La Conferenza su Sviluppo e Migrazioni: un processo da definire

Il "Processo di Roma”, ancora in divenire, dovrebbe valutare il rischio di sostenere svolte autocratiche, nuovi disegni egemonici, e delle tensioni che vanno crescendo tra gli Stati dell’Africa mediterranea e quelli dell'Africa Subsahariana.

Maurizio Delli Santi

Il rimpatrio dei migranti irregolari ai loro paesi di origine dovrà avvenire «nel rispetto del diritto internazionale e della loro dignità»: sarà sufficiente la clausola del Memorandum  promosso dall’Italia e sottoscritto tra l’Unione europea e la Tunisia? I resoconti di Al Jazeera e di Human Rights Watch parlano di trattamenti disumani per centinaia di subsahariani respinti e abbandonati nel deserto. L’obiettivo di fermare un’ondata migratoria senza precedenti prevista dalla Tunisia – da cui, secondo il Ministero dell’Interno, al momento arriva in Italia il 7%  dei  migranti sbarcati irregolarmente (5.683 su 83.439, nel 2023) – non dovrebbe replicare le situazioni che in Libia, Turchia e Grecia hanno evidenziato contesti di violenza nei respingimenti e nei centri cui sono destinati i migranti.

Sono diversi i profili critici che emergono sullo sfondo del Memorandum con la Tunisia. La svolta autoritaria del Presidente Saied ha congelato le rappresentanze parlamentari e l’opposizione. La linea sarebbe stata imposta dalla necessità di salvare il paese dalle derive islamiste e dalla corruzione, endemica anche nei corpi sociali. Tuttavia i media internazionali gli imputano la “caccia ai subsahariani” scatenatasi nel paese dopo le dichiarazioni sulla “sostituzione etnica”: Saied ha sostenuto che «esiste la volontà di far diventare la Tunisia un paese puramente africano e non più arabo e islamico».

Il Fondo Monetario Internazionale ha bloccato il finanziamento a più riprese  di 2 miliardi di dollari, e il Memorandum dell’UE ha concesso 255 milioni di euro, ma per altri 900 milioni sarà necessario che Tunisi trovi l’accordo con il Fondo di Washington. Si è detto che i finanziamenti sono subordinati a riforme per democrazia e diritti, ma in realtà le condizioni poste riguardano la riduzione della spesa pubblica, dai salari degli statali ai sostegni per l’acquisto di beni d’uso comune, come il pane e la benzina. Analisti come Karim Mezran e  Alissa Pavia dell’Atlantic Council evidenziano il rischio che questi vincoli potrebbero indebolire le classi deboli della popolazione tunisina già provate dall’inflazione, e scatenare nuove “rivolte del pane”, come quella verificatasi nel 2011. L’irrigidimento di Saied contro le riforme però non regge, almeno su alcuni punti: si può intervenire sul basso costo della benzina, che avvantaggia i più ricchi, sostenere il microcredito per famiglie e piccole imprese, e rivedere il sistema fiscale per renderlo più equo, dimostrando di voler risanare il debito.

È necessario avere la consapevolezza di uno scenario complesso. L’Italia fa bene  a promuovere una nuova architettura per la stabilità del Mediterraneo, ma è bene che guardi con attenzione anche ai disegni egemonici di Turchia e Paesi del Golfo. E non trascuri l’escalation delle tensioni tra l’Africa mediterranea e quella subsahariana, da cui ora giungono gli esodi dallo scontro con tremila morti in Sudan e il rischio di nuove jihad per l’esasperazione di popolazioni sempre più escluse. L’auspicio per chi tiene alla credibilità dell’Italia è che le sorti dei subsahariani, i temi dei diritti umani e delle diseguaglianze non siano comunque trascurati nel c.d. “Piano Mattei” e nel processo appena avviato con la Conferenza Internazionale su Sviluppo e Migrazioni.
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CREDITI FOTO Governo Italiano, Presidenza del Consiglio dei Ministri 



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