L’Italia e l’attuazione dello Statuto della Corte penale internazionale

Annunciata la costituzione di una Commissione per l’elaborazione di un “Codice dei Crimini internazionali”. Per l’Italia si tratta di una sfida epocale per una nuova fase di affermazione dei principi del Diritto internazionale umanitario e del Diritto internazionale penale.

Maurizio Delli Santi

Il “Codice dei Crimini internazionali”

Con una nota ufficiale apparsa sul suo quotidiano digitale il 23 marzo il Ministero della Giustizia ha finalmente annunciato che con Decreto Ministeriale del 22 marzo scorso è stata istituita una “Commissione per l’elaborazione di un progetto di Codice dei Crimini internazionali”. Il riferimento esplicito è all’attuazione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale (CPI), lo Statuto di Roma adottato il 17 luglio 1998 a Roma dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite, la cui entrata in vigore internazionale è avvenuta nel 2002. In Italia l’attuazione sinora si è sviluppata in termini generali con la legge di ratifica, Legge 12 luglio 1999, n. 232, e con la Legge 23 dicembre 2012, n. 237, relativa essenzialmente alla cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale.

Nonostante vari tentativi avviati nelle scorse legislature, fra cui quella della nota “Commissione Conforti”, presieduta dal compianto internazionalista prof. Benedetto Conforti (1930-2016), manca ad oggi proprio la parte di diritto sostanziale che riguarda la definizione dei crimini internazionali di competenza della Corte: l’aggressione (internazionale), i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il genocidio .

Da più parti era stato osservato che l’Italia stava procedendo con ritardo rispetto agli obblighi di attuazione che oggi si accinge ad assumere dopo 20 anni dalla entrata in vigore internazionale, e a 22 anni dalla data della approvazione dello Statuto. Questo è accaduto proprio all’Italia, che della CPI era stata ferma sostenitrice.

L’obiettivo del Ministero è dunque completare “l’adattamento nel diritto interno della materia dei crimini internazionali”, che richiede “di organizzare e sistematizzare una disciplina complessa, tenendo conto dei criteri generali di legalità e personalità della tutela penale”. In particolare, il Decreto Ministeriale assegna due compiti alla commissione: 1) l’esame delle iniziative già proposte per la compiuta attuazione dello Statuto di Roma; 2) la stesura di un Codice dei crimini internazionali per assicurare il compiuto adattamento dello Statuto di Roma.

La Commissione ha un programma di lavori che va dal 31 marzo al prossimo 30 maggio, data di prevista conclusione, dalla quale sarà poi promosso l’iter governativo per trasferire l’elaborato in una iniziativa legislativa da sottoporre all’esame parlamentare, ai fini della approvazione di una legge ad hoc.

Le ragioni del ritardo
Le ragioni del ritardo con cui l’Italia ha promosso tale iniziativa sono varie e probabilmente anche giustificate dalle difficoltà in cui la giurisdizione della Corte si è dovuta muovere nel contesto internazionale. È senz’altro vero che lo Statuto di Roma può vantare un alto numero di ratifiche: sono infatti 123 gli Stati parte. Ma mancano quelle delle “grandi potenze” che siedono nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, come la Russia, la Cina e gli stessi Stati Uniti. Questi ultimi in particolare sono stati protagonisti con Trump (che ha emesso un executive order contenente sanzioni personali contro i giudici della CPI) di una rottura con la Corte per l’avvio di indagini su presumibili abusi commessi da militari statunitensi in Afghanistan, tra il 2003 e il 2004, e solo recentemente la presidenza Biden ha dato segnali compiuti di riapertura dei rapporti con l’Aja.  La comunità internazionale ha poi a lungo dibattuto sulla definizione del crimine di “aggressione”, cui è potuta pervenire nel corso della Conferenza di revisione sullo Statuto che ha portato agli emendamenti adottati a Kampala il 10 e l’11 giugno 2010. Per l’entrata in vigore delle modifiche statutarie è stato necessario attendere 7 anni,  30 ratifiche e  un voto favorevole di almeno due terzi dell’Assemblea degli Stati parte, condizioni realizzate il 17 luglio 2018. L’Italia ha provveduto alla ratifica con la Legge 10 novembre 2021, n.202. Tuttavia i problemi della mancata attuazione in Italia dello Statuto sono principalmente legati anche alla complessità e tipicità dell’ordinamento nazionale.

Il contesto e le possibili previsioni del Codice
Non vi è dubbio che l’iniziativa – che, come si è detto, era stata già avviata in precedenti occasioni per poi arenarsi data la complessità del tema – sia ritornata di attualità con i tragici scenari della guerra in Ucraina. Il Governo italiano, su parere conforme del Ministero degli Affari esteri e della Giustizia, ha deciso di comparire tra i primi 39 Stati, con in testa la Lituania, che il 2 marzo scorso hanno presentato il referall, ex art. 14 dello Statuto, al Procuratore della Corte penale internazionale dell’Aja, per avviare le indagini sui crimini internazionali perpetrati nella guerra in Ucraina. L’iniziativa ha consentito all’organo inquirente della CPI di muoversi più celermente, aggirando il passaggio autorizzatorio della Pre-Trial Chamber.

Molto probabilmente è per tale circostanza che si è pensato, a questo punto necessariamente, a riesaminare le varie proposte che erano state già avanzate nelle scorse legislature per dare concreta attuazione alle norme di diritto sostanziale dello Statuto della Corte penale internazionale. Nondimeno la sfida che ora si accingerà ad affrontare la Commissione non sarà facile.

A differenza delle norme al sistema giuridico di tutela dei diritti umani, riferibile alla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e alle convenzioni discendenti, quello dell’adeguamento dell’ordinamento italiano alle norme del diritto internazionale umanitario, più specificamente riferite alle situazioni di conflitto armato, è un problema allo studio da diversi anni e ancora non ha trovato soluzioni certe ed univoche. Dopo vari tentativi di modifiche legislative e qualche richiamo nelle norme sulle operazioni all’estero (tuttavia parziale e poco incisivo), di fatto si deve constatare che le uniche norme specifiche che si possono rinvenire nel nostro ordinamento riguardano il titolo IV “Dei reati contro le leggi e gli usi di guerra” del Codice penale militare di guerra, approvato con il Regio Decreto 20 febbraio 1941, n. 303, prima ancora delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, rese esecutive con la Legge 27 ottobre 1951, n. 1739.

L’esperienza degli studi e delle iniziative delle trascorse legislature quanto meno ha facilitato il percorso sulla scelta di introdurre un nuovo corpus iuris, appunto un Codice dei Crimini internazionali, così come fatto anche in altri ordinamenti nazionali. Ma sono complessi e di non univoca risoluzione i nodi che la Commissione dovrà approfondire, specie su alcuni aspetti:

1) la definizione della giurisdizione nazionale in rapporto al regime di complementarità della Corte (che interviene solo in caso di “unwilling” o “unable” a procedere, per “collasso istituzionale”, “incapacità” o “mancanza di volontà”);
2) la definizione del crimine di “aggressione”, specie con riferimento alle richieste determinazioni del Consiglio di sicurezza e alla qualificazione di “a leadership crime”;
3) la distinzione e la tipicizzazione dei crimini di guerra e contro l’umanità, anche in coordinamento con le altre Convenzioni di diritto internazionale umanitario, incluse quelle relative alla proibizione o limitazione dell’uso di determinate armi;
4) le norme di adeguamento per le previsioni dello Statuto che non consentono prescrizione, immunità ed esimenti dell’ordine superiore;
5) le questioni controverse riguardanti le nozioni di criminal intent, joint criminal enterprise, e conspiracy, specie in rapporto alle figure giuridiche del dolo (diretto, indiretto, eventuale), del concorso, del concorso esterno, dell’associazione e del favoreggiamento, tipiche del nostro ordinamento;
6) la verifica di costituzionalità, il riparto di giurisdizione tra magistratura ordinaria e militare, e il raccordo con il codice penale, e i codici penali militari di pace e di guerra;
7) il necessario avvio di un adeguato percorso di aggiornamento specialistico della magistratura e delle vari componenti interessate, inclusi i responsabili “politici”, i  militari e le organizzazioni umanitarie.

Conclusioni: una sfida epocale
Un problema a parte potrà essere posto nel caso si voglia fare una scelta anche più coraggiosa, che comunque potrebbe avere un rilievo per essere pienamente aderenti allo “spirito” dello Statuto (il “Geist des Statuts”, in Principles of International Criminal Law, G. Werle e F. Jeßberger, 2020), della tutela dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Si tratterebbe di dare attuazione al principio di “giurisdizione universale”, che consente la punizione in ogni luogo e tempo dei colpevoli dei crimini internazionali – al di là delle regole sulla competenza del locus commissi delicti o della appartenenza allo Stato dei responsabili dei crimini internazionali – analogamente a quanto già previsto da moderni ordinamenti giuridici, come quello della Germania, del Regno Unito e della Spagna.

Per la Commissione e il Parlamento si tratterà in ogni caso di una sfida epocale che getterà le basi di una nuova fase di affermazione dei principi del Diritto internazionale umanitario e del Diritto internazionale penale in Italia. Un’ ultima annotazione riguarda la individuazione dei giuristi indicati dal Decreto ministeriale, che invero pure prevede un possibile allargamento con contributi e audizioni di giuristi esterni, “esperti della materia”. Non sappiamo le ragioni, che potrebbero riguardare anche scelte personali degli interessati, ma agli studiosi della materia spiace non vedere comparire tra i designati altre figure autorevoli che pure tanto hanno dato alla divulgazione del Diritto internazionale umanitario e dei principi delle giurisdizioni internazionali. Due nomi fra tutti vanno ricordati: i professori emeriti Natalino Ronzitti, autore del più attuale trattato sul “Diritto internazionale dei conflitti armati”, e Gabriella Venturini, autrice di un illuminante saggio sulla “necessità militare”, un’altra nozione molto controversa che la Commissione farebbe bene ad approfondire, perché ove fosse lasciata alle interpretazioni giurisprudenziali finirebbe per incidere irresponsabilmente sullo “spirito” dello Statuto.

ANSA /JUAN VRIJDAG



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