La corsa cinese allo spazio: intervista a Giancarlo La Rocca

Qualche giorno fa, l’amministrazione dell’aviazione cinese ha annunciato la creazione di una no-fly zone a nord di Taiwan per “attività spaziali” non meglio precisate, previste inizialmente dal 16 al 18 aprile e poi limitate, a seguito delle proteste taiwanesi, a domenica mattina dalle 9.30 locali. Abbiamo chiesto un commento al dottor Giancarlo La Rocca, ricercatore nei programmi di Sicurezza e Difesa dell’Istituto Affari internazionali.

Roberto Rosano

Dottor La Rocca, a che cosa abbiamo assistito questa domenica?

La Cina ha lanciato da Jiuquan, città nel nord del Paese, il satellite Fengyun 3G per rilevazioni meteorologiche, a bordo di un razzo Long March 4B. La traiettoria del lancio ha richiesto una no-fly zone annunciata dalla Cina, una situazione piuttosto usuale, considerando tra l’altro che non raramente nei primi stadi i razzi rientrano a terra in modo incontrollato, con il pericolo di danni ingenti. In questo caso, sarebbe stato particolarmente importante evitare rischi in una zona critica delle relazioni tra Cina e Taiwan. Diverso sarebbe stato il caso di una no fly zone in auge per 72 ore, come inizialmente annunciato da Pechino, ma sappiamo che le rimostranze diplomatiche taiwanesi hanno funzionato limitando l’interdizione al volo per un periodo di tempo limitato al lancio. Questo non ha evitato di inserire la notizia all’interno del più ampio contesto politico di questi giorni, contribuendo a far salire la tensione.

Perché l’area interdetta al volo dalla Cina è così delicata dal punto di vista geostrategico?

Perché arriva in un momento delicato delle relazioni tra Cina, Taiwan e Stati Uniti, senza dimenticare i giudizi che arrivano in ordine più o meno sparso dal continente europeo. È una zona calda in questi giorni dove Pechino ha operato diverse esercitazioni militari intense, aumentando la tensione a livello internazionale. In più, l’area dove la Cina aveva annunciato il divieto di volo interseca rotte civili molto trafficate ma anche diverse zone di identificazione di difesa aerea (Air Defence Identification Zone – ADIZ) di interesse giapponese, vista la presenza delle isole Senkaku.

Perché questo piccolo arcipelago disabitato del Mar Cinese Orientale è così desiderabile per la Cina?

Per la Cina rivendicare l’arcipelago significa rivendicare la stessa Taiwan, in un grande gioco asiatico che coinvolge non solo il Giappone ma anche la Corea del Sud. La stampa di Tokyo, infatti, riportando la notizia dell’interdizione dell’area vicina a Taiwan a causa delle attività spaziali cinesi, ha immediatamente collegato i puntini e rilevato che la zona è a loro pericolosamente vicina.

La Cina ha iniziato a condurre diversi lanci di satelliti da piattaforme a largo delle sue coste negli ultimi anni…

La Cina è una grande potenza spaziale a tutto tondo e negli ultimi anni ha notevolmente accelerato il ritmo di innovazione ed il passo con cui implementa le ambizioni in orbita. Pechino ha investito nell’industria spaziale in maniera completa e in tutti i settori tradizionali in cui si esprime una potenza spaziale, dall’osservazione della terra alla navigazione satellitare fino all’esplorazione dello spazio attraverso missioni lunari da record, marziane e dell’orbita bassa terrestre. Dal quadro non mancano capacità di counter-space, in grado di danneggiare o distruggere oggetti in orbita. Per fare tutto ciò sono necessari investimenti ingenti e una capacità di lancio versatile ed affidabile.

Ci dice qualcosa sui Long March cinesi?

I Long March sono pensati per essere una famiglia di missili in grado di coprire tutte le necessità nazionali, e possono appoggiarsi su ben cinque siti di lancio, dislocati sul vasto territorio nazionale a cui si aggiungono anche le piattaforme marine.

In che disegno entrano, per la Cina, i lanci di satelliti?

La corsa cinese è proiettata verso l’anniversario nazionale del 2049 e continua a stupire per i mezzi e la velocità con cui mette in piedi i pilastri del suo programma spaziale, non ultimo con la Stazione abitata dai taikonauti. La postura cinese aumenta allo stesso tempo la sfida globale nel settore, anche perché la Cina non dimentica di coltivare relazioni con i partner di interesse strategico, come nel caso del Djibuti, di inserire lo spazio all’interno di un più ampio progetto infrastrutturale e politico, di farsi attore chiave per le ambizioni spaziali di Paesi in via di sviluppo, cercando così di aumentare il proprio soft power nel settore e di fare sponda con Mosca per contrapporsi nelle sedi internazionali al modello occidentale.

Quello che gli strateghi cinesi chiamano «il dominio dello Spazio» (zhixinxiquan) a che punto è?

Lo spazio è considerato come fondamentale per ottenere vantaggi competitivi immediati sull’avversario, cruciale anche per modificare a proprio favore la percezione del dominio. La Cina su questa linea di sviluppo delle proprie capacità spaziali è stata precoce e determinante nel rendere l’attuale contesto spaziale così competitivo e conteso. Già nel 2007 Pechino completava con successo una missione dimostrativa di armi anti-satellite ad ascesa diretta, missili per intercettare un satellite in orbita bassa terrestre, distruggendo un proprio assetto alla fine della vita operativa.

