Israele dichiara terroristiche sei ong palestinesi. Ma non fornisce alcuna prova

Secondo un team di giornalisti che ha visionato il dossier a sostegno della decisione israeliana di dichiarare organizzazioni “terroristiche” sei ong della società civile palestinese, le prove addotte a conforto di questa accusa non provano assolutamente nulla.

Ingrid Colanicchia

Un paio di settimane fa il ministro della Difesa israeliano ha dichiarato “terroristiche” sei organizzazioni della società civile palestinese[1]. Così facendo le ha poste fuorilegge, autorizzando le autorità israeliane a chiudere i loro uffici, sequestrarne i beni, arrestarne il personale. L’accusa è quella di legami con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) partito laico di orientamento marxista, con un’ala armata, che Israele, Stati Uniti e Unione Europea considerano terroristico.

«Questa decisione scioccante e ingiusta è un attacco del governo israeliano al movimento internazionale per i diritti umani», hanno commentato Human Rights Watch e Amnesty International in un comunicato in sostegno alle sei ong (con alcune delle quali lavorano). «Per decenni, le autorità israeliane hanno sistematicamente cercato di mettere a tacere il monitoraggio dei diritti umani e di punire coloro che ne criticano il dominio repressivo sui palestinesi». «Questa decisione è un’escalation allarmante che minaccia di mettere la parola fine al lavoro delle più importanti organizzazioni della società civile palestinese. Il decennale fallimento della comunità internazionale nel contestare le gravi violazioni dei diritti umani da parte d’Israele e nel far valere conseguenze significative ha incoraggiato le autorità ad agire in questo modo sfacciato. La risposta della comunità internazionale sarà il banco di prova della sua determinazione a proteggere i difensori dei diritti umani. Siamo orgogliosi di lavorare con i nostri partner palestinesi e lo facciamo da decenni. Rappresentano il meglio della società civile globale. Siamo con loro nella sfida a questa decisione oltraggiosa».

Secondo un’inchiesta a firma di Yuval Abraham, Oren Ziv e Meron Rapoport apparsa il 4 novembre in contemporanea su The Intercept, +972 (sito di informazione indipendente a cura di giornalisti israeliani e palestinesi) e Local Call (sito “fratello” di +972 ma in ebraico) le accuse mosse da Israele non hanno fondamento alcuno e non sono state accompagnate da nessuna prova concreta: «Nonostante la gravità della dichiarazione, che secondo quanto riferito si basa su prove di intelligence raccolte dallo Shin Bet [il servizio segreto interno], Israele non ha presentato alcun documento che colleghi le sei organizzazioni al FPLP o a qualsiasi attività violenta».

Da maggio scorso le autorità israeliane hanno ripetutamente fatto appello alla comunità internazionale sostenendo che le sei organizzazioni palestinesi in questione sono strettamente legate al FPLP e persino coinvolte nel finanziamento di attività terroristiche, sollecitando uno stop ai finanziamenti di cui beneficiano. Per corroborare le accuse contro le ong, alcune delle quali molto rispettate in ambito internazionale, hanno inviato ai rappresentanti dei Paesi europei un dossier riservato preparato dallo Shin Bet. Le tre testate sono entrate in possesso del documento, nonché di centinaia di pagine che riassumono gli interrogatori a due ex contabili palestinesi di un’altra organizzazione (gli Health Work Committees), Said Abdat e Amro Hamuda: interrogatori su cui si fondano quasi interamente i documenti inviati ai rappresentanti stranieri.

Tuttavia, scrivono i tre giornalisti, «un esame delle “prove” del dossier e dei riassunti dei ripetuti interrogatori di Abdat e Hamuda rivela che i contabili (che non lavoravano per nessuna delle sei organizzazioni prese di mira) basavano la maggior parte delle loro accuse su ipotesi generali, cose che, secondo loro, erano “note a tutti” o su informazioni che sostenevano essere ampiamente “conosciute”. Cosa ancora più importante, le parole di Abdat e Hamuda indicano, al massimo, che alcune di queste organizzazioni erano coinvolte in attività come eventi studenteschi, assistenza ai malati e lezioni di poesia, che fanno parte del lavoro del FPLP come movimento della società palestinese».

Che il dossier dello Shin Bet non sia affatto convincente lo dimostrano anche le reazioni dei Paesi europei cui è stato inviato. «Sia la ministra per il Commercio estero e la Cooperazione allo sviluppo olandese che quella belga per la Cooperazione allo sviluppo hanno dichiarato pubblicamente che il dossier non conteneva “nemmeno una prova concreta” a sostegno delle accuse. A seguito del dossier, Belgio e Svezia hanno dichiarato di aver condotto verifiche indipendenti sulla condotta finanziaria delle sei organizzazioni in questione e sul loro collegamento con il FPLP. Nessuno dei due Paesi ha trovato prove per le affermazioni dello Shin Bet».

Due diplomatici europei in Israele hanno dichiarato ai tre giornalisti che, nonostante ripetute richieste, le autorità israeliane non hanno fornito loro nuove prove a sostegno delle accuse. «C’è stata molta pressione su di noi per fermare i finanziamenti, ma nel documento presentato da Israele non c’erano prove concrete contro le organizzazioni», ha detto un vice ambasciatore europeo in Israele che ha visto il dossier. «Questa settimana ci siamo rivolti al ministero della Difesa [israeliano] dichiarando che per fare un passo del genere avremmo avuto bisogno di [vedere] documenti reali a dimostrazione delle loro affermazioni. Abbiamo chiesto di inviarci altro materiale, ma non abbiamo ricevuto nulla. Lo stesso è accaduto ai rappresentanti di altre ambasciate».

L’idea è che, di fronte alle reazioni europee, Israele abbia deciso di agire autonomamente dichiarando le organizzazioni terroristiche.

In un editoriale del 24 ottobre, il quotidiano israeliano Haaretz ha condannato la mossa del ministro della Difesa definendola «una macchia su Israele»: «Non c’è più distinzione tra coloro che conducono una lotta violenta contro lo Stato e feriscono civili innocenti da un lato e, dall’altro, avvocati di organizzazioni per i diritti umani che offrono assistenza legale ai prigionieri o attivisti di sinistra che si oppongono alla tortura, levano la loro voce a difesa di donne e bambini o documentano la violazione dei diritti umani nei Territori occupati. Ora, chiunque sia affiliato a una simile organizzazione è uguale a un terrorista. […] Il significato è chiaro: ogni resistenza all’occupazione è terrore. Israele sta minando la distinzione tra lotta legittima e illegittima». «Se tutte le forme di resistenza costituiscono terrore, come si può resistere all’occupazione senza essere terroristi?».

[1] Si tratta delle seguenti realtà: Addameer, che offre assistenza legale ai prigionieri palestinesi, raccoglie dati sulle incarcerazioni, comprese le cosiddette detenzioni amministrative (senza processo) e agisce per porre fine alla tortura; Al-Haq, che documenta le violazioni dei diritti umani nei Territori occupati; la sezione palestinese di Defense for Children International, che sostiene i diritti dei bambini palestinesi; l’Union of Agricultural Work Committees, che aiuta gli agricoltori palestinesi; l’Union of Palestine Women Committees, che si batte per i diritti delle donne, e il Bisan Center for Research and Development, che difende i diritti socio-economici, politici e civili dei poveri e degli emarginati nella società palestinese.

Nell’immagine il Muro israeliano davanti al campo profughi di Aida, Betlemme (foto di Ingrid Colanicchia).



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