Di sinistra è sostenere la resistenza ucraina, ancora di più. Intervista a Sergio Cofferati

L’ex segretario della Cgil si dice sorpreso dalle posizioni assunte da diversi esponenti del mondo della sinistra sulla guerra in Ucraina. E ribadisce: “Se non difendiamo i nostri valori in questo caso non saremo più credibili”.

Paolo Flores d'Arcais

Su MicroMega sintetizziamo i valori della sinistra con l’espressione “giustizia e libertà” o, storicamente, richiamando i valori della Rivoluzione francese libertà, eguaglianza, fratellanza. Tu come preferisci sintetizzare i valori della sinistra?
Direi che “giustizia e libertà” è una bella sintesi.

Allora su questa base una persona di sinistra quale atteggiamento dovrebbe assumere di fronte all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin?
Innanzitutto, occorre essere chiari nell’uso delle parole. Hai detto benissimo: si tratta di un’invasione. E quando c’è un’invasione – sembra banale dirlo – c’è uno che invade e uno che viene aggredito. L’equidistanza che alcuni hanno addirittura teorizzato è un’assurdità, un’ipotesi priva di qualsiasi senso. Lì c’è l’esercito di un Paese che ha invaso un altro Paese. C’è un invasore e ci sono delle persone che sono state aggredite a casa loro. Questa è la prima questione da chiarire perché non ci siano dubbi su quello che sta accadendo. Seconda questione: il Paese che ha invaso è un Paese nel quale non c’è una democrazia acclarata, notoriamente infatti in quel Paese non c’è nessuna accettazione del dissenso, di opinioni diverse da quelle di chi gestisce il potere, non c’è un’articolazione democratica come siamo abituati a conoscerla e a viverla in tanti Paesi europei. Lo dico perché nella discussione di questi giorni ci sono tesi che a me mettono un po’ di angoscia. Quando si dice infatti “se si arrendessero si risparmierebbero tanti morti e tanti danni”, si ignora il fatto che con la resa scomparirebbe la democrazia e il Paese che ha invaso imporrebbe le sue modalità e le sue regole di gestione della politica che non riconoscono, non dico il dissenso, che già è una parola forte, ma la mera diversità di opinioni. Dunque, chi eventualmente si arrendesse verrebbe privato della libertà e alcuni di loro rischierebbero la vita. Per cui non si può sostenere disinvoltamente, come alcuni fanno, che se si arrendessero sarebbe un bene per loro perché avrebbero meno morti e meno danni. Non sarebbe così. Riprendo i due termini “giustizia e libertà”: la giustizia si applica secondo le regole che sono proprie della democrazia e la libertà è una prassi che riguarda le persone e le loro forme di associazione e di organizzazione. Noi queste condizioni le abbiamo conquistate con l’aiuto di Paesi che avevano la nostra stessa sensibilità democratica e che ci hanno aiutati in una guerra di liberazione dal fascismo e dal nazismo. Ora, se noi vogliamo mantenere quella giustizia e quella libertà per noi e vogliamo che diventi fondamento anche per i paesi dell’Unione che abbiamo creato in questi decenni, cioè quella europea, dobbiamo avere ben chiaro non soltanto che cosa significano quei valori ma anche come si difendono e come si estendono. Per questo sono molto sorpreso dai commenti che ho letto e che francamente nella sinistra non mi aspettavo.

Quindi secondo te una posizione di sinistra comporta molto semplicemente che tra un esercito invasore di un Paese le cui istituzioni non sono democratiche e dei cittadini che resistono a questa invasione si debba aiutare questa resistenza.
Sé, assolutamente, bisogna aiutare quei cittadini. E bisogna farlo in due modi contemporaneamente: aiutandoli nella vita di tutti i giorni a difendersi e a vivere; e rendendo efficaci le sanzioni nei confronti del Paese invasore.

Mi sembra dunque di capire che tu chiedi ai nostri governi tre cose: fornire armi alla resistenza, fornire aiuti umanitari a chi vive lì e ai profughi e rendere massimamente efficaci le sanzioni economiche contro Putin, anche se questo dovesse avere dei costi anche per noi.
Sì, esattamente, sono tre cose che vanno fatte contemporaneamente. Ognuna di queste cose ha una radice lontana. La conclusione della Seconda guerra mondiale e la lotta di resistenza per la guerra di liberazione che è stata fatta in alcuni paesi – principalmente il nostro e la Francia – sono lì a dimostrarlo. In quegli anni ci fu un aiuto reciproco straordinario. Il 21 di aprile del 1945 Bologna venne liberata dai polacchi perché gli straordinari partigiani bolognesi, dopo la sconfitta a Porta Lame, furono costretti a lasciare la città e si trasferirono a Belluno dove fecero cose straordinarie. La loro città, che divenne poi anche un simbolo della sinistra italiana, venne liberata dall’esercito polacco. Cosa ci dice questo? Che allora per tornare alla democrazia ci fu bisogno di un aiuto concreto da parte di soggetti diversi che avevano nella democrazia il fondamento, la loro radice. Adesso per fortuna non siamo ancora, e spero che non ci si arrivi mai, nelle stesse condizioni di allora. Ma quell’idea di relazioni tra Paesi sinceramente democratici è un fondamento al quale non possiamo rinunciare di fronte a un Paese come la Russia che quella radice non ce l’ha.

Alla luce del discorso di Putin del 24 febbraio e poi di tante altre dichiarazioni successive, siamo secondo te di fronte alla teorizzazione di una nuova forma neo-imperiale?
Secondo me sì. L’Europa e gli Stati Uniti hanno commesso un grave errore nei confronti della Russia quando non hanno voluto aiutare Gorbačëv, per come era possibile, nel processo di cambiamento delle radici di rappresentanza politica e di vita sociale di quell’enorme paese. Lì è cominciata una regressione che adesso, nella fase ultima con Putin, ha assunto queste caratteristiche neo-imperialiste.

Tra gli errori dell’Occidente non metteresti anche il fatto che in questi ultimi 10-20 anni sia stata portata avanti una politica che in fondo a ha favorito Putin e i suoi piani, senza coglierne il disegno di fondo? Penso agli atteggiamenti della signora Merkel che oggi francamente sembrano cecità, per non parlare poi del più filo-putiniano degli uomini politici occidentali che abbiamo avuto noi.
Già, un’amicizia esibita in ogni momento… L’errore più grande secondo me è quello di non aver fatto l’Europa che avevano immaginato i padri fondatori. L’Europa che c’è oggi, con le regole attuali, è un’Europa che ha consentito a molti Paesi che la compongono di avere politiche e relazioni verso l’esterno improntate ai loro interessi e non alla dimensione comunitaria nella quale sono inseriti. Vale per la Francia, per la Germania ecc. Sia nei rapporti con la Russia sia nei rapporti con gli Stati Uniti l’Unione Europea non è stata coesa perché l’Ue non ha ancora attuato, e spero che lo faccia in futuro, i princìpi e le idee dei padri fondatori. Non siamo gli Stati Uniti d’Europa perché i Trattati sono stati scritti con degli incomprensibili margini di autonomia lasciati ai singoli Paesi. Non abbiamo una politica economica comune. Perché? Perché non è previsto dai Trattati. Non abbiamo una difesa comune. Perché? Perché non è prevista dai Trattati. Nei rapporti con le altre grandi comunità politiche e sociali del mondo – in questo caso la Russia da un lato e gli Stati Uniti dall’altro – ci sono indubbiamente delle politiche europee, che però sono marginali perché i grandi temi economici e sociali sono ancora gestiti direttamente dai singoli Paesi. Oggi finalmente di fronte a questo dramma, e prima di fronte alla pandemia, l’Unione Europea ha mostrato finalmente interessanti elementi di convergenza. Ma non basta. Bisogna andare fino in fondo.

Nel mondo che si autodichiara pacifista in pochi sostengono esplicitamente che gli ucraini si debbano arrendere, perché naturalmente chi fa un’affermazione di questo genere si rende immediatamente conto di quanto sia vergognoso e insultante per chi sta resistendo. Quello che, specialmente all’inizio, si diceva era “sarà una eroica resistenza ma sarà inutile perché tanto sarà schiacciata in pochi giorni”. Ora siamo però a oltre cinque settimane di resistenza, ci sono addirittura delle zone che erano state conquistate dall’esercito russo che sono state riconquistate dalla resistenza ucraina, che ha armamenti infinitamente inferiori. Il presidente ucraino Zelensky in queste ultime due settimane, in tutti i discorsi che ha fatto ai vari parlamenti non ha fatto altro che dire “dateci più armi perché possiamo farcela, possiamo respingere l’invasore”. Ti sembra che i governi occidentali stiano sostenendo in modo sufficiente sia sotto il profilo delle armi sia sotto quello delle sanzioni la resistenza ucraina?
C’è un elemento che dobbiamo guardare con attenzione e commentarlo sinceramente. Nessuno, dico nessuno, si aspettava una resistenza di questa natura da parte dell’Ucraina. Non se l’aspettavano i russi, che pensavano di poter invadere l’Ucraina e finire il tutto nel giro di pochissimo tempo. Ma questa resistenza, questa capacità di non cedere e di saper spendere positivamente le proprie ragioni anche all’esterno, non se l’aspettava neanche l’Occidente. Perché conta certamente la resistenza che si mette in campo tutti i giorni, ma conta anche la modalità con la quale ti presenti e fai vivere agli occhi del mondo le tue ragioni. Soprattutto in un sistema come quello comunicativo odierno dove bugie e fake news sono oramai dominanti, questo elemento della comunicazione è centrale. Oggi da parte di molti Paesi, come il nostro, non c’è dubbio che si guarda all’Ucraina con un’attenzione e un rispetto che non è lo stesso di un mese fa. Questo è molto importante ed è un valore da non disperdere. Che in una situazione del genere, a fronte di un esercito come quello russo, gli ucraini potessero avere una capacità così forte di resistenza, io sinceramente lo speravo ma non ne ero molto sicuro. Stanno facendo cose davvero straordinarie. E dall’altra parte mi pare si possa dire che il tanto decantato esercito russo, per fortuna, è più debole e confuso di quello che ci si poteva aspettare.

Pensi quindi che dare un ulteriore aiuto alla resistenza potrebbe alla fin fine abbreviare questa guerra e costringere Putin a trattative vere?
Secondo me sì. Possiamo già constatare come intanto la Russia abbia cambiato obiettivo: da quello che sembra di capire, adesso non punta più ad avere tutta l’Ucraina ma si “accontenterebbe” di una sua una parte, sia pure importante. Gli atteggiamenti degli ultimi giorni sono la conferma non solo di un mutamento di obiettivi ma anche di un’evidente sofferenza sul campo. Certo, il fatto che sia sempre necessario cercare un luogo di volta in volta diverso per le trattative non è un segnale tranquillizzante. Però siamo di fronte a delle novità che andrebbero sottolineate, apprezzate, valorizzate e soprattutto sostenute.

Lo scorso 5 marzo si è svolta a piazza San Giovanni a Roma una manifestazione indetta da una serie di forze della società civile tradizionalmente di sinistra che ha visto una partecipazione sicuramente inferiore alle aspettative. Tra i promotori c’erano due forze che per l’opinione pubblica sono emblemi della sinistra: la Cgil e l’Anpi. Tu pensi davvero che tutto il mondo della Cgil e tutto il mondo dell’Anpi si riconoscano nelle posizioni dei loro dirigenti che sono quelle posizioni che tu hai criticato molto aspramente prima?
Sinceramente non lo so. Non svolgendo un’attività politica e sociale diretta, non ho la quantità di relazioni che sarebbero necessarie per esprimere un giudizio e dare una risposta a questa domanda. Quello che vedo è che nella sinistra, al di là delle organizzazioni che la rappresentano (che siano partiti o organizzazioni sociali e culturali), c’è una notevole articolazione. Io rispetto naturalmente le opinioni di tutti, sono però meravigliato dal fatto che, nel commentare quello che sta capitando in Ucraina, troppe persone rimuovano quegli elementi di valutazione che dovrebbero essere tratti dalla nostra storia. C’è infatti una discrasia tra come abbiamo conquistato la nostra libertà e la nostra democrazia e quello che diciamo oggi a proposito della libertà e della democrazia degli altri, e questo è un elemento di novità che, confesso, mi crea qualche preoccupazione perché ci sono elementi della vita comune che possono essere influenzati da vicende come quella che stiamo commentando adesso. Io, ad esempio, penso che sia importante e auspicabile che la pace venga trovata il più in fretta possibile. Ma è del tutto evidente che questo conflitto provocherà cambiamenti profondi nelle condizioni materiali di vita di tante persone. Pensiamo alle materie prime, specie quelle energetiche, che non saranno più accessibili come prima. Se a questo aggiungiamo gli effetti già preoccupanti della pandemia, dobbiamo mettere in conto che ci aspettano tempi lunghi caratterizzati da grandi difficoltà economiche e sociali. Se ne parla purtroppo poco, ma sono cose che vanno previste e gestite anche pensando a un cambiamento consistente di politiche perché il modello di sviluppo sul quale ci siamo basati per decenni non è più sostenibile. Allora in una fase di difficoltà incombenti come queste, la discussione e il giudizio sui valori è importantissimo e sarebbe auspicabile valutarli con il massimo di convergenza possibile. Perché poi le difficoltà materiali le dovremo affrontare insieme ed è difficile affrontare scadenze rilevanti se ci sono dissensi altrettanto rilevanti sui valori.

In altri termini per il futuro prossimo noi avremmo bisogno di una sinistra molto forte per combattere l’andamento neoliberista che ha dominato questi decenni. Ma una sinistra che sulla guerra di Putin all’Ucraina e alla democrazia ucraina non ha saputo essere coerente con i propri valori sarà una sinistra molto meno forte e molto meno credibile.

Sì, sarà una sinistra oggettivamente in difficoltà perché le differenti valutazioni dei diversi comportamenti hanno delle conseguenze nei rapporti dentro la politica e dentro le istituzioni. Io penso che la prima cosa da fare oggi sia rilanciare l’idea di costruire l’Unione Europea che avevano in mente i padri fondatori, il che vuol dire riscrivere i Trattati. L’Unione europea non può pensare di fare il resto del percorso che abbiamo davanti semplicemente tenendo insieme – cosa pur importante, lo sottolineo – un’opinione e un comportamento comune sulle scelte che riguardano questo conflitto. C’è già chi dice “ma tanto noi abbiamo gli algerini, il gas lo andiamo a prendere di là” oppure “noi non ne abbiamo bisogno perché abbiamo un sistema produttivo che fa a meno del gas”. Ora queste articolazioni sono legittime e comprensibili, ma sono efficaci solo se stanno dentro un quadro d’insieme dove il gas algerino non va alla Spagna e al Portogallo ma viene gestito dall’Unione europea come soggetto unitario. Attualmente questo elemento di coesione i Trattati non lo prevedono. C’è troppa articolazione frutto di un percorso che si è interrotto ad un certo punto e che è esploso nelle sue contraddizioni più vistose nella fase della globalizzazione.

Insomma, mi sembra di capire che per te abbiamo bisogno di un futuro dell’Europa ispirato proprio ai princìpi “giustizia e libertà” e che se non sapremo coerentemente applicare questi princìpi già ora a fianco della resistenza ucraina non avremo sufficiente credibilità per rilanciarlo in Europa.
Né credibilità né forza.


Credit foto: Volontari civili in un campo di addestramento militare nelle foreste di Zaporizhzhia, in Ucraina / Credit Image: © Celestino Arce Lavin/ZUMA Press Wire

 



Ti è piaciuto questo articolo?

Per continuare a offrirti contenuti di qualità MicroMega ha bisogno del tuo sostegno: DONA ORA.

Altri articoli di Paolo Flores d'Arcais

Il caso Scurati conferma l’irrefrenabile pulsione di Meloni a voler tappare la bocca di ogni voce scomoda.

Dall'Msi ad Almirante, per Giorgia Meloni non sarà cosa facile dimostrare che nessun sentimento neonazista alberga nella sua anima.

Questo è l'anno della resa dei conti tra coloro che minacciano la tenuta della democrazia e coloro che credono in spiragli di resistenza.

Altri articoli di Mondo

L’ultima tornata elettorale in Turchia ha visto l’Akp di Erdoğan scendere a secondo partito su scala nazionale.

Al G7 ribadita la linea della de-escalation: fermare l’attacco su Rafah e disinnescare le tensioni tra Israele e Iran.

L'attuale conflitto "a pezzi" e le sue ragioni profonde e spesso sottaciute.