Italo Calvino: militante, testimone, interprete della Resistenza sanremese

Un estratto tratto da “Italo Calvino, il partigiano Santiago”, di Daniela Cassini e Sarah Clarke, pubblicato in occasione dei cento anni dalla nascita dello scrittore dove viene ricostruita la trama intorno all'esperienza diretta e vitale da lui vissuta nella Resistenza.

Daniela Cassini e Vittorio Detassis

INTRODUZIONE
SE IN UN GIORNO D’APRILE UNO SCRITTORE
Italo Calvino: militante, testimone, interprete della Resistenza sanremese.

Non sono molti i passi del primo romanzo di Calvino in cui l’autore abbandona il consueto iter narrativo, tra picaresco e fiabesco, di Pin e dei suoi compagni di ventura per inoltrarsi in una meditata riflessione sulle motivazioni profonde, a un tempo esistenziali ed etico-politiche, della Resistenza armata. Tra questi passi il più esplicito e ragionato è là dove il commissario Kim spiega ai compagni la differenza tra loro e noi, tra fascisti e partigiani. Per concludere infine: questo, nient’altro che questo è la storia.
“Quel peso di male” dice Kim “che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi, a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro sé stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo.” (Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Milano Oscar Mondadori, 2022, pag. 106).

A cento anni dalla nascita dello scrittore era doveroso ritessere una trama intorno alla esperienza diretta e vitale da lui vissuta  nella Resistenza, che si svolse nei suoi boschi e nel suo paesaggio e che poi lo accompagnerà per sempre, come dimostra l’insieme delle sue opere.
Alla lotta di Liberazione Calvino diede un contributo originale come narratore, testimone e interprete che lo solleva senz’altro ai vertici della letteratura nazionale della Resistenza, con Beppe Fenoglio, Cesare Pavese, Elio Vittorini, Primo Levi e Luigi Meneghello.

In questo libro antologico vengono evocate le sue parole perfette, la sua capacità di cogliere il reale e insieme la visione, nella ricerca costante del senso “di ciò che appare e scompare”.
Questo percorso di memoria viene  inquadrato partendo dalle pubblicazioni fondamentali sulla storia della Resistenza nella I Zona Liguria, dai preziosi documenti originali dell’Archivio Storico dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, dai fervidi giornali della Resistenza e della Liberazione a cui Italo Calvino collaborò come giovane giornalista, cronista e curatore della stampa partigiana e dalla riproposizione dei suoi articoli.
Per arrivare ai documenti unici e inediti dell’Archivio privato Giacometti-Loiacono, che svelano nuovi elementi di questa storia appassionata di giovani partigiani e partigiane attraverso racconti, poesie, lettere, appunti… e che raccontano una ricchezza di esperienze e di vite tra il Ponente ligure, Sanremo, il Piemonte e Torino, il mondo.

Calvino inizia il suo viaggio di uomo e di scrittore dalla narrazione non agiografica di quell’ “epopea dell’esercito scalzo”  che lo àncora a ideali e valori della Resistenza, in una rara coerenza intellettuale e morale.
Fattosi scrittore dallo sguardo etico, come lo definisce Francesco Biamonti, intellettuale impegnato, curioso e complesso, militante del dubbio e della continua proiezione verso un cambiamento possibile, per Calvino era stata centrale da subito, nell’inquieto e problematico dopoguerra, la questione dell’engagement, e cioè dell’impegno politico degli scrittori, posta con forza all’attenzione degli intellettuali antifascisti da Jean Paul Sartre così come da altri noti autori quali André Malraux e Albert Camus in Francia, George Orwell e Bertrand Russell in Inghilterra, Thomas Mann e Bertolt Brecht in Germania, Alberto Moravia e Pierpaolo Pasolini in Italia, per citare solo alcuni degli intellettuali più prestigiosi di quell’epoca.
L’osservazione del “lancinante mondo umano”, la cui prima scoperta avvenne proprio con la partecipazione alla Resistenza, continuerà sempre nel corso della sua vita e della sua scrittura anche se da una posizione più defilata ma cosciente e responsabile, in una ricerca continua di “fili da dipanare e cose da guardare”.

Sin dagli esordi di scrittore, la dimensione entro cui Calvino si muove concede poco al colore locale. L’ambiente naturale è ostensivamente realistico e puntualmente riconoscibile così come il labirintico contesto urbano della Sanremo Vecchia, la Pigna, con i suoi carrugi e cortili avari e a un tempo avidi di luce e calore solare, così come pure la dolente umanità dei suoi abitanti, razza di ‘miserabili’ votati al ‘magaiu’, al frantoio o alla fornicazione.
A ben vedere, l’infanzia di Pin assomiglia forse più a quella di Rosso Malpelo che a quella dell’Ivan di Tarkovskij, ma c’è, per Pin, la via di fuga, la strada di San Giovanni, il Sentiero dei nidi di ragno, la montagna tutta da scalare della Resistenza.
In alto, sui lenti crinali inondati di luce, quasi magicamente sospeso a un invisibile raggio di sole, volteggia irraggiungibile il falco. Più sotto, a tiro di schioppo, ruota pigramente il corvo. Ma tu, tu non t’ingannare. Tu, imberbe soldato tedesco o imberbe partigiano di Pigna, non chiederti per chi suona la campana. Essa suona pur sempre per te.

 



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