Aleksandra Kollontaj, sollevare le donne verso il cielo

In “Aleksandra Kollontaj. Passione e rivoluzione di una bolscevica” di Annalina Ferrante – in questi giorni in libreria per L'Asino d'Oro edizioni – la vita e le ribellioni di una protagonista del movimento femminile. Ne proponiamo il prologo.

Annalina Ferrante

Il 23 febbraio del 1917 del calendario giuliano adottato in Russia (l’8 marzo secondo quello gregoriano), in un inverno particolarmente duro e freddo, una folla affamata di donne giovani e anziane, operaie e madri di famiglia, scivola lungo la prospettiva Nevskij a Pietrogrado. La prima guerra mondiale aveva richiamato gli uomini al fronte e le donne nelle fabbriche, nelle scuole, negli uffici, nelle piazze. Chiedono pace, pane e diritti. È una rivoluzione spontanea, come quella del 1905 spazzata via nella ‘domenica di sangue’. Una rivoluzione che si era solo nascosta e che, ostinatamente, aveva resistito per più di un decennio presentandosi, quella mattina, nel cortile della fabbrica tessile Krasnaja Nit di Pietrogrado, dove scocca la prima scintilla.

La notizia fa immediatamente il giro del mondo.

Dall’altra parte, in America, Louise Bryant, giornalista, scrittrice, attivista politica radicale e femminista, come d’abitudine si avvia verso una piccola edicola dove il giornalaio le porge l’edizione serale di un giornale. Legge i grandi caratteri neri che annunciano in prima pagina quell’evento straordinario e la sorprende un’emozione profonda, una sensazione calda di felicità.

Così Louise – un’irlandese «selvaggia», «piena di idee socialiste e ultramoderna, cosa che spiega i suoi capelli arruffati e la bocca aperta», come la descrivono i suoi detrattori – decide di partire per la Russia, all’improvviso, senza pensarci troppo. All’inizio di agosto del 1917 – dopo che alcuni amici hanno fatto una raccolta di denaro per i biglietti del viaggio – Louise si imbarca su un piroscafo alla volta di Pietrogrado con il marito John Reed, famoso corrispondente.

Louise si trova insieme a John nel bel mezzo della rivoluzione. Ne sono galvanizzati. Si spostano in continuazione e diventano testimoni diretti dei passaggi cruciali di quei mesi in fiamme, carichi fino all’estremo di passione e sangue. Rischiando anche la vita in alcune occasioni, vanno incontro alla Russia in rivolta e la Russia in rivolta sembra andare incontro a loro.

Louise si fa largo in luoghi strategici: lo Smol’nyj, il quartier generale dei bolscevichi, la Duma, roccaforte della democrazia liberale, le caserme, i tribunali. È testimone diretta del lavoro dei Soviet degli operai e dei contadini, delle riunioni di fabbrica, delle manifestazioni di strada.

Incontra i personaggi chiave della rivoluzione, come Lenin, Kerenskij, Trockij, e soprattutto le donne, presenze potenti e indiscutibili dei movimenti rivoluzionari già nel secolo precedente, ma affatto riconosciute come tali.

Incontra Catherine Breshkovsky, la babuška (nonna) della rivoluzione, una delle figure più importanti del movimento socialista rivoluzionario, la prima prigioniera politica in Russia con quattro decenni alle spalle tra prigione ed esilio in Siberia per opposizione allo zarismo.

Conosce Marija Aleksandrovna Spiridonova, una rivoluzionaria russa di ispirazione socialista-populista, l’unica donna a svolgere un ruolo davvero di primo piano durante la rivoluzione, insieme ad Aleksandra Kollontaj. Di quest’ultima straordinaria rivoluzionaria, Louise scrive, da un punto di vi- sta umano e politico, uno dei pochi ritratti fedeli dell’epoca.