Ancora oggi il test cinese è il più distruttivo mai registrato…

Sì, ed ha creato una quantità di detriti in orbita che continuano a creare complicazioni per la sicurezza delle operazioni spaziali. Parallelamente sono portate avanti missioni secretate di spionaggio in orbita, che si configurano come operazioni di avvicinamento e sono potenzialmente utili non solo per “ascoltare” i messaggi che transitano dalle orbite ma anche per manomettere ed eliminare gli stessi satelliti. Nonostante ciò, la Cina sembra aver accusato il colpo delle nuove dinamiche e trend nello spazio che vedono coinvolte società private che sono state in grado di cambiare le carte in tavola ed aggiornare il concetto di deterrenza stessa applicata allo spazio.

Qualcuno ricorderà le parole di YePeijian, capo del programma cinese di esplorazione lunare: “Abbiamo perso il nostro controllo sul mare durante la dinastia Ming. Oggi l’Oceano è l’intero Universo”… Ma in quelle parole era inscritta anche la convinzione che il doppio salto carpiato dalla Terra allo Spazio dovesse passare per gli oceani. Ci spiega il motivo?

Lo spazio, da alcuni punti di vista, ricorda il dominio marittimo, se pensiamo ad esempio ai potenziali choke points dei punti di Lagrange da presidiare, ai mari lunari dove YePeijian ha progettato le missioni Chang’e, a rotte e risorse di enorme valore, all’esplorazione dello spazio profondo di cui sappiamo poco e che necessita di nuovi salti tecnologici a partire dalla propulsione, un po’ come il passaggio da una caravella ad una fregata moderna. Peraltro, proprio nelle parole di YePeijian su spazio ed oceano, ritorna il tema delle isole Senkaku, paragonate alla Luna, e di altre isole rivendicate dalle Filippine, a rimarcare un concetto chiave che le politiche terrestri influenzano la politica spaziale.

Sembra che Pechino stia costruendo anche una cultura spaziale “con caratteristiche cinesi”…

Lo spazio è da sempre rivestito di un fascino particolare e di una influenza culturale marcata nel mondo contemporaneo. Da questo punto di vista Pechino tenta di approcciarlo cercando di ottenere alcuni risultati storici degli Stati Uniti degli anni ’60, di creare intorno allo spazio un movimento nazionale che dica al mondo cosa è la Cina. Vuole affermare una propria narrativa, anche una propria epica, che passa dalle missioni lunari alla stazione orbitante e prova ad affermarsi come attore spaziale con un certo soft power culturale che riesca a convincere gli altri che la via e le tecnologie intraprese da Pechino sono vincenti. Tutto ciò passa anche dalla cultura e da ciò che definiamo “commerciale” e “brandizzato” per creare un senso di riconoscimento comune soprattutto nelle nuove generazioni.

Il fatto che il Partito Comunista Cinese controlli i colossi tecnologici (inclusi quelli aerospaziali), è un limite o un vantaggio?

In termini assoluti i risultati del programma spaziale cinese parlano da soli e dunque avere un collegamento diretto tra interessi nazionali e manifattura, oltre che ricerca e sviluppo, ha aiutato il settore a strutturarsi senza scossoni e con grande continuità. Il collegamento diretto con il governo ed il partito, però, può creare qualche problema in termini di cooperazione internazionale ed anche di mercato, per ragioni anche di credibilità. In più, la grande sfida è rappresentata dall’evoluzione del settore spaziale e della space economy verso modelli innovativi, a trazione privata. Qui la Cina è indietro rispetto a tutti, esclusa la Russia per ovvie ragioni, alcune peraltro simili a quelle cinesi, ma sembra fare dei passi avanti.

Quali sono gli altri ostacoli con cui i piani cinesi sullo Spazio (o taikong, come direbbero loro), devono fare i conti?

L’ostacolo principale è la competitività intrinseca dello spazio, soprattutto per quanto riguarda le sfide lanciate dalle nuove capacità promosse e sviluppate dai privati. La stessa SpaceX ad esempio con il sistema di comunicazioni satellitari Starlink ha per il momento occupato un mercato nascente. Il suo impiego in Ucraina ha dimostrato la natura essenziale dei servizi spaziali anche dal punto di vista militare, e già si parla di eventuali coinvolgimenti di Starlink a Taiwan per sopperire a tagli di connettività e connessione tramite cavi sottomarini.

Per di più, SpaceX è solo una delle tante aziende private occidentali che stanno rivoluzionando il settore…

Allo stesso tempo, bisognerà valutare la scelta di Pechino di prendere la Russia sotto la sua protezione nel settore e farne un junior partner spaziale: nel medio termine, potrebbe tramutarsi in un boomerang sia politico che tecnologico, economico ed operativo. Ulteriore scoglio a livello internazionale è la credibilità come attore spaziale: qui barricate e comportamenti irresponsabili non pagano, senza considerare l’esempio estremo russo che nella guerra contro l’Ucraina si sta giocando influenza e capacità future nello spazio.

 

Foto Flickr | Jeff Sullivan: detriti di razzi cinesi CZ-7, 27 giugno 2016

 



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