Rileggere Kurt Vonnegut per ricordarci cos’è la guerra

L'11 novembre Kurt Vonnegut avrebbe compiuto 101 anni. Il modo migliore per celebrare la ricorrenza è rileggere il suo libro più famoso, "Mattatoio n. 5", che senza fronzoli svela le menzogne con cui si ammantano tutte le guerre ricordandocene l'atrocità. Per questo Dio la benedica, Mr. Vonnegut!

Andrea Maffei

Com’è noto la guerra è quella cosa che i potenti dichiarano, per cui i ricchi arricchiscono, in cui la povera gente finisce ammazzata. Lo sapeva bene lo statunitense scrittore Kurt Vonnegut, che per combinazione proprio questo mese avrebbe compiuto centouno anni. Tanti auguri, Mr. Vonnegut!
Ora, questo Mr. Vonnegut si dilettava a scrivere romanzi fantascientifici e umoristici, pieni di viaggi nel tempo, astronavi, alieni e altre simili amenità. Intratteneva i lettori, li divertiva con trame intes­sute di una vivacissima fantasia. Ed ecco quel che i suoi racconti sono (è pur sempre utile da ricor­dare): sfoghi, frizzi e lazzi d’una immaginazione esuberante.
Ci ricordiamo ad esempio del breve romanzo Mattatoio n. 5, del 1969. Al centro della storia sta questa ipotetica città (la tedesca Dresda) la quale si ritrova, nel giro di poche ore, completamente rasa al suolo, sfracellata da un apocalittico bombardamento. Qualcosa come oltre quattromila ton­nellate di bombe. I colpevoli sarebbero stati gli statunitensi e gli inglesi, il cui obiettivo dichiarato erano gli atroci nazisti, già macchiatisi di qualsiasi aberrazione e per certo meritevoli di sparire dalla faccia della Terra e di non ritornarci né in breve né mai. Mr. Vonnegut qui però immagina che il bombardamento, piuttosto che colpire i nazisti, invero più che altro si accanisca sulla città tutta, già messa a dura prova dalla fame e dalla prolungata guerra: demolendo ogni strada ogni scuola ogni ospedale ogni caffè ogni chiesa ogni parco ogni museo ogni piscina ogni cartoleria ogni fermata del tram ogni trattoria-feriali-prezzo-fisso ogni biblioteca. Come se non bastasse, poi, “dei caccia ame­ricani scesero in picchiata sotto il fumo per vedere se qualcosa si muoveva. Videro Billy e gli altri, li spruzzarono con proiettili di mitragliatrice, ma li mancarono. Poi videro altre persone che si muovevano lungo la riva del fiume e spararono anche a loro. Ne colpirono alcune”. Ma l’obiettivo non erano i nazisti? Qualcuno amplia a “le infrastrutture dei nazisti”. E va bene. Però per l’autore a morire è quasi tutta gente a caso, comune: chi non aveva potuto scappare né difendersi, bambini so­prattutto, donne, vecchi e malati, e insieme a loro un mucchio di signori-nessuno qualsiasi che si ri­trovavano tra la canaglia nazista e i bombardamenti democratici dal cielo, che a tutti i costi cercavano di aiutarli, di liberarli, di salvarli. Quanti eran morti, a questo modo? Non si sa, ma alla fine si stimava un numero fra i venticinque e i quarantamila. D’accordo, però quanti nazisti fra di loro? Purtroppo non era molto chiaro, ma sembrava che fossero tutto sommato una minoranza, anzi una piccola minoranza. Forse la mira non era stata troppo buona, o alcune analisi preventive si erano rivelate poi non tanto giuste. Che vuoi farci, però? Così va la vita.
Come avranno capito la gentile lettrice il gentile lettore, ci troviamo davanti a un romanzo davvero folle. Tanto per dirne una, all’inizio compare lo stesso autore, Mr. Vonnegut, il quale giusto sta pensando di scri­vere il libro che stiamo leggendo. Non gli è facile, però, perché negli Stati Uniti, dove è nato, la sto­ria è praticamente sconosciuta e quelli a cui la accenna non son niente contenti di sentirla. Eppure lui sa che è stata peggio di Hiroshima. Allora perché nessuno vuol saperne niente? Alla fine imma­gina di riuscire a domandarlo, per mezzo di un suo personaggio. Gli rispondono, “Perché un sacco di gente con il cuore tenero potrebbe credere che non era qualcosa da fare”. In un’altra scena sem­pre lui, Mr. Vonnegut, si trova a cena di amici. Menziona il libro che sta progettando. C’è una donna però che si mostra molto infastidita. Dopo avere messo a letto i figli, alla fine papale papale gli dice che a fare le guerre ci sono i bambini, che anche chi spara è un ragazzino, ma che questo nel roman­zo non l’avrebbe di sicuro scritto, “E poi ne tireranno fuori un film interpretato da Frank Sinatra o John Wayne o da qualcun altro di quegli affascinanti vecchi sporcaccioni che vanno pazzi per la guerra. E la guerra sembrerà qualcosa di meraviglioso, e così ne avremo tante altre. E a combat­terle saranno dei bambini come quelli che ho mandato di sopra.” Lui, Mr. Vonnegut, ci resta veramente male, tanto che lì per lì le fa due promesse: 1) nel suo romanzo non ci sarà parte né per Frank Sinatra né per John Wayne e 2) il sottotitolo sarà La crociata dei bambini. Ed è proprio questo il sottotitolo del libro.
Nel tempo questo Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini è piaciuto e non piaciuto. Per esempio una volta un direttore di scuola a Drake, in North Dakota, lo proibì ai suoi studenti e anzi per buona misura ne bruciò anche qualche copia nel forno dell’istituto. Allora Mr. Vonnegut gli spedì una let­tera, gli disse:
“Se lei si prendesse la briga di leggere i miei libri, di comportarsi come una persona istruita, scoprirebbe che non sono erotici, e non propongono atteggiamenti indisciplinati di nessun tipo. Pregano i lettori di essere più gentili e più responsabili di quanto spesso sono. È vero che al­cuni personaggi usano parole volgari. Ma è perché la gente usa parole volgari nella vita reale. A usare parole volgari sono specialmente i soldati e gli uomini che fanno lavori pesanti, e questo lo sanno perfino i bambini tenuti più al riparo dal mondo. E tutti noi sappiamo anche che certe parole in realtà non danneggiano molto i bambini. Non hanno danneggiato noi quando eravamo piccoli. Sono state le cattive azioni e le bugie a farci del male”.
Per lo scrittore umoristico e di fantascienza Mr. Vonnegut, difatti, quella della guerra è la fase più imbevuta, più ingarbugliata di bugie (quando è risaputo che in un caso di estrema gravità com’è la guerra ciascuno, a dispetto delle differenze che lo separano dagli altri, cerca per quanto gli è possibile di sfuggire la menzogna, la falsità, ché è chiaro che non stiamo più a discutere di un tocco con il braccio fuori o dentro l’area, e neanche d’una attrice che ci piace, parliamo di guerra e cioè di morti, e ogni civiltà umana ha sempre ai mor­ti associato Dio stesso, così che mentire sui morti è come farlo sopra la divinità: è sacrilego). Per Mr. Vonnegut le bugie sulla guerra sono quasi terribili quanto la guerra stessa. Ad esempio chiamare la vittima “carnefice” è terribile tanto quanto spararle. Diffondere la voce che si distruggerebbe da sola le case o gli ospedali è terribile tanto quanto devastarglieli davvero. Dichiarare che le sue am­bulanze nascondono nazisti è terribile tanto quanto prenderle di mira con l’artiglieria. Ma chiudia­mo una buona volta questa parentesi e torniamo alla vicenda.
Ancora non abbiamo parlato del bislacco protagonista, Billy, che è spastico nel tempo, non control­la i movimenti (questo poi in gergo scientifico si chiama “disturbo da stress post-traumatico”), “non sa dove andrà dopo, e le sue gite non sono necessariamente divertenti. È costantemente in uno sta­to di terrore da palcoscenico, dice, perché non sa mai quale parte della sua vita dovrà recitare la prossima volta”. Così il nostro Billy è capace di viaggiare nel tempo, è in questa fantomatica Dresda bombardata (dove si trovava prigioniero dei nazisti, dentro un macello dismesso) ed è anche molto più avanti, poi perfino raggiunge il pianeta di Tralfamadore, e la Terra si trovava a 713.700.000.000.000.000 di chilometri di distanza.
Con la fantasia di Billy e con la propria, il vecchio Mr. Vonnegut è capacissimo di sciorinarti mille acrobazie. A un certo punto rievoca nei dettagli i momenti del bombardamento, ma come se fosse un film montato al contrario. Quindi osserviamo gli aerei risucchiare i proiettili e le bombe e volare all’indietro fino alle piste d’atterraggio, vediamo discenderne i piloti e poi i velivoli sono riportati in officina e smontati pezzo per pezzo e i pezzi spediti lontani in casse cubiche di legno. I morti si rial­zano, le piaghe si risanano, tornano anzi a camminare come prima, indietro e indietro finché arriva­no a quando la guerra non è neanche iniziata, più indietro ancora, nessuno neanche ne parla, nessu­no la pensa, nessuno la immagina. I bambini (che poi son sempre figli) ritornano a giocare e infine ripoppano al seno delle mamme contente (ah, anche chiamare “guerra” un massacro è una bugia di quelle proprio imperdonabili).
Chi ha detto “massacro”? Beh Mr. Vonnegut ne parla, a un dato punto. Si sta riferendo da capo al li­bro che abbiamo fra le mani, e non ne è soddisfatto. È lì col suo editore, gli dice, “È così breve, confuso e stonato, caro Sam, perché non c’è nulla di intelligente da dire su un massacro. Si suppo­ne che tutti siano morti, e non abbiano più niente da dire o da pretendere. Dopo un massacro tutto dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre, tranne gli uccelli. E gli uccelli cosa dicono? Tutto quello che c’è da dire su un massacro, cose come ‘Puu-tii-uiit?’”.
Già verso la fine del romanzo, Mr. Vonnegut inserisce alcune righe davvero molto interessanti. È di nuovo il narratore che parla:
“Due sere fa hanno sparato a Robert Kennedy, la cui residenza estiva si trova a dodici chilometri dalla casa dove io vivo tutto l’anno. È morto ieri notte. Così va la vita. Un mese fa hanno sparato a Martin Luther King. È morto anche lui. Così va la vita. E ogni giorno il governo del mio Paese mi comunica il numero dei cadaveri prodotti dalla scienza militare nel Viet­nam. Così va la vita. Mio padre è morto già da molti anni, di morte naturale. Così va la vita. Era un uomo dolce. Era anche un fanatico di armi. Mi ha lasciato le sue armi. Si stanno arrugginendo”.
Alle volte capita che due uomini facciano lo stesso pensiero in posti diversi del mondo, in epoche magari lontanissime. Allora queste righe ricordano i versi d’un poeta greco che si chiamava Teocri­to. A dispetto della credenza popolare, la Grecia antica non era per niente tutto un vino, flauti e pa­storelle: al contrario era un mondo rissoso, in cui ogni città passava gran parte del tempo pensando a come attaccare la vicina. Teocrito lo sapeva bene, aveva vissuto il periodo burrascoso dopo Alessan­dro Magno, in cui ogni capetto o generale progettava di arraffarsi un pezzo del suo immenso impero, e tutti brigavan contro tutti. Allora Teocrito, proprio dopo avere ricordato le sofferenze della guerra, navi “ad annunziar la morte dei congiunti/ ai figli e alle consorti, e le città/ distrutte dalle mani dei nemici”, ecco che si figura i centri di nuovo abitati dai vecchi cittadini, e qui si fa proprio un auspicio, scrive:
“Si lavorassero i fiorenti campi/ e migliaia di greggi senza numero, / grassi d’erba, belassero nel piano/ e le vacche, tornando nelle stalle / in gran massa, facessero affrettare / il tardivo viandante ed i maggesi / fossero pronti per la semina / quando stride dall’alto la cicala / tra i rami delle piante, a mezzogiorno, / sorvegliando i pastori e distendessero / sulle armi i ragni lievi ragnatele / e del grido di guerra / si perdesse anche il nome!”.
Le armi che arrugginiscono di Mr. Vonnegut, quelle coperte di ragnatele del bacucco pluricentenario Teocrito.
Così questo Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini, con tutte le sue stramberie e favole fanta­scientifiche, ci diverte e ci intrattiene, come si diceva prima. E abbiamo fatto bene anche noi a la­sciare tutte quante le armi in un vecchio baule in soffitta, che nessuno sa più dov’è la chiave, e neanche abbiamo voglia di cercarla. Sì perché è stato giusto il vecchio Mr. Vonnegut ad insegnarci che la guerra è quella cosa che i potenti dichiarano, per cui i ricchi arricchiscono, in cui la povera gente finisce ammazzata. Per questo, che Dio la benedica, Mr. Vonnegut!

CREDITI FOTO: Bernard Gotfrid



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