Madame Kollontaj – come Louise le si rivolge, quasi a sottolinearne l’eleganza del portamento e l’estrema cura dell’aspetto – ha quasi 50 anni quando si incontrano, ma sembra molto più giovane. Bella, snella, capelli castani, occhi azzurri, affascinante, trasmette una passione che travolge. Poliglotta insolitamente dotata, conosce 11 lingue, per cui è spesso l’interprete ufficiale nel Soviet o nei congressi internazionali. È una donna che ha fatto della libertà lo scopo più alto della sua esistenza, è brillante, capace di argomentare su tantissimi temi anche con i giornalisti, forse «con quel pizzico di tono da comiziante di troppo che potrebbe dare quasi l’impressione di insincerità», annota Louise. Ma è solo un attimo: sottolinea anche che Madame Kollontaj possiede una mentalità così aperta, una carica di entusiasmo e un’intelligenza non comune, che non teme il confronto sincero, onesto con chiunque. Ascolta con avida curiosità, vuole sapere tutto dell’America, e sorprende Louise quando la invita a scrivere sull’America per la Russia sovietica, perché sarebbe bello riuscire a renderla più occidentale e meno provinciale, nonostante l’internazionalismo di tanti bolscevichi! Si commuove fino alle lacrime quando scopre che un gruppo di donne americane aveva manifestato, in quei momenti difficili, a sostegno della Russia contro il blocco e la paura americana di un ‘pericolo rosso’. Si indigna fino alla collera quando scopre le voci che circolano all’estero sulla ‘nazionalizzazione’ delle donne sovietiche e per la limitatezza e i pregiudizi dei politici americani, riferendosi al Comitato Overman. Fa notare a Louise che i russi non hanno avuto bisogno di una guerra civile per liberare i Tartari come gli Stati Uniti d’America avevano fatto per i negri, e che nessuno si è mai sognato di privare le donne russe del voto, figuriamoci di nazionalizzarle!

È uno slancio appassionato che contagia, il suo, ed è completamente rivolto alla sua attività di militante per la difesa in prima linea dei diritti e dell’emancipazione delle donne. Louise, infatti, nota che fino alla rivoluzione non c’era mai stato un movimento femminile in Russia, cosa alquanto singolare visto che, prima della rivoluzione, le donne esiliate in Siberia per aver tramato contro lo zar erano più numerose degli uomini. È un fatto che le donne ovunque entrino in politica con difficoltà, anche negli Stati Uniti d’America, dove il suffragio in alcuni Stati esiste già da diversi anni. Louise è convinta che sia una questione di esperienza e soprattutto di formazione.

Madame Kollontaj è consapevole che anche un governo rivoluzionario possa trascurare colpevolmente la presenza delle donne e l’attenzione verso di loro. È un’attitudine negativa e diffusa. Per questo sono fondamentali i congressi a cui far partecipare il maggior numero di donne, verso le quali non ci si deve limitare all’informazione politica, nazionale e internazionale, ma si deve fare attenzione ai loro bisogni, da come prevenire le malattie a come prendersi cura dei bambini, e lavo- rare per svilupparne le esigenze di cultura, di istruzione e di impegno, raccogliendo libri e pubblicazioni di ogni tipo.

Louise scrive e sembra di sentire Aleksandra Kollontaj mentre nelle sue arringhe grida alle donne di partecipare alla vita pubblica e di rendersi autonome attraverso il lavoro; di rompere le catene della religione e della famiglia che, piccola nota, gli stessi bolscevichi sono restii a riformare; di liberarsi dal peso di una maternità che le rende schiave della casa, infelici e dipendenti.

Madame Kollontaj si rivolge alle donne delle fabbriche e alle contadine, alle donne piegate nei campi, più difficili da convincere, più arretrate culturalmente. Più succubi di un sistema patriarcale primitivo, spesso violento, indiscusso. Lo fa senza imporre il suo pensiero: sa argomentare, sa convincere. Crede fermamente che le donne siano capaci di una nuova libertà. Il suo sogno è la libertà delle donne e la parità dei diritti con l’uomo, ma soprattutto vincere la loro arretratezza politica e conquistarle al socialismo, unico orizzonte di vera emancipazione.

La vediamo mentre lotta nei congressi, come commissario del popolo alla salute, per moltiplicare nidi d’infanzia, mense, ambulatori; mentre ammonisce che è necessario costruire una nuova società nella quale non si pretenda che le donne stiano tutto il giorno ad affaticarsi in cucina, ma che siano libere di dedicare ore alla loro istruzione e ad attività ricreative che spezzino il giogo domestico, libere di partecipare alla vita pubblica. Lotta con tenacia contro la prostituzione che dilaga, spinge per ottenere leggi in favore delle donne in stato di gravidanza, per l’equiparazione dei figli illegittimi a quelli legittimi. È tra le fautrici della legalizzazione dell’aborto, annuncia con orgoglio che «in virtù del decreto del 18 dicembre 1917, il divorzio ha cessato di essere un lusso accessibile solo ai ric- chi».

È una sognatrice, facile all’entusiasmo, molto vicino, spesso, a una ingenuità politica a volte disarmante. È un difetto? Forse. Con un tratto poetico, Louise Bryant accosta Kollontaj a uno scultore che vuole rappresentare una figura eroica di donna e che continua a chiedersi perché quella figura snella e ispirata dei suoi sogni, lontana da un’immagine materna, torni sempre a modellarsi come una Eva pesante e terrena. La sua aspirazione è sollevare le donne verso il cielo e se riuscirà a sollevarle almeno dalle ginocchia per farle stare in piedi, sarà pur sempre una vittoria.

La civiltà procede lentamente, passo dopo passo, centimetro per centimetro, e ha bisogno, per progredire, della fermezza e della perseveranza di coloro che invece cercano di spingerla chilometri più avanti. Aleksandra Kollontaj è tra questi. È una donna con un coraggio senza limiti e ha un modo di pensare nuovo, che la porta spesso a scontrarsi apertamente con Lenin, che «la schiaccia con la sua solita imperturbabile franchezza». Il giudizio politico nei suoi confronti da parte dei comunisti ortodossi è decisamente negativo, feroce in alcuni casi. I suoi nemici, in questo momento, non si trovano all’esterno, ma sono all’interno dell’establishment bolscevico, tra i suoi stessi compagni di lotta. E in quest’epoca ‘d’acciaio’, annota la Bryant, l’entusiasmo può rompersi le ali facilmente.

Louise Bryant tornerà a New York nel febbraio del 1918. Il suo ritratto di Aleksandra Kollontaj ci restituisce una donna straordinariamente moderna e di grande rilievo nella storia del movimento femminile. Contemporaneamente, non passa inosservata l’originalità del suo modo di pensare, che è un punto dirimente all’interno delle posizioni in materia di diritti delle donne.

La Kollontaj è conosciuta come una sostenitrice del libero amore, ma la sua vita racconta una verità molto più profonda e complessa di cosa fossero per lei l’amore, la sessualità, la morale in una società nuova. Una verità che ci indica una forte, perenne tensione tra l’intensità dell’amore e la determina- zione nel lavoro politico, tra l’essere rivoluzionaria e l’essere donna, madre e amante, tra privato e pubblico.

Nell’autobiografia annota come la sua concezione della vita e le sue scelte politiche siano un libero frutto della sua stessa vita, così come lo sono il suo lavoro e le sue letture. C’è un legame imprescindibile tra la sua attività di militante e la sua vita sentimentale, in cui l’amore fugge dall’oppressione, dai legami e dalle costrizioni di una normale vita familiare; in cui l’amata libertà spazza via, non senza contraddizioni, sofferenze e solitudine, qualsiasi stabilità e norma.

Non c’è nessun dio, non c’è nessuna natura che orienti o decida il destino degli uomini e delle donne. Nella storia tutto cambia e quindi tutto può cambiare, nulla è immutabile: è forse il regalo più bello che rimane del marxismo per la comprensione dell’umanità, la liberazione di masse di uomini e donne, un mondo nuovo possibile e necessario.

Aleksandra Kollontaj allunga il passo, comprende che la liberazione della donna può avvenire solo attraverso una trasformazione radicale e profonda dei rapporti tra i sessi. Una nuova morale sessuale può nascere solo dopo la conquista di una vera parità tra l’uomo e la donna, coronata da un’idea di amore diversa da quella celebrata dalla norma.

Per Aleksandra Kollontaj niente è più rivoluzionario di un amore che presuppone l’uguaglianza dei sessi. Niente è più rivoluzionario di un’intesa intima e profonda di corpi, che si combina con l’interesse per la collettività. Un amore non solo come ‘forza biologica’, ma come «un’emozione profondamente sociale nella sua essenza» a fondamento di un’attrazione sessuale sana, libera e naturale.



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