“L’Evénement” di Audrey Diwan: film indispensabile e urgente

Il Leone d’Oro di quest’anno ha premiato un film crudo e violentemente sincero che riporta a galla un passato non così lontano, in un presente in cui il progresso sociale che talvolta pensiamo di aver conquistato per sempre si scontra con la realtà drammatica di Paesi come la Polonia o come il Texas. E persino come l’Italia, con il suo crescente numero di obiettori di coscienza.

Micaela Grosso

Com’è noto, uno dei temi più largamente affrontati dalle pellicole premiate alla 78ª edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia è stato quello della maternità.

Solo a titolo d’esempio, in Madres Paralelas di Pedro Almodóvar, grazie al quale Penélope Cruz si è aggiudicata la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, è rappresentata la storia drammatica di due donne tanto diverse quanto simili, accomunate da una gravidanza simultanea.

L’attesissimo The Lost Daughter della regista e attrice Maggie Gyllenhaal, adattamento del romanzo La Figlia Oscura di Elena Ferrante e premiato per la miglior sceneggiatura dalla giuria di Venezia 78, si incentra sul desiderio di emancipazione dal ruolo di madre.

Tra i film premiati c’è anche Cenzorka (107 Mothers), racconto della problematica gestione della maternità in un carcere di Odessa a opera del registra slovacco Péter Kerekes, che nel ritirare il Premio Orizzonti per la Migliore Sceneggiatura lo ha dedicato a tutte le madri del mondo.

À Plein Temps, film di Éric Gravel, racconta poi la frenetica e difficile quotidianità di una madre single, la protagonista Laure Calamy, vincitrice del Premio Orizzonti per la Migliore Attrice.

Il Leone d’Oro, il riconoscimento più importante dell’intero festival, non ha smentito la tendenza ed è andato a un film che affronta sì queste tematiche, ma con un drastico distanziamento. Il vincitore di quest’anno è infatti L’Evénement (12 settimane) di Audrey Diwan, film tratto dal libro L’Evento di Annie Ernaux, che racconta una maternità categoricamente rifiutata e una gravidanza interrotta per mezzo di un aborto clandestino (la pellicola è stata insignita anche del Premio Brian, assegnato ogni anno dall’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti sin dal 2006).

Non a caso la pellicola di Audrey Diwan ha turbato i sonni di Mario Adinolfi, che ha protestato – «È l’ennesima propaganda abortista che ormai subiamo con quotidianità» – e non ha perso occasione per sminuire il fatto che per il secondo anno consecutivo (e soltanto per la sesta volta in 78 edizioni, aggiungiamo noi) sia stata una donna ad aggiudicarsi l’ambito riconoscimento: «Ci pieghiamo a dei cliché, siamo obbligati a cercare la regista donna per dare il premio, è il secondo anno consecutivo, e anche questo sta diventando un cliché».

La protagonista del film di Audrey Diwan è Anne, una promettente studentessa francese di 23 anni che rimane accidentalmente incinta. Anne non ha nessuna intenzione di tenere il bambino, vive però negli anni Sessanta, epoca in cui, in Francia, interrompere una gravidanza non era legale. Oltre alla prospettiva dell’oneroso tabù sociale, la protagonista corre quindi un rischio di natura penale: se da un lato l’aborto le salverebbe la carriera tutelando i suoi progetti di vita, legalmente le farebbe rischiare il carcere.

Stretta nell’affanno del passare delle settimane, dopo un’iniziale fase di spaesamento, Anne si dimostra lucida e risoluta nella sua scelta: abortirà in ogni caso. Così come la protagonista non transige sulla decisione che sa essere quella giusta, allo stesso modo la regista non viene a patti con la cautela: l’odissea della ragazza è rappresentata dal primo all’ultimo momento, senza sconti né prospettive romanzate.

Il film è doloroso, crudo, violentemente sincero e riporta a galla un passato non così lontano, in un presente in cui il progresso sociale che talvolta pensiamo di aver conquistato per sempre si scontra con la realtà drammatica di Paesi come la Polonia o come il Texas. E persino come l’Italia, con il suo crescente numero di obiettori di coscienza.

L’Evénement è un film oggi indispensabile e urgente, non soltanto per il suo spessore politico. Lo è anche per la sobrietà della trama, fedele al libro da cui è tratta, che avanza inesorabile e trascina Anne, nonché spettatori e spettatrici, in un cammino doloroso e solitario costituito da relazioni sociali effimere, espedienti imprescindibili, ciarlatane e rispettati professionisti, tra rimedi casalinghi e mancanza di rispetto, in un opprimente senso di angoscia e, infine, sollievo.

Nel suo libro, Ernaux fa esclamare ad Anne: «Questa materialità pura aveva qualcosa di strano e rassicurante. Né sentimenti né morale». E poi ancora, verso la fine: «Ho cancellato l’unico senso di colpa che abbia mai provato a proposito di questo evento».

Ed è proprio questo il valore di L’Evénement: la schietta rappresentazione del fatto in sé, scevra da pietismi e interpretazioni di parte; osservata dal solo occhio di chi ne è coinvolto, presentata in modo scarno ma intensissimo, sospendendo il giudizio e lasciando il dovuto spazio alla determinazione (e autodeterminazione) della protagonista.

 

Micaela Grosso è Presidente della giuria del Premio Brian, assegnato dall’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar)



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