avere i domiciliari in Italia ci vorrebbe prima un provvedimento del giudice ungherese che conceda la stessa misura in Ungheria. Solo dopo si potrebbero chiedere i domiciliari in Italia. Si tratta di una interpretazione a nostro parere non corretta e in contrasto con i principi ispiratori della legge quadro di non creare discriminazioni tra cittadini europei. Si tratta peraltro di una lettura, la nostra, che trova riscontro nella giurisprudenza della suprema corte italiana e che è stata anche confermata il 5 febbraio scorso dalla commissione europea durante una seduta del parlamento europeo dove la Commissaria McGuiness ha ribadito che la decisione quadro è applicabile al caso Salis e che dunque potrebbe ottenere gli arresti domiciliari in Italia. Da ultimo, questa interpretazione trova conferma nell’ ultima ordinanza della corte di appello in relazione al caso Marchesi, di cui parlerò dopo.
Pensa che quanto riportato finora dalla stampa italiana su questo caso possa essere d’aiuto o il fatto che vengano denunciate le condizioni di detenzione di Ilaria possa rendere quest’ultima più vulnerabile?
L’interessamento della stampa italiana è stato sicuramente positivo per fare emergere la situazione di Ilaria nelle carceri ungheresi. E ha indotto il governo ad intervenire almeno per garantire condizioni detentive più dignitose nei suoi confronti. Cosa che dopo il 29 è parzialmente avvenuto. Vi è ora una grande attenzione nel carcere di Budapest anche se non ci si può aspettare una svolta totale per quanto riguarda il regime carcerario a cui è ancora sottoposta.
Cosa si aspetta in termini di sviluppi di questa vicenda e in ogni caso a suo avviso potrebbe essere necessario chiedere l’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo?
Gli sviluppi al momento sono imprevedibili. Sicuramente sarà complicato ottenere una misura diversa dal carcere fino all’ esito del procedimento di primo grado, anche nel caso si riuscisse ad avanzare una richiesta di arresti domiciliari a Budapest, richiesta di difficile realizzazione pratica per i costi da sostenere e la difficoltà per uno straniero di ottenere un contratto di affitto. E anche pericolosa viste le minacce nei suoi confronti, subito dopo i fatti, da parte di ambienti della estrema destra e per la pubblicazione della sua foto ed indirizzo sui giornali nei giorni successivi. Consideriamo altresì il clima che si è creato anche dopo l’ultima udienza e la nuova celebrazione del Giorno dell’onore, quando sono stati fatti dei murales che raffigurano Ilaria impiccata. Per quanto riguarda la situazione carceraria stiamo valutando la possibilità di un ricorso alla corte EDU. Siamo in contatto anche con alcuni esperti ungheresi perché prima di depositare il ricorso alla Corte vi sono dei passaggi da controllare come quello dell’esistenza di rimedi interni. Infatti, prima di poter adire la corte EDU bisogna aver esaurito i ricorsi interni, sempre che ci siano. Ad ogni modo, le tempistiche per arrivare ad una decisione della Corte di Strasburgo non sono certo brevi ed una eventuale sentenza di condanna della CEDU non avrebbe una ricaduta diretta sulla situazione di Ilaria. Nel caso riconosca la violazione, ad esempio dell’art. 3 della convenzione, la corte EDU potrebbe condannare l’Ungheria ad un risarcimento per il trattamento inumano subito dalla signora Salis.
Gabriele Marchesi, invece, l’altro imputato che, a differenza di Ilaria si trova ai domiciliari a Milano e, almeno per il momento, non verrà consegnato alle autorità ungheresi che non sembra siano state molto collaborative, nemmeno nel suo caso.
Il signor Marchesi, secondo il tribunale ungherese, è coinvolto nelle stesse aggressioni contestate alla signora Salis. Nei suoi confronti è stato emesso un mandato di arresto europeo per esercitare anche nei suoi confronti l’azione penale in Ungheria. Il mandato è stato eseguito a Milano, dove Marchesi risiede, a metà novembre dell’anno scorso. La Corte di appello di Milano, competente per la decisione sulla consegna, in attesa della decisione ha applicato nei suoi confronti la misura degli arresti domiciliari. La Corte poi, alla prima udienza ha deciso, anche in relazione alle allegazioni difensive (lettera di Ilaria e report internazionale e sentenze CEDU) di chiedere informazioni alle autorità ungheresi sulle condizioni detentive con una serie di domande molto circostanziate anche in relazione alle varie risoluzione del parlamento europeo contro l’Ungheria in relazione alla indipendenza della magistratura, il giusto processo, la presunzione di innocenza ed in generale il rispetto dei diritti fondamentali. L’Ungheria ha risposto solo dopo due mesi fornendo però delle risposte poco dettagliate e concrete, limitandosi a riportare le norme che stabiliscono quali debbano essere le condizioni riservate alle persone detenute rifiutando di confrontarsi con le specifiche doglianze concrete emerse dalle allegazioni difensive. Rifiutandosi persino di indicare il carcere a cui sarebbe assegnato il signor Marchesi in caso di consegna. La corte, dunque, all’ultima udienza, in considerazione delle allegazioni difensive e della concreta possibilità che se il signor Marchesi, in caso di consegna possa essere sottoposto a violazione di diritti fondamentali, prima di entrare nel merito della decisione finale, ha chiesto all’Ungheria, in forza del principio di proporzionalità tutelato anche a livello europeo, principio che impone di valutare la proporzionalità della misura richiesta (arresto e detenzione in carcere) rispetto all’esigenza richiesta (garantire l’esercizio dell’azione penale) con la minore compressione della libertà individuale, di valutare se non vi sia altro strumento di cooperazione giudiziario atto a garantire questa partecipazione senza dover ricorrere al mandato di arresto. E ha chiesto all’Ungheria di valutare, in particolare, se le misure non detentive previste dalla decisione quadro 829/2009 non siano adeguate al caso concreto, in special modo quella degli arresti domiciliari in Italia, paese di residenza di Marchesi. Anche in considerazione del fatto che il Marchesi già si trova agli arresti domiciliari per la procedura relativa alla decisone del MAE e ha sempre rispettato tutte le prescrizioni, e dunque non sussisterebbe alcun pericolo di fuga nel caso gli venisse applicata tale misura anche per il processo in Ungheria. L’udienza è stata rinviata al 28 marzo, stessa data in cui celebrerà la seconda udienza a Budapest per Ilaria, con termine al 15 marzo all’Ungheria per esprimersi sulla applicabilità degli arresti domiciliari. Si tratta dell’ennesima prova che la decisione quadro è applicabile anche al caso di Ilaria senza che vi sia la necessità di un previo passaggio ai domiciliari in Ungheria, come sostiene il nostro governo.
CREDITI FOTO: ANSA-ZUMAPRESS / MATTEO NARDONE



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