Introduzione a Diderot

“Introduzione alla filosofia di Diderot” (Clueb, 2022) di Valentina Sperotto è un libro che consente al lettore di costruirsi un’idea articolata della filosofia di Diderot anche attraverso i rimandi a testi meno conosciuti. Una visione d’insieme da cui poter liberamente approfondire l’uno o l’altro aspetto, al tempo stesso con la consapevolezza che una singola tematica può essere compresa solo guardando al tutto.

Sabrina Consolati

Il libro di Valentina Sperotto, pubblicato per Clueb nel 2022, rappresenta un importante e riuscito tentativo di compiere un’operazione niente affatto banale come quella di fornire un’introduzione alla filosofia di Diderot. Se è vero che tracciare un’introduzione al pensiero filosofico di un autore non è mai un compito facile, tanto meno lo è quando si ha a che fare con una personalità eclettica e un corpus di testi di difficile caratterizzazione come quelli del filosofo di Langres.
Le opere di Diderot infatti – come accade peraltro frequentemente tra i philosophes ma di cui Diderot rappresenta, forse, l’esempio più eclatante – si caratterizzano per una mancanza di forma trattatistica a favore di una molteplicità di forme di scrittura, dal romanzo alla pièce teatrale passando per l’anti-romanzo e la lettera, utilizzando talvolta il dialogo, altre volte il frammento, altre ancora una prosa narrativa. Sarebbe un errore essere indotti a ricercare il pensiero filosofico diderottiano solo nei testi che a primo acchito si confanno a quello che il canone ci ha abituati a identificare come testo filosofico. La filosofia di Diderot traspare, infatti, da ogni sua produzione, ribadendo così uno dei principi stessi della sua filosofia: quello del tutto. Così opera Sperotto nel suo volume, offrendo un’ordinata e puntuale ricostruzione del pensiero di Diderot. Il libro si presenta suddiviso in tre capitoli – (1) Un materialismo vitalistico ed eclettico, (2) Rappresentare la natura, percepire i rapporti: Diderot e le arti, (3) Virtù sociali e buone leggi: materialismo morale e politico –, i quali non rappresentano rigide sezioni: anzi, come si vedrà, la particolarità di quest’introduzione è proprio quella di restituire una visione d’insieme del pensiero diderottiano mostrando come esso si caratterizzi piuttosto per un intreccio di saperi.
Il largo impiego di citazioni è una delle caratteristiche dell’Introduzione alla filosofia di Diderot, costituendone senza dubbio un pregio. L’autrice, infatti, correda il libro di puntuali riferimenti ai testi diderottiani incrociandoli e sovrapponendoli, restituendo proprio attraverso quest’incrocio di testi differenti un’immagine estremamente chiara del pensiero del filosofo di Langres.
Il lavoro di Sperotto permette alle lettrici e ai lettori di entrare direttamente in contatto con la scrittura di Diderot all’interno di un percorso in cui l’autrice ci conduce e ci guida. Attraverso le tre macroaree che compongono il testo, che non corrispondono affatto a categorie chiuse, ma piuttosto a campi tematici in cui approfondire determinati aspetti del pensiero diderottiano – tenendo sempre ben a mente che uno rimanda all’altro e non ve ne è uno che possa essere studiato autonomamente – Sperotto ci conduce sapientemente, facendo emergere i tratti distintivi della filosofia di Diderot. Tratti ricorrenti che non sono applicabili a una sola tematica, ma trasversali nel pensiero diderottiano; caratteristiche che riguardano piuttosto il tutto, senza né la pretesa né tantomeno la volontà di costituire con questo un sistema. Si legge infatti: “pur sforzandosi di elaborare un materialismo coerente, Diderot si mostra sempre attento a evitare di trasformarlo in un sistema” (p. 64). È così che in questa ragionata costruzione del libro l’intento narrativo di Sperotto – come scrive lei in riferimento a Diderot – “sorge proprio a margine”(p. 14) facendo emergere come ogni macroarea della filosofia di Diderot non possa essere compresa se non prendendo in considerazione anche il resto. Caratteristica che, tra gli altri, era già stata sottolineata da Colas Duflo: “l’esthétique de Diderot ne peut être véritablement comprise sans mesurer son lien à la philosophie de la nature, et sa philosophie morale, qui s’exprime aussi bien dans le Supplément au voyage de Bougainville que dans Jacques le fataliste, dépend tout entière d’une anthropologue philosophique qui s’élabore en même temps que cette philosophie de la nature”[1].
È proprio attraverso questo fil rouge del tutto che Sperotto ci guida, dopo averci introdotto al materialismo diderottiano, prima nell’estetica e poi nella morale e nella politica, non perdendo mai di vista i fili della ragnatela – per utilizzare una metafora diderottiana – che consentono di orientarci nel suo pensiero. Sperotto enuclea in poche pagine le caratteristiche principali dell’estetica di Diderot facendo ben attenzione a mettere in rilievo l’importanza dell’esperienza e dell’idea di rapporto. Quest’ultimo rappresenta un concetto chiave nel pensiero diderottiano, come sottolinea l’autrice. Il rapporto, si legge, è “un’operazione mentale che considera sia un essere, sia una qualità in quanto questo essere o questa qualità suppongono l’esistenza di un altro essere o di un’altra qualità”[2]. Come ben mostra Sperotto, Diderot riesce nel difficile compito di elaborare un’estetica che “dipende dalla conformazione fisiologica, dall’esperienza e dall’abitudine, ma anche da elementi invariabili e universali” (p. 119).
Ancora all’interno del capitolo dedicato a Diderot e le arti l’autrice riporta un estratto dei Salons in cui Diderot, descrivendo la difficoltà e la laboriosità del dipingere, rileva un aspetto peculiare di quando si ha a che fare con i tableaux e che risulterà centrale anche per il discorso morale del philosophe, cioè il concetto di distanza: “A ogni colpo di pennello, o piuttosto di spazzola o di pollice, occorre che l’artista si allontani dalla sua tela per giudicare l’effetto”[3]. Lo stesso impianto, la necessità della distanza per la chiarificazione delle idee, viene riproposto attraverso l’attenta e curata selezione di testi che l’autrice cita per descrivere la morale diderottiana. Come si legge nel passo in cui il filosofo di Langres si chiede se proveremmo orrore per le atrocità commesse dagli uomini, qualora fossimo posti “in quell’intervallo dell’orbe celeste dove sonnecchiano gli dèi di Epicuro”(p. 157). Domanda a cui segue una risposta negativa, volta a sottolineare, come evidenzia Sperotto, l’ineliminabile fondo scettico relativo alla morale.
Si è richiamato questo passo al fine di porre l’attenzione, ancora una volta, a come metafore o tematiche proprie di un sapere, come in questo caso poteva apparire quella della distanza nel lavoro del pittore, in realtà vengono riproposte da Diderot anche in altri ambiti.
Al di là dei riferimenti strettamente concettuali della filosofia di Diderot, è importante anche evidenziare la costruzione generale del volume di Sperotto e quegli aspetti di contesto che potrebbero apparire scontati ma che non lo sono affatto.
Il primo aspetto riguarda lo scopo stesso dell’opera, cioè la realizzazione di un’introduzione. Ciò su cui è importante prestare attenzione è come il testo di Sperotto sia estremamente chiaro e accessibile anche per lettori inesperti di Diderot e del Settecento francese, nonostante ciò, riesca comunque a essere puntuale senza mai cadere in semplificazioni o forme di riduzionismo. Ne sono un esempio le considerazioni di carattere generale sull’illuminismo, le quali consentono di sottolineare, il carattere antipositivistico e antirazionalistico della filosofia di Diderot: “questa forma di ironia è un modo per porre i problemi lasciando in sospeso un giudizio definitivo perché, contrariamente al filosofo razionalista costruttore di sistemi, l’illuminista crea un luogo immaginario che lungi dall’avere funzione illusoria, si fa spazio della critica, della tolleranza e del confronto” (p. 41).
Queste caratteristiche, che possono apparire come un “già noto” agli studiosi, sono fondamentali se pensate all’interno di un contesto introduttivo che vede spesso, per contro, l’affermarsi di un’immagine positivistica della ragione illuminista; specie se il contesto in cui queste considerazioni vengono svolte sono accostate a un autore che partecipò come direttore insieme a d’Alembert a un’opera monumentale nella storia del sapere come quella dell’Encyclopédie. Anche su questo aspetto Sperotto, seppur consapevole che l’introduzione non è la sede appropriata per accingersi a dare un’idea completa di quello che fu il lavoro svoltosi tra il 1751 e il 17724, riesce comunque a enuclearne i momenti principali per la filosofia diderottiana (cfr. p. 67). Un importante monito che dà l’autrice, e che è funzionale ricordare nell’ottica sopra menzionata, è quello che Sperotto pone in chiusura al paragrafo dedicato all’Encyclopédie: “L’albero della conoscenza dei Lumi è mutevole e i nessi logici non sono dati, perché possono sempre emergerne di nuovi: come si è detto, noi non conosciamo tutti gli anelli della catena” (p. 71). Non ci troviamo di fronte a uno smodato ottimismo quanto piuttosto a una presa di coscienza delle conoscenze attuali che si hanno della natura, di fronte a quel “tempo profondo” della natura la cui storicità era stata messa in primo piano da Buffon nell’Histoire naturelle. Emerge così il ruolo dell’interprete della natura, che Sperotto sottolinea ricordando il personaggio di Mirzoza dei Gioielli indiscreti: “con il suo sguardo trascendentale è capace di unificare e dar forma alle esperienze, senza tuttavia trasformarsi in un’“orgogliosa architetta”, incarna il vero interprete della natura” (p. 45). Si ha qui, dunque, un esempio di come Sperotto opera, cioè proponendo un incrocio di testi che semplificano la comprensione al lettore, ma rendendo al tempo stesso l’idea della complessità e stratificazione che si cela dietro al pensiero di Diderot. Ciò appena ricordato consente di sottolineare come la conoscenza non debba mai cristallizzarsi in un sistema, ma il filosofo debba piuttosto esser sempre pronto a cogliere i mutamenti della storia: “Ecco la critica ai sistemi, accompagnata da una filosofia della storia che prevede l’alternarsi di fasi di progresso e regresso. A una natura sempre cangiante, la cui storicizzazione si trova già in Buffon, non può corrispondere un sapere cristallizzato e definitivo” (p. 78).
Un ultimo aspetto di contesto, ma che risulta necessario per comprendere il panorama in cui Diderot si muoveva, è l’intricata rete di relazioni sociali che hanno caratterizzato questo periodo portando i filosofi a collaborazioni, dissimulazioni e influenze reciproche. Relazioni che Sperotto non manca di sottolineare facendo emergere una solidità storico-filosofica di fondo che consente di far cogliere alle lettrici e ai lettori l’intricata rete di influenze che caratterizzò i philosophes. Per citare solo degli esempi non mancano i riferimenti a Hobbes, Locke, Bayle, Voltaire, Rousseau e al barone d’Holbach oltre che al già ricordato Buffon. Tali rimandi non vengono presentati solo come dovute citazioni per completare l’apparato storico-filosofico ma costituiscono proprio una trama attraverso cui è possibile comprendere meglio il pensiero filosofico di Diderot. Il contesto, infatti, permette di riflettere sulla circolazione dei manoscritti libertini, sull’incarcerazione di Diderot e su quell’arte della dissimulazione, centrale nell’età moderna5, e di cui vediamo alcuni esempi nella già citata Encyclopédie.



